Juliet Anno 35 Numero 172 aprile-maggio 2015
Forse sarebbe opportuno fare un lungo excursus sull'influsso che le cosiddette “case chiuse” hanno esercitato sull’arte del tardo Ottocento e del primo Novecento: sull’importanza dei bordelli per la pittura di Degas e di Toulouse-Lautrec, sull’inno alla non gioia (ma probabilmente al piacere sì) che si ascolta guardando Les demoiselles d’Avignon, sulla passione dei futuristi per la Galleria Vittorio Emanuele, cioè il luogo a più alto tasso di casini della Milano novecentesca.
Però forse se ne potrebbe fare anche a meno, di questo excursus, si potrebbe insomma accantonare qualsiasi dotta introduzione, e non perché le foto di Stefania Romano non siano opere colte, ma perché sembrano impregnate di un’altra cultura e di un’altra atmosfera.
Anzitutto di quelle di certa fotografia degli anni Venti e Trenta, ma anche di certo cinema dello stesso periodo: fotografia e cinema pervasi immancabilmente da ombre che a volte tracimano in tenebre, ma più spesso si assestano in un enigmatico chiaroscuro.
I bordelli del cinema e della letteratura francese dell’entre deux guerres sono torbidi ed eleganti come i luoghi nei quali immaginiamo siano state scattate queste fotografie, ma forse è bene che il riferimento al contesto si fermi qui e che a parlare siano direttamente le foto e i corpi che esse raffigurano.
Corpi osservati (e in parte spiati) attraverso inquadrature anomale, riflessi in specchi, circoscritti in ovali che li rendono tanto stranianti quanto seducenti.
Corpi anonimi, ma paradossalmente tutt’altro che impersonali, privi di volto, ma dotati almeno apparentemente di una personalità spiccata quanto le loro forme.
Corpi obliqui, capovolti, corpi inscatolati ma tutt’altro che chiusi alle sensazioni, anzi aperti a uno spettro di possibilità percettive che include ovviamente il piacere, ma un piacere instabile e sottilmente minaccioso.
Corpi anomali, nel panorama della fotografia contemporanea, perché non identitari e tutt’altro che esibiti, anzi caratterizzati da una reticenza che ne preserva il mistero senza vietarli allo sguardo.
ROBERTO BORGHI storico e critico dell'arte collabora con artisti italiani e internazionali; ha pubblicato nel 2015 il libro "Il Simbolo non è Neutro". Si occupa di critica teatrale.