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ArteSera Anno 2 Numero 15 settembre-ottobre 2012



Il racconto degli oggetti

Monica Cuoghi



Il primo free press di Arte Contemporanea per tutti


SOMMARIO N.15

EDITORIALE: di Annalisa Russo e Olga Gambari

COPERTINA: Saverio Todaro, "Piano Regolatore Generale"

STORIE: Il racconto degli oggetti - di Monica Cuoghi

STORIE: Waste/Value - di Enrica Borghi

RICICLO E CITTA': Another Brain in the wall - di Paolo Verri / Bunker. Lo spazio. Secondo. Urbe - Testo di Urbe-Rigenerazione urbana
Il caso Fasinpat - di Sandro Mele

COLLEZIONE ARTESERA: Monica Carocci

RICICLO E CITTA': Giovane, internazionale e low cost. Un progetto d'arte italiano a Genk - di Stefano Riba

RICICLO E DESIGN: Recupero di materia. Il "nuovo mito" nell'arte e nel design - di Andrea Gandiglio

RICICLO E SOCIETA': Riciclo VS Riciclaggio-Intervista ad Andrea Giorgis / E se la cultura fosse il nuovo welfare? - di Catterina Seia
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Siamo grati a Olga Gambari per averci chiesto di scrivere il racconto degli oggetti che abbiamo salvato, amato, conservato, ma soprattutto abbiamo fatto vivere nel teatro della nostra esistenza.

E’ stato facile passare dal collages agli oggetti, come un tesoro che si trova sui libri e si trova spesso nell'immondizia; ed ora c’è internet. E’ un pozzo d'oro, sembra quasi che il nostro mondo varrà salvato dal digitale per sempre nell'etere, affrettiamoci a custodire i nostri tesori.
Ho cominciato ad usare oggetti nelle mie installazioni prima che capissi che li stavo usando. Il primo fu un vetro rotto che composi come dei fiori dentro ad una grande ampolla di vetro (era un regalo di mio padre, un dono un po’ strano. Dentro c'era un uccellino appoggiato ad un ramo fiorito) Poi una barchetta di ferro veneziana con dentro un ritaglio di una bambina presa da una cartolina e una statua di una tigre bianca, alta un metro, alla quale feci degli occhi di pongo gialli e blu che ti fissavano grandi, era il 1986.
Poi usai le fotografie, prima di Anna Chiavelli poi quelle di Claudio Corsello, dei loro lavori artistici feci dei collages assieme a ritagli di foto della mia famiglia.
Questa fu la prima collaborazione con Corsello.

Il primo lavoro esposto in una mostra importante, composto da materiale trovato, furono le 8 altalene che installai in un circolo di alti pioppi, nella radura interna all'isola Boschina di Mantova; dove nel 1987 abbiamo organizzato la mostra "Traviata", con Aldo Grazzi e Anna Chiavelli. L’installazione era composta da catene di ferro, seggiolini di legno, cartoline di bambine, trovate nelle vecchie tabaccherie, appese con una bava dall'alto dei pioppi in modo che cadessero a piombo nel centro del seggiolino.
Mentre cercavo le catene di ferro vecchio arrugginito per costruire le infinite altalene ho comprato anche una vecchia statuina di ferro; rappresentava una specie di coccodrillo con una maschera da sub, con accanto ad una presunta tomba, gli ho dipinto la canottiera rosa con il pongo e sulla tomba nera ho messo una stella gialla. Lo misi sul pozzo della villa abbandonata dell'isola che ci ospitava, regalata da Onassis a Maria Callas molti anni prima. Fu un lavoro magico, capii di essere ispirata da un filo sottile che ci collega agli altri uomini, al passato e al futuro, capii d’essere un'interprete dell'arte.

Con Claudio non ci conoscevamo da molto tempo e fu questa l'occasione di approfondire la nostra amicizia. La punta più a est dell'isola, dove gli altri non si addentravano, la chiamammo "Villa MU" e la disseminammo di lavori, solo Aldo Grazzi ci venne a trovare lasciandoci un biglietto con scritto che eravamo argonauti, e con questo appellativo abbiamo chiamato la statuina di ferro che ci rappresentava sul pozzo: L' argonauta, quasi un presagio, un rito propiziatorio per il futuro nelle fabbriche abbandonate.
Usavo vari scarti trovati nella campagna; ad esempio un pezzo di attrezzo agricolo con tanti triangoli e su ognuno disegnai un simbolo di pongo, all'estremità incastrai un cruento "guanto di punte", una specie di piccola forca a pugno, chiamandolo il braccio della strega, mentre sopra ad ogni triangolo di una sega piantai un pallino di pongo rosso, chiamandoli "soldati ” Nel capo est dell'isola, dalla terra si passava alla sabbia e sopra di essa l'argilla aveva formato un mosaico di zolle sottili, con esse abbiamo composto delle piramidi in tutta la zona dividendo i due elementi, sabbia e argilla; abbiamo poi comperato un camion per bambini molto grande, giallo, sembrava avesse collaborato a questo lavoro e ci piaceva il contrasto tra la natura e la plastica. Un 'arte povera fatta da noi nuovi bambini. Con gli anni la plastica è diventata parte della nostra natura.
Non ci siamo mai posti il dubbio se lavorare con materiale riciclato o nuovo, tutto dipendeva da quello che avevamo intenzione di ottenere, senza coerenza. Non avevamo coscienza di usare degli oggetti riciclati, erano bellissimi e basta.
Dal 1991 ci siamo resi conto di questo importante uso della realtà esistente, un modo per rianimarla e farla giocare ancora. Il primo tesoro nell'immondizia dove trovammo i nostri personaggi principali - Il Re, Bimbambola, Anima, il lupo mannaro, cappuccetto rosso, Ombra, il cane - fu in via del Porto a Bologna, abitavano li accanto a Luisa Lambri e Giovanni Porfido, dove ora c’è il museo MAMbo. Il Re fu l'oggetto esposto per primo, in una mostra a Cusano Milanino nel 1991; era esposto in una composizione sopra a delle scaffalature, tra televisori e un light box con la faccia di Bello, un altro nostro personaggio, Il Re prese parte a molte nostre esposizioni-composizioni. Bimbambola e Anima furono le prime fondamentali fotomodelle. Anima è l'anima di tutte le bambole che con il tempo abbiamo raccolto, la Sacra guardiana, è diventata un light box e con alcune parti del suo corpo sono state create altre sculture come Farfalla. Il lupo mannaro lo abbiamo perduto a Torino, era parte di una composizione per la mostra " I giardini dell'arte 2" nel 1993: all’interno di un laghetto abbiamo installato due forni sopra queste due forme raccapriccianti nell'acqua stava Il lupo mannaro di pelouche con le mani movibili, avendo dentro il ferro, faceva i gestacci delle corna e del vaffanculo. Anche Cappuccetto rosso l'hanno rubata, forse da un tunisino perché il l cane che rubarono è stato ritrovato accanto ad una delle loro tane, lui era il cane che faceva la guardia sul baule. Ombra invece è stata interprete del selettore n.6; era fissata ad una macchina elettromeccanica, davanti un faro proiettava la sua ombra amplificata sul muro, la macchina li faceva muovere entrambi da sinistra verso destra e da destra verso sinistra. Ombra aveva le braccia aperte, sembrava accogliesse le persone come un papa, intorno 4 fari vecchi della polizia trovati da un amico trovarobe delimitavano il congegno, che nel buio sembrava minuscolo a confronto con la gigantesca proiezione. La prima installazione è stata realizzata sopra il Castello di Bentivoglio, per la mostra Romantico Contemporaneo curata da Alice Rubini.
Bimbambola è mia figlia, fotomodella insieme a Na la figlia di Claudio. Ora grazie al telefilm Caprica, Lo spirito delle ragazze! ha trovato un suo clone gemello... ma qui si va troppo fuori argomento…vi racconto una delle tante strie sincroniche che ci sono capitate.
Stavo dipingendo i capelli di verde a Claudio, lo desiderava da quando era piccolo, ma lo fece solo quando occupammo la prima fabbrica nel 1994: Il giardino dei Busintori, quando ho avuto come una visione: “Troverò tua figlia!”. Dopo qualche giorno in una strada di campagna mentre passeggiavamo accanto alla ferrovia, abbiamo visto una bambola nel fosso; aveva i capelli rosa, era pallida, al posto dell'ombelico sulla pancia di stoffa aveva dipinto una spirale dello stesso verde dei capelli di Claudio. Poco più in la abbiamo trovato due lettere di plastica nere, tagliate con un contorno particolare, come quando s’ingrandiscono molto le lettere con la fotocopiatrice e diventano irregolari, si leggevano una “enne” e una “a” e così il nome della bambola diventò Na.

Nel 1993 volevo costruire dei disegni con le lampadine disposte in modo tale che accendendosi e spegnendosi si intervallassero disegni diversi, come quelli di alcune fiere di paese. Quando abbiamo provato a costruirlo, aiutati dall’inventore, (grande amico dalle elementari, quando organizzavo degli spettacoli sotto la chiesa nel paesino dove abitavo) siamo rimasti affascinati dai meccanismi delle cose, cosicché il lato estetico raffigurante qualcosa di riconoscibile passava in secondo piano rispetto ai suoi esaltanti meccanismi. Con oggetti trovati costruivamo sculture della serie Selettori. Il selettore n.1 era formato da una cassa di legno per armi dove avevamo innestato un tergicristallo che andando avanti e indietro toccava tre viti che azionavano e spegnevano tre circuiti elettrici che terminavano con tre prese. Questo selettore lo abbiamo usato in diverse installazioni, la prima volta per la mostra Rentrée curata da Renato Barilli ad Ancona nel 1993. In quel caso avevamo inserito nella scultura tre oche disegnate con piccole lampadine intervallate da tre quadrati di pexiglass. Questi disegni luminosi li avevamo installati sulla sommità di un muro esterno. Come tre Madonnine si spegnevano e si accendevano secondo l’intermittenza pilotata dal selettore. Il selettore l’avevamo installato all'interno della mostra sospeso con delle catene (faceva un bellissimo rumore: "tustus clan") mentre il tergicristallo andava avanti e indietro sopra le viti, attirando l'attenzione del pubblico verso l’alto, tre lampadine si accendevano e si spegnevano in relazione ai lavori che avvenivano all’esterno (molti non notarono le tre oche installate sulla sommità del muro esterno, tra i piccioni) Un altro esempio di scultura selettore fu il baule girarrosto; un antico baule al quale avevamo fissato un girarrosto preso da un forno. Girava facendo sentire una radio sintonizzata sulle onde AM posta dentro il baule, ma quando a un certo punto il girarrosto toccava una molla la radio si spegneva e si metteva in funzione un trapano sempre all'interno del baule....la sedia girarrosto, la scatola carillon...
Poi siamo passati agli oggetti con le pompe d'acqua; come la lavatrice svuotata. Avevamo posto la lavatrice, in mezzo all'acqua all’interno di una piscina gonfiabile di gomma. Attraverso una pompa prendeva l'acqua dalla piscina e la ributtava, come una fontana. In un’altra installazione avevamo inserito, in una piscina gonfiabile, un orso con un grande culetto con dentro un compressore di frigorifero, protetto dal polistirolo. Una pompa, collegata al compressore e a una cannuccia che gli usciva dalla bocca, entrava nell'acqua facendo le bolle.

Ci piaceva smontare e capire eravamo affascinati da questo mondo.
Avevamo una collezione copiosa di televisori raccolti da quando sperimentavamo sui video. Venivano tutti impilati formando dei robot giganti, strumenti musicali auto-costruiti o modificati, eravamo innamorati di questi oggetti, cosicché esprimemmo questa passione con una performance, La sindrome di Stendhal e invitammo Maurizio Mercuri a parteciparvi (lui come S.Donato elettronik e noi come Villa Genziana). Ci mettemmo in un'arena, separati dal pubblico, smontavamo, operavamo, collegavamo tv e strumenti musicali, rompendo i tubi catodici, facendo rilevare alle tv le onde luminose degli strumenti. Maurizio ci insegnò molte cose sull’elettronica. La Sindrome di Stendhal si fondava proprio sul riciclaggio, di tutti gli elementi e gli oggetti, di un mondo prezioso che stava andando nel macero. La prima esibizione si tenne al Depot di Bologna nel 1993, e in seguito a Valdagno per la Galleria Loft e a Savona per la galleria S. Andrea. In tutte le performance abbiamo tenuto l'atto scenico di rompere in pubblico un tubo catodico.

Nel 1993, la nostra vita cominciò a cambiare; iniziai a pensare quando Mariasilvia Papais, collezionista molto presa dai lavori con i cristalli dell’Abramovich, mi regalò un cristallo. Ebbi la sensazione che l'esigenza dell'ordine esteriore e interiore fosse diventata una priorità; infatti certi lavori, apparentemente di disordine o disastri (come la Sindrome di Stendhal o l’Incidente della pantera rosa), penso che non avremmo potuto realizzarli se non fossimo vivi nell'ordine. Concepisci questo modo di essere diverso come uno spettacolo se sei sempre dentro il disordine o alla disperazione. E’ più difficile concepirlo perché ci vivi dentro. Fu solo quando era tutto in ordine e ben composto, sia nella casa che nei rapporti con i suoi abitanti, che lasciammo Villa Genziana, (la casa della madre di Claudio che ci ospitava) per cercare una dimensione più consona alle nostre esigenze.

Non volevamo perdere tempo a guadagnare con dei lavori, volevamo tutto il tempo per le nostre sperimentazioni, così decidemmo di occupare le fabbriche per vivere in povertà, o
in ricchezza, a seconda di quello che succedeva. Fu come andare ad abitare in uno degli oggetti trovati. Le abbiamo fatte rivivere con tutto quello che gli apparteneva; alberi, cespugli, spacciatori, mobili, spazio, vuoto, pace. Abbiamo eletto leggi severe per gli ospiti, perché questi spazi lontani, confinati dalla società, avevano ritmi diversi e noi volevamo proteggere questo magico distacco per sentirli con il dovuto rispetto, anche se polizia e carabinieri non la pensavano così e non rispettavano le nostre leggi, ma li abbiamo bypassati con pazienza e tenacia.
Le leggi erano: non sporcare, non fotografare, dopo poco anche non fumare, io smisi di farlo subito per rafforzare quest’atto coraggioso dell'occupazione, fumavo solo le canne.
Da qui fu come se gli oggetti trovati nell'immondizia fossero diventati, una volta da noi protetti, l'arte, la possibilità di trasformare il mondo. Spazzavo contando alla fine i mucchietti per fare mantiche, spostavo sempre tutto e componevo di nuovo per farli vivere in storie diverse. In quei luoghi avevi sempre la possibilità di girare intorno alle cose, quasi nulla era appoggiato alle pareti, l'aria e la vita girava intorno guardando il davanti e anche il dietro, tutto suggeriva dove far ballare con nuove alleanze; erano questi i momenti in cui scoprivo il loro potere, il loro trasformarsi, non era un riciclo, ma un animare per dare altre possibilità e scoprire i loro talenti e i miei.
Anche i mobili erano animati da questo modo di essere e diventarono i protagonisti delle vicende. I salotti protagonisti di varie performance e video diventarono solitari fotomodelli negli ampi spazi dentro e fuori. Avevamo stanze dedicate ai vari materiali o argomenti: la stanza del legno, la stanza degli armadi, la stanza del ferro...In quest'ultima era raccolto e composto tutto il ferro che trovavamo in giro per le fabbriche e nella stufa: bruciando del legno trovavamo spesso dei chiodi bellissimi antichi, cerniere, viti e bulloni.
Componevo a terra come se fosse un grande cielo, formando stelle, spirali, disegni astratti realizzati con i ferri. Si alzavano da terra 95 candelabri fatti dall' Inventore per una mostra nel 1992 nella Rotonda di S. Lorenzo a Mantova. Il titolo era Perdono ed era curata da Luca Massimo Barbero. L'opera consisteva in un P. Brain con l'oca che avevo disegnato sui muri al centro della chiesa, formata da candele e dall'alto si vedeva il disegno. Nelle stanze del ferro invece questi 95 steli di ferro componevano altre forme in un cielo stellare. Solo quest'anno dopo 20 anni ho ricomposto il disegno di P. Brain per l'evento Art container a Lido di Spina. E’ stato emozionante rifarla, ma questa volta era una telecamera a riprendere dall'alto il lavoro e proiettare il disegno sopra un palazzo adiacente.
Gli oggetti, le cose, erano come le figurine che ritagliavo spesso dalle riviste, lo facevo per giorni disponendole tutte sui tavoli, poi al momento giusto le componevo; si componevano quasi da sole formando sorprendenti accostamenti, come il ritratto di Mauro Manara che indusse Guido Molinari a fare una mostra di suoi ritratti (Mauro non si piaceva, ma quando in questo ritratto vide di essere un incrocio tra un bambino e un signore antico, si accettò) e così anche le cose tridimensionali era come se si raggruppassero per fare scene che volevano comunicare qualcosa.
Pian piano la composizione, l'anima delle cose ha preso tutta l'attenzione, non importava più che si muovessero, che selezionassero, ci bastava sentirli; come si sentono gli alberi, e come reagivano affiancati in diverse composizioni. E’ da quel momento che quadrupede, un nostro personaggio dei fumetti, ha preso forma nelle cose. Gli abbiamo dedicato una mostra tanto era importante per noi questo concetto. Quadrupede poteva essere due cavalletti con una trave sopra, e vedevi il suo musetto, oppure una specie di giraffa con i tubi delle tende che poteva avere la grandezza adeguata al posto che l'ospitava, quadrupede era un armadio messo in orizzontale con i piedi riposizionati nella schiena, quadrupede nei fumetti era senza i sensi umani, per questo ci ha fatto scoprire i sensi interiori delle cose. Abbiamo ospitato nella mostra un 'artista molto bravo, Mauro Vignando, che ha interpretato in modo originale e impeccabile il tema quadrupede....
L'importanza dell'essenza delle cose era così forte da lasciare molti mobili vuoti, come esseri viventi. Nel loro vuoto c'era tutto e ancora adesso cerco di avere delle cose vuote in casa. E’ una sensazione molto piacevole, come se si riempissero di qualcosa di ghiotto per l'anima.

Ci fu tutta una serie di mobili sculture chiamate mobilie n. 1, n.2, ecc. Alcune installazioni della serie dei mobili erano realizzate montando mobili trovati e altre fatte fare, tanto che il mobile n.3 (un cerchio di legno dal diametro di 120 cm con lo spessore di 19,5 cm vuoto) fece spremere le meningi a molte persone perché si chiesero cosa fosse stato!!
Uno dei più amati fu il tavolo giardino, era stile Chippendale, non aveva più il piano e la superfice aveva un argine di qualche centimetro e due buchi in mezzo che servivano per alzare l'ex ripiano. Chiesi ad alcuni amici di scegliere nel giardino una pianta, un fiore, un erba che lo rappresentasse; le prendevo con la zolla di terra e le inserivo sul tavolo, Diventò un bellissimo giardino al quale mi dedicavo spesso. Alla fine dell’occupazione di Cime Tempestose, la seconda fabbrica, nacquero nel centro una coppia di gigli che profumò tutta la stanza, (pasticciavo con quella terra e si vede che sono finiti dei semi proprio lì) ma la verità è che la casa ha voluto salutarci così. Siamo riusciti a portarlo intatto nella terza e ultima fabbrica occupata: la Fiat, dov'è diventato rigoglioso e felice. Si tenne una mostra a Torino da Vezzio Tomasinelli, Mobile Credenza, in cui tutti questi concetti e le ricerche spirituali attinenti affiorarono.

Claudio ha spesso scelto delle "scene" per esporle., a volte ci inventavamo delle scenografie adatte ai luoghi, come l'Incidente della pantera rosa, alla Galleria d'Arte Moderna di Bologna Spazio Aperto, o l'Incidente aereo nella Galleria Civica di S. Sofia. Anche se sono oggetti replicati, sono amati come unici, in fondo non esiste nessun essere uguale all'altro, tutto è modificato dall'esperienza e dalle nostre decisioni. Io vedevo gli oggetti cambiare (come la tristezza che colpì la pantera rosa dopo aver recitato nella mostra, è rimasta per molto tempo sotto shock tra un divano e l'altro nel Giardino d'Inverno. La nostra vita nelle fabbriche era una continua installazione, la quotidianità la vivevamo come una performance, dove ogni gesto era nel qui e ora. Cercando di essere al massimo della presenza, dell'attenzione, dell'assorbimento emotivo di ciò che accadeva e con noi gli oggetti che influenzano la nostra energia; cosicché il freddo, la mancanza di luce, di acqua, di servizi igienici, non ci faceva soffrire. Installavamo una mostra ogni giorno: la nostra vita. Fare colazione sulla veranda con la porta aperta per stare alla luce con davanti la neve era un'emozione gratificante. Le cose che trovavamo erano spesso utili e rilevanti anche per vivere.
Ogni anno costruivamo una grande casa di cellofan d'inverno a Cime Tempestose, era sempre diversa; con materiali trovati (tranne il grande cellofan che comprammo al consorzio agrario, quello che viene utilizzato per le serre in campagna). Un anno il cellofan usato per la casa andò ad interpretare il mare inquinato in una mostra, con sopra una macchinina trovata di plastica lunga 150 cm, rossa con la vernice bianca rovesciata sopra, sembrava sangue bianco. Nel 1999 abbiamo messo un armadio con una porta specchio per entrare e quando eri dentro non trovavi più l'uscita. Trovavamo sempre quello che ci serviva, sia per vivere sia per comporre poesie tridimensionali che ci insegnavano ed emozionavano.

Eravamo i servitori di questa grande collezione di "cose", l'energia era rivolta ad essa .
Quando ho comprato un orso da una bambina a N.Y. per 5 dollari e tornata in Italia il giorno dopo ho saputo che erano stati acquistati per 5 milioni i miei due orsi di quando ero bambina assemblati in una installazione, ho avuto una conferma positiva della mia ostinazione.

Amo la plastica, non importa che sia replicata, per me ogni pezzo è unico. Abbiamo anche delle opere di legno; ad esempio il tavolo di legno per imballare i grandi pacchi, auto-costruito dal signor "eventualmente" nella prima fabbrica occupata, "i magazzini raccordati della banca del monte" da noi chiamata Il giardino dei bucintori. E’ diventato, assieme ad una scrivania del padre di Claudio la scultura mobile n.13: eventualmente signorina. (“eventualmente” perché è il nome che noi abbiamo dato a questo signore che ci diceva sempre "eventualmente signorina se potesse farmi questo favore”). Un giorno in un biglietto si firmò così, fu incredibile, conosceva il nostro modo di chiamarlo. “Signorina” fa parte del titolo perché la scrivania è una signorina, come aspetto, protetta dal grande tavolo di legno rude e massiccio (il tavolo aveva interpretato anche l'Altare delle Petronille in una mostra). Abbiamo anche molte cose salvate dai magazzini della FIAT, forse a Torino saranno pieni i magazzini di oggetti simili, ma i nostri hanno vissuto una storia.

Siamo e dunque agiamo, ma che peso è la vita con tutti questi signori che danzano intorno a noi, infatti, non faccio quasi più lavori giacché la materia è così permeante. Non abbiamo più spazio dove mettere le cose che compongo castelli sottili di campanelle che si arrampicano sull'abito che sta al vento da anni in giardino. Per noi il riciclaggio è stato facile, era già insito nel voler capire ogni oggetto, cosa fosse e cosa potesse dare o volere. E’ tutto pregno di noi uomini, di amore di pazienza di esperienza e buttare sembra di farlo con le creature che hai sempre salvaguardato. Quando sei così il riciclo ti sembra il minimo, come puoi dare significato al "buttare via"? non riesci a lasciare le cose nell'infelicità. Però a volte siamo stati costretti a farlo, ogni trasloco ci ha allontanato da molti oggetti, soprattutto quelli grandi, abbiamo cercato di donare, salvaguardare il possibile, ma quello che non siamo stati capaci di prendere e di regalare. E’ finito nei vortici dell'insensatezza. Siamo stanchi degli oggetti, quelli salvati li custodiamo in scatole che occupano lo scarso spazio vitale della nostra casa-bunker-magazzino, ma credo che possano con il valore aggiunto dal nostro pensiero; dalla loro storia, dalla fruizione degli ospiti, trovare una nuova collocazione. Una volta credevo nel museo ma ora non più, quando vedo il Museo di Remo Brindisi a Lido Di Spina, mi pervade molta tristezza.

Abbiamo invitato qui l' Assessore alla Cultura Ronchi in un momento di seria difficoltà per riuscire a sopravvivere, l’abbiamo chiamato per chiedergli di regalare questa casa di Claudio (è una ex tipografia che ha comperato con la sua eredità) al Comune così che ci aiuti nelle spese di sopravvivenza come luce e gas e alla nostra morte possa farne un museo con le cose che contiene, abbiamo anche noi come Remo Brindisi molte opere di altri artisti: Campanini, Marisaldi, Pessoli, Grazzi, un Cattelan, Fantin, ecc. Ma Ronchi ha detto di bruciare tutto, di pensare al futuro, mi è stato simpatico!

Quando mi sono venuti seri dubbi sul tenere queste cose le stavamo mettendo in ordine e pulendole; tornavano da una sosta di molti anni nei magazzini di Claudio Sabatini che ci prestò, quando perdemmo la FIAT, (lavavo proprio la piscina della balena morente, fontana esposta nell' Incidente aereo, in una mostra curata da Fabio Cavallucci).
La sera stessa ho incontrato su facebook Fabio che afferma l'importanza che ha avuto per lui quella mostra e mi chiede se ho ancora gli oggetti che la rappresentano perché gli piacerebbe reinstallarla. Poi non l'ho più sentito, ma ciò mi è bastato per capire la sincronicità, devo resistere e salvare i nostri tesori.

Sul tema del riciclaggio abbiamo realizzato dei manifesti per la mostra Emergenze creative 2010, a Ravenna, li abbiamo illustrati con "la vita di un maiale" perché lui è uno di quelli che ricicla vivendo come se il mondo fosse tutto un maiale, da brava donnina ti dice cosa fare per essere un bravo umano.

Quello che è stato lo avremo per sempre, una bella consolazione (ma non sempre).
Vorrei fare delle opere ora che non spariscono mai perché tutti le sognano.