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ArteSera Anno 3 Numero 18 giugno-luglio 2013



Masbedo



Il primo free press di Arte Contemporanea per tutti


SOMMARIO

COPERTINA: Immagine tratta dal Libro Rosso di C. G. Jung - Courtesy Biennale di Venezia

LIBERA CREATIVITA' ITALIANA: Ménage à trois | Daniele Galliano, The man who managed to get pussy off his mind | L'homeless tour dei Garden of Alibis | Antonio Marras | Hamsters Studio | Intervista a Giulia Caira | Davide Manuli

COLLEZIONE ARTESERA: Masbedo

INTORNO ALLA BIENNALE - Olga Gambari

LUOGHI DELLA CREATIVITA': Farm Cultural Park (Favara) | Manifatture Knos (Lecce) | Birrificio Metzger (Torino)

CIBO E DINTORNI
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Art Design for Freedom
Giuseppe Ghignone
n. 20 marzo-aprile 2014

La città dell'arte contemporanea

n. 19 novembre-dicembre 2013

Sul confine
Giuseppe Ghignone
n. 17 aprile-maggio 2013

L'arte che verrà

n. 16 novembre - dicembre 2012

Il racconto degli oggetti
Monica Cuoghi
n. 15 settembre-ottobre 2012

La prima di Marina
Marina Sagona
n. 14 luglio-agosto 2012


"Orgia", Masbedo per ArteSera

La libertà di meticciare è il vostro segno. Un fare comune al mondo dell’arte?
Nell’arte, al di là di dichiarazioni e etichette, in realtà c’è molta più rigidità e paura di farlo fino in fondo.
Noi siamo sempre stati videoartisti puri. Lavoriamo sul piano registico creando delle cose che non esistono. Facciamo vedere al pubblico che siamo artigiani che stanno creando le immagini, ma il pubblico, anche e contemporaneamente, vede nello schermo la rappresentazione iper-estetica delle immagini che stiamo costruendo. Per noi è fondamentale la relazione dell’arte con altri linguaggi, far vedere anche tutti i rischi che l’arte corre. Per esempio l’errore, il brutto, sono tutti elementi che si cerca di mettere sotto il tappetino, invece noi li mostriamo, nel tentativo di ricerca di bellezza.
Ma il pubblico dell’arte è spesso distante da questo tipo di ricerca. Ce ne siamo accorti chiaramente quando abbiamo presentato un video girato in Islanda, Glima (2008), che ha viaggiato da RomaEuropa alla Tanzhaus di Düsseldorf: era una cosa particolare, che contaminava il teatro-danza con l’arte. E ancora di più quest’anno, con il progetto Le Remède de Fortune ispirato a Guillaume de Machaut, musicista visionario e geniale del Trecento, che abbiamo portato in scena con l’orchestra Sentieri Selvaggi e Fanny Ardant a RomaEuropa, imbastito sulla dinamica dell’improvvisazione dal vivo. Ci sono state due date a Roma e una al Teatro Strehler di Milano. In sala non c’era una sola persona dell’arte. Per dire, che il mondo dell’arte non ti segue in questi territori, che sono magnifici perché tu, oltre alla tua capacità di saper essere un videoartista, devi attuare anche un piano registico dell’immagine. Come può bastarti nella vita fare solo e unicamente video? Riempire musei e gallerie mettendo dei plasma o dei proiettori? Devi metterti in discussione. Steve McQueen e Sam Taylor Wood sono stati nel territorio dell’arte, poi hanno iniziato a far fatica, hanno avuto bisogno di espandersi, ma non era un capriccio, era un’urgenza. Bisogna rompere questa etichetta dell’artista contemporaneo che rimane solo nel suo sistema feudale, perché è limitante. Per sé e per il pubblico.

State lavorando a un progetto con la coppia di registi RicciForte (che in realtà si definiscono art-makers)
 Il prossimo progetto non so neanche dire esattamente che cosa sia. Sarà una performance multimediale fatta in collaborazione con RicciForte: andremo su una piccola isola e imposteremo un impianto registico tipo cinema, per due re giorni, che verrà messo in streaming. Fuori da qualsiasi definizione e contesto. Ne faremo un’opera a cinque schermi, un’azione diretta e performativa che viene filtrata dalle telecamere, utilizzando un’estetica “filmottica”. Il video ha proprio in sé questa possibilità e questa esigenza. Per noi il meticciare, il mettere insieme, l’imbastardire è diventato un atto politico, dimostrativo. Io dico sempre che bisogna ritornare a fare gli artisti che stanno con gli artisti, che voglio avere amici artisti, perché mi interessa che il poeta, lo scrittore stiano con il pittore, che il pittore sia amico del jazzista, cioè che torni una dinamica di fusione, del rimettersi insieme.

Avete sempre avuto rapporti diretti con gli scrittori e i musicisti, gli attori con cui collaborate.
Ci interessa solo questa modalità di collaborazione. Con lo scrittore francese Michel Houellebecq abbiamo lavorato cinque anni, lui ha sempre scritto cose originali creando il progetto direttamente con noi. Dal primo 11.22.03 -che è il video che ci ha lanciato, lo presentammo nel 2002 ad Arco a Madrid dove vinse come migliore opera, suscitando anche un grande dibattito). Un lavoro durissimo, teatro spinto con due schermi, musica d’organo e sound-design curato da alcuni elementi del gruppo dei Bluvertigo fino a Il mondo non è un panorama con Juliette Binoche. Già dall’inizio noi siamo partiti meticciati. Con il gruppo musicale dei Marlene Kuntz abbiamo collaborato spesso: Glima, nel 2008, poi Schegge d’Incanto (in cui recitavano Sonia Bergamasco e Ramon Tarès della Fura dels Baus) alla Biennale di Venezia l’anno dopo, insieme a Gianni Maroccolo. E qualche giorno fa con loro abbiamo fatto una performance improvvisata e libera a Ca’Foscari, a Venezia, tra suoni e immagini.
Vogliamo sempre prendere un’idea, metterla nel territorio della complessità e continuare a spostare oltre il confine, rischiare.

State lavorando anche a un film.
Sì, un lungo per le sale. Con il mondo del cinema abbiamo avuto spesso contatti. Nel 2010 siamo andati a Basilea, a Art Unlimited con la video-installazione Kreppa Babies, su cinque schermi, un lavoro sociale forte. Anche lì l’atteggiamento del mondo dell’arte è stato di disinteresse a priori. Poi il regista Davide Ferrario vede il lavoro, se ne innamora e ci chiede di farne un’edizione a schermo unico. In sette mesi siamo già stati a nove festival, da Venezia Roma, Reykjavík, Copenhagen, Parigi. E io mi chiedo, come è possibile, che uno stesso lavoro, in ambiti diversi, susciti reazioni così opposte?
Il film che stiamo girando, è formato da 5 capitoli che parlano di altrettante donne, che stanno cercando di resistere. Il tema è la mancanza, il titolo infatti è proprio De lac (la mancanza). Queste donne vivono in paesaggi assolutamente allucinanti, con una visionarietà tra Terrence Malick e Lars von Trier. Ci sono serre che galleggiano, abiti bianchi sospesi su villaggi di pescatori, laghi caldi che emettono vapori, fari su scogli. Non si vede nessuno, solo queste donne. Due episodi li abbiamo girati in Islanda, il prossimo sarà a Ginostra, un omaggio ad Antonioni, al suo film L’avventura.

C’è un aspetto pittorico e scultoreo nella composizione delle vostre immagini, pur animate da una grande dinamicità performativa, legata alla danza e al cinema. Un’idea di opera totale, wagneriana.
Abbiamo una visione sacrale dell’arte. E noi citiamo proprio Wagner come esempio dell’opera d’arte totale, alla quale aspiriamo, che ci interessa.
C’era un poeta spagnolo che diceva di vedere l’arte come un’arma di resistenza alla vita. L’artista è un parassita, cioè colui che si attacca alla realtà, la vede e la succhia per portare sacralità, di ritorno, all’interno stesso della realtà.