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cura.magazine Anno 5 Numero 14 primavera-estate 2013



Titologia dell'esposizione

Jean-Max Colard



Free press trimestrale dedicato ai temi dell'arte e della cultura contemporanea


SOMMARIO cura.14
– Spring-Summer 2013


PART I — CURATING

INSIDE THE COVER
SAM FALLS
words by Adam O’Reilly

PORTRAITS IN THE EXHIBITION SPACE
265 — LUCY R. LIPPARD
by Lorenzo Benedetti

SPACES—STUDY CASES
KRIST GRUIJTHUIJSEN
GRAZER KUNSTVEREIN
by Vincent Honoré

TALKING ABOUT
CURATING THE TITLE OR
EXHIBITION TITLEOLOGY

by Jean-Max Colard
project by Stefan Brüggemann

TALKING ABOUT BOOKS
LET US SAVE POUL GERNES
by Raimar Stange

PART II — EXPLORING

LAB
WILL ROGAN
SITTING
words by Apsara DiQuinzio

SPOTLIGHT
SEAN EDWARDS
UNTITLED (MAELFA)
in conversation with Adam Carr

SPOTLIGHT
ANN CATHRIN NOVEMBER HØIBO
EMPTY CLOTHES
in conversation with Ruba Katrib

LAB
GABRIELE DE SANTIS
LIKE
texts by Valentinas Klimašauskas and Alex Ross

SHOW AND TELL
SARA BARKER
AT THE THRESHOLD
by Cecilia Canziani

SPOTLIGHT
NIELS TRANNOIS
TASHIKA NI
in conversation with Alexis Vaillant

THE EXHIBITION ROOM
G. KÜNG
MAKING TRACKS
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Cosa può fare una scultura?
Cecilia Canziani
n. 18 autunno-inverno 2014

Richard Sides
Anna Gritz
n. 16 primavera-estate 2014

Nicolas Deshayes
Isobel Harbison
n. 15 autunno-inverno 2013

Laura Reeves. Ritorno alla realtà
Adam Carr
n. 13 inverno 2013

Marie Lund
Cecilia Canziani
n. 12 autunno 2012

Illusione o paura?
Gavin Wade
n. 11 primavera-estate 2012


Show Titles, a project by Stefan Brüggemann

Show Titles, a project by Stefan Brüggemann

Show Titles, a project by Stefan Brüggemann

Molto semplicemente: per lo spettatore una mostra comincia generalmente dal suo titolo. Che sia su un invito, su un poster o scritto a grandi lettere sul muro all’ingresso di una sala, il titolo, che costituisce spesso il primo ‘interfaccia’di una mostra, è un mix di informazione e seduzione. Vengono in mente le tre funzioni principali indicate da Gérard Genette in Seuils [Soglie]: il titolo di un testo può servire 1) a nominarlo, 2) a indicarne il contenuto, 3) a metterlo in evidenza. Nel caso di un’esposizione il titolo ci dà generalmente informazioni sull’artista (o sugli artisti) in mostra, limitandosi a volte al solo nome. Ci indica potenzialmente il genere di esposizione: monografica, retrospettiva o collettiva, tematica, artistica, floreale o scientifica… Ci può anche consegnare il contenuto plastico (Pablo Picasso, céramiques) o il messaggio teorico (Mel Bochner. Working Drawings and Other Visible Things On Paper Not Necessarily Meant To Be Viewed As Art, School of Visual Arts, New York, 1966). Il titolo è anche la promessa di un paesaggio e dispiega un “orizzonte d’attesa”, secondo quanto espresso da Hans-Robert Jauss nella sua Esthétique de la réception (1972): non si entra con la stessa predisposizione nel Salon de l’Academie Royale des Beaux-Arts, nella mostra Five Cubes o in Sensation.

Dopo il suo scivolamento nell’industria della cultura, il campo dell’arte assiste a una proliferazione di titoli e a un moltiplicarsi di strategie atte ad attrarre l’attenzione di potenziali visitatori. Questa esponenziale crescita appare anche nelle pratiche artistiche e curatoriali recenti: se da una parte la giovane curatrice francese Béatrice Méline ha raccolto una particolare collezione di titoli di mostre, interrogando artisti e curatori sui titoli preferiti, dall’altra l’artista Stefan Brüggemann ha immaginato, sotto il nome di Show Titles, una lunga lista di titoli di mostre, che egli considera come un’opera a tutti gli effetti: convenzionali (The New Conceptualists), politici (Tropical Critique, Unproductivism), spesso ironici e irriverenti (Bad Mexican Artists). Questi titoli sono liberi da diritti: un curatore, un conservatore di museo o un gallerista possono utilizzarli a propria scelta, a condizione di indicare nei credits il titolo in questione come intervento artistico dello stesso Brüggemann e di farlo quindi comparire tra gli artisti in mostra. Infine, basandosi sul meccanismo dei fornitori informatici di titoli di romanzi, la storica Rebecca Uchill ha lanciato sul web un software per curatori chiamato Random Exhibition Title Generator/(1)

L’ho testato per capire il programma, cliccando il tasto “curate me!”. Risultato: sono apparso come curatore della mostra Relational Dreams: Cheating the Avant-garde. Perché no?
Di fronte a questa proliferazione emerge un paradosso: se il titolo delle opere letterarie è stato oggetto di una certa quantità di studi e se quello delle opere è stato parte integrante di indagini metodologiche da parte di storici dell’arte, la “titologia” di mostre ha conosciuto finora pochi sviluppi noti nella ricerca storico-artistica. Occorre spingere l’indagine sul piano linguistico o della pratica curatoriale contemporanea per trovare analisi pertinenti, come per esempio quella condotta da Tom Morton. Ma prima di intraprendere un saggio sulla tipologia dei titoli di mostre, occorre sottolineare la specificità di questi ultimi e la complessità del loro dispositivo.

Topologia
Cominciamo da un primo fenomeno: se il titolo di un’opera letteraria è composto della stessa materia, verbale, dell’opera stessa, ciò non accade con un titolo nel campo delle arti plastiche o della musica, dove non si ritrova più questa continuità di materiale. Nel designare un dipinto, una sinfonia o una mostra, il titolo apre a una certa eterogeneità e produce dunque quella “disgiunzione dal mezzo” espressa dal teorico Pierre-Marc de Biasi.
Tuttavia il titolo di una mostra non funziona nemmeno come quello di altre opere d’arte. Spesso è esso stesso eterogeneo, includendo regolarmente menzioni formali (Magritte. Peintures et gouaches, alla Galerie du Faubourg nel 1948), ma anche nomi di luoghi, date (Bertrand Lavier, depuis 1969, al Centre Pompidou, 2012), periodi di tempo (Trente ans de peinture, proclamò Picabia nel 1930 da Léonce Rosenberg, una formula che riprenderà ironicamente qualche anno dopo alla galleria René Drouin con Cinquante ans de plaisir). Notare tra gli altri: la mostra di Sol LeWitt, Fifty Drawings, 1964-1974 (New York Cultural Center, 1974).
In sintesi, il titolo di mostra è più spesso un “dispositivo titologico”. Il nome dell’artista sovrasta di frequente una serie di informazioni gerarchizzate, in cui un numero variabile di sottotitoli è più o meno integrato al titolo stesso (Dan Graham, Œuvres, 1965-2000). Questa ricchezza titologica si ritrova, come è noto, nelle grandi collettive storiche, come Elles@centrepompidou. Artistes femmes dans la collection du Musée National d’Art Moderne, Centre de création industrielle. Questo dispositivo può tuttavia incorrere in un gioco di interferenza gerarchica: si assiste a una quantità di possibili permute tra il sottotitolo nominale, il titolo, suoi sottotitoli informativi e altri elementi annessi, sempre in grado di accedere alla funzione titolo. Quante mostre intitolate Retrospective… E allo stesso tempo si è visto il nome del luogo, che dovrebbe apparire come sottotitolo, rimontare in pole position: per esempio la mostra Le Confort Moderne al Confort Moderne di Poitiers (curata da Mathieu Copeland), o ancora 35, avenue Foch e 18, rue de Lourmel di Gilles Mahé nel 1977 e nel 1978. Questa geolocalizzazione ha caratterizzato anche tutte le prime mostre temporanee, come i “Sallons”, secondo la dicitura del 1737, così chiamati perché si svolgevano nel Salon Carré du Louvre.
Infine, se esiste “un’arte dell’esposizione”, non c’è dubbio che la poetica del titolo partecipi al suo riconoscimento, all’identificazione dell’esposizione come forma, come medium. Da qui l’interesse di Szeemann per i titoli delle sue mostre, che egli indicava come “la creazione di una zona di poesia attraverso progetti unicamente artistici”: Zeitlos, De Sculptura, Skulptur sein e ancora Spuren, Skulpturen und Monumente ihrer präzisen Reise, così commentato dal capo curatore: “Questo fluttuare nel titolo non è solo un dilemma d’espressione di sentimenti e di sensazioni interiori non narrabili, ma anche il segno di una certa timidezza nella denominazione”. Tale titolazione poetica, mirante a indicare la mostra come una vera e propria opera, è approdata a un fenomeno recente più frequente nel caso di mostre monografiche: il nome dell’artista si ritrova ormai chiaramente distinto dal titolo stesso della mostra, come accade nell’eccellente (il mio preferito tra tutti), L’expédition scintillante – A Musical, di Pierre Huyghe alla Kunsthaus Bregenz. O ancora All per la retrospettiva di Maurizio Cattelan al Guggenheim. Perciò, questa poetica del titolo è oggi ripresa da un’industria della cultura e dei musei che punta ad attrarre l’attenzione del pubblico attraverso titoli meno accademici, come per esempio quello della Triennale del New Museum, Younger than Jesus, immediatamente inserito dalla stampa nel “Department of Bad Exhibition Titles”. Con il supporto delle strategie di comunicazione, il titolo effettivamente informativo si vede superato da un titolo più promozionale e attrattivo, dalla mostra Sensation. Young British Artists from the Saatchi Collection (Royal Academy, Londra, 1997), fino alla più recente New Order: British Art Today (Saatchi Gallery, 2013). Si noterà anche l’uso intensivo dei punti esclamativi o dei prefissi promozionali, come in Supernova, Super Visions o Super Warhol.

Tipologia
Questa breve lista è un tentativo di distinguere gli elementi e le strategie possibili di titolazione d’esposizione.

Titolo eponimo: così si definisce il titolo che corrisponde all’istanza che espone – l’artista, gli artisti nel caso di mostre collettive, il gruppo di artisti, ma anche l’istituzione (pubblica o privata) che espone la propria collezione. Come ha fatto notare Tom Morton, l’eponimia costituisce la pratica più diffusa nel caso di mostre “personali”.

Titolo mediologico: formulazione incentrata sul medium della mostra.

Titolo-opera: quando il titolo della mostra corrisponde a quello dell’opera o della serie di opere in esposizione.

Titolo meta-semiotico: formulazione incentrata sui codici, le fonti, il tema, la teoria, la pratica o i principi alla base della concezione della mostra.

Titolo iconico: in termini di funzione iconica si trovano dei titoli evocatori di elementi visivi, grafici, cromatici, geometrici, grafici e ottici…

Titolo poetico: iIncentrato sulla letteralità del titolo: “La funzione poetica riguarda l’insieme dei titoli che giocano sull’intertesto culturale, le risorse della retorica, i giochi di parole, la lingua poetica o l’immaginario narrativo” (Pierre-Marc de Biasi). “Intitolare una mostra servendosi di un’opera di fiction o citare un passo di un romanzo o di una poesia è una strategia comprensibilmente popolare” (Tom Morton) .

Titolo trans-mediale: la formulazione gioca su un intertesto culturale e non più esclusivamente letterario, tratto dai campi del cinema, della musica, della danza ecc., o allo stesso campo dell’arte.

Bibliografia
V. Tunger, Attirer et informer: Les titres d’expositions muséales, L’Harmattan, Parigi 2005
T. Morton, [Insert Title Here], “frieze”, no. 139, maggio 2011
La fabrique du titre: nommer les œuvres d’art, opera collettiva, a cura di P.-M. de Biasi, M. Jakobi e S. Le Men, C.N.R.S. Editions, Parigi 2012
G. Genette, Seuils, Editions du Seuil, Parigi 1987 (trad. it. Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino 1989)

NOTE
1.http://www.mit.edu/~ruchill/lazycurator.html.