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Flash Art Italia (1999 - 2001) Anno 33 Numero 224 Ottobre-Novembre 2000



In Betwenn: i rischi dell'extra large

Jens Hoffmann



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Claes Oldenburg, Spoonbridge and Cherry, 1988 - acciaio verniciato e alluminio, 55 x 25 m

Franz West, Creativity: Furniture Reversal, 1998 - 28.5 x 38 x 28.5 cm

Maurizio cattelan, Senza titolo, 1998 - ulivo, terra 800 x 500 x 500 cm ca

Dietro le due parole Expo Hannover si nascondo 14 milioni di visitatori, 170 nazioni rappresentate, 20 mila giornalisti, 222 ore di inaugurazioni trasmesse in TV, lo scheletro di Lucy, il primo essere umano sulla faccia della terra, 2 cammelli trasportati di peso nel padiglione degli Emirati Arabi, più di 20 mila eventi culturali, e in mezzo a tutto questo, letteralmente In Between, i curatori Kasper Koenig e Wilfried Dickoff in compagnia di 15 artisti.
In questo scenario, viene spontaneo chiedersi come si riuscirà a distinguere le opere d'arte dalle attrazioni e dai trucchi da baraccone, tanto più che oggi l'intrattenimento si avvale di strategie e linguaggi mutuati proprio dall'arte contemporanea.
D'altra parte, l'arte ha cannibalizzato l'industria dello spettacolo e non c'è bisogno di rileggere Benjamin per scoprire che siamo tutti vittime del sex appeal dell'inorganico. Così si lascia l'Expo e la mostra In Between con un vago senso di insoddisfazione, ma, cinque minuti più tardi, ci si ritrova seduti in poltrona ad ammirare le foto del catalogo, completamente ipnotizzati: avvolte in quella patina lucida, le opere d'arte non sono mai sembrate così spettacolari. In altre parole, le rassegne come In Between pongono domande e sollevano dubbi ai quali è impossibile rispondere, semplicemente perché l'industria dello spettacolo e l'industria dell'arte parlano ormai un linguaggio tanto sofisticato da neutralizzare qualsiasi posizione e giudizio definitivo. La mostra non convince, ma l'immagine resta: il trucco è svelato, sotto gli occhi di tutti, eppure è impossibile resistergli. Il problema, quindi, non è più la lotta contro la società dello spettacolo: si tratta piuttosto di non scambiare la più grande omelette al mondo con l'ultima opera di Claes Oldenburg...
Questo stesso dubbio deve avere ossessionato i curatori e gli artisti accorsi a In Between.
Ciononostante il gigantismo e le variazioni di scala sono state le strategie più utilizzate dagli artisti. E tuttavia i loro interventi, in alcuni casi, si sono risolti in piccole azioni di disturbo, soprattutto se paragonate alle dimensioni ciclopiche dell'Expo. I lavori migliori si sono misurati con l'idea di silenzio e riposo, cercando di offrire una pausa in un contesto quanto mai rumoroso ed eccessivo. Così Marijke van Warmerdam ha presentato un film in 35 mm, nel quale compare l'immagine raggelata di un ragazzo in costume che contempla un paesaggio lacustre.
Qualcosa del genere accade anche nell'installazione di Tobias Rehberger: un giardino giapponese, completo di albero bonsai, panca di legno, roccia vagamente zen e un sacco di neve finta.
Albert Ohlen, invece, ha deciso di inscenare una specie di parodia del gigantismo che sembra affliggere i partecipanti all'Expo: il suo pezzo si candida, infatti, a passare alla storia come il più grande mosaico al mondo. Le strategie dell'entertainment, d'altra parte, ritornano in molte altre opere. Maurizio Cattelan, ad esempio, ha impalato un'auto dell'Audi - uno degli sponsor della mostra - trafiggendola con un gigantesco albero che sembra spuntato chissà come tra lamiere e interni in pelle. Se Cattelan ironizza sul tema dell'Expo, quest'anno dedicata alla commistione tra natura e cultura, Paul McCarthy si appropria dell'immaginario da parco dei divertimenti: la sua Chocolate Blockhead è una scultura gonfiabile ciclopica, all'interno della quale si trovano distributori automatici che vendono barrette di cioccolato a forma di naso di Pinocchio.
Sull'edificio più alto dell'Expo, Franz West ha installato il suo World on a String, un enorme globo azzurro che penzola da un cavo di acciaio: il mondo di West è una sfera gigante, ma nel frastuono dell'Expo sembra scomparire in lontananza, ridotto a una visione o a un miraggio da quattro soldi.
Gabriel Orozco preferisce nascondersi: la sua ruota panoramica sembra infossarsi nel terreno, come se fosse sul punto di scomparire. Con il suo fascino antico, La Rueda de la Fortuna rappresenta la controparte cigolante e trasognata all'efficienza frastornante dell'Expo. E così si lascia la mostra chiedendosi se la fragilità possa diventare un antidoto efficace contro la grandeur dello spettacolo.
Jens Hoffmann è curatore. Vive e lavora a Berlino.
(Traduzione dall'inglese di Massimiliano Gioni)