Tra solitari ci si fa compagnia
Roberto Lambarelli, direttore di Arte e Critica, racconta che agli inizi
degli anni '90 la rivista e' nata per analizzare le ragioni dei
cambiamenti culturali e storici, parlando dell'arte e dei "luoghi" in cui
questa si "esercita". Dalle sue parole salta all'occhio la coerenza con il
titolo scelto per la rivista, essendo lui di fatto un personaggio assai
critico. Non e' dalla parte di chi, per fare cassetta, segue
pedissequamente la scia di poche mode internazionali, ne e' d' accordo con
il fatto che oggi il valore economico sia diventato un parametro di
validita' delle opere. Accetta a malincuore di riconoscere l'esistenza
stessa del sistema dell'arte e sostiene che comunque non e' meritocratico.
Lambarelli dice che Arte e Critica agisce sull'eco delle voci dominanti
per cercare di restituire uno spazio al pluralismo. E se gli piace
intendere la redazione come una piazza aperta a diversi livelli, allo
stesso tempo la definisce anche una torre; perche' appunto... tra solitari
ci si fa compagnia.
Intervista a Roberto Lambarelli
Direttore di Arte e Critica, trimestrale di cultura artistica contemporanea
a cura di Silvia Maria Rossi
Solitamente è in una stanza che prende vita una rivista, nel vostro caso?
La redazione è per noi al contempo osservatorio e torre di controllo, almeno per quel che concerne il nostro spazio d'azione, è il luogo di un processo complesso che prende avvio dalla realtà delle cose, è uno spazio aperto. Non è il luogo di una registrazione più o meno puntuale di eventi basata sull'errata uguaglianza "più notizie = più informazione". Agiamo in un'epoca in cui la quantità di informazioni, moltiplicata all'infinito, è diventata soltanto fastidioso rumore. Noi lavoriamo piuttosto in una condizione di post-produzione: partiamo dalla presa diretta degli eventi per dare statuto alla critica. In un certo senso, nella nostra stanza-redazione si completa il ciclo. Si chiude l'opera in un possibile significato.
Il nostro impegno mantiene fede ad un progetto culturale che fa resistenza alle mode più vuote. Agiamo sull'eco delle voci dominanti per cercare di restituire uno spazio al pluralismo, di dare un fondamento storico al fare.
Dunque, più che alla stanza-redazione, luogo intimo e confidenziale, ci piace pensare alla piazza-redazione, intesa come dimensione comune, aperta ai diversi livelli di partecipazione e rivolta ad un pubblico ampio e variegato.
Cosa vi sembrava che mancasse nel panorama editoriale contemporaneo delle riviste d'arte quando avete iniziato?
Quando abbiamo iniziato, una quindicina di anni fa, la situazione era profondamente diversa da quella attuale. Allora in Italia c'era più attenzione alla produzione nazionale, si riconosceva più dignità all'arte italiana, e dico italiana con uno spirito d'identità culturale tutt'altro che nazionalista, bensì con la voglia di misurarsi con l'altro, in una apertura internazionale. In quella fase non erano ancora apparsi all'orizzonte nè gli artisti dell'Est Europa, nè quelli della Cina nè tanto meno quelli dell'India. Quando è stata progettata la rivista – al debutto degli anni Novanta – già a partire dal titolo esprimevamo il nostro programma. "Arte e Critica" voleva parlare di arte e dei "luoghi" in cui essa si "esercita": il museo, le gallerie, le università, i saggi e le pubblicazioni in genere... e parlare delle scelte che in essi si compiono perchè in quelle scelte si attua la prima forma, se volete la più elementare, di critica. Così pensata, l'attenzione non poteva che appuntarsi sul nostro sistema artistico, sulla nostra politica culturale, sui luoghi di formazione.
Quella dei primi anni è stata una scuola impegnativa, che ci è valsa una formazione a tutto tondo. Certo, oggi la rivista è molto cambiata, si è internazionalizzata ma non globalizzata, pone molta più attenzione ai fatti artistici ma senza trascurare problematiche più istituzionali, tenendo così fede a quel principio, sopra ricordato, di cercare le ragioni culturali e storiche dei cambiamenti in atto.
E oggi è cambiato qualcosa?
Nel giro di un paio di lustri è cambiato il mondo. Non solo, come dicevamo prima, la scena si è arricchita di un gran numero di artisti provenienti da tutto il mondo, ma più recentemente l'arte è stata scoperta dalle banche, che hanno imposto una profonda trasformazione nel pensarne il senso e il valore. La crisi economica che stanno attraversando gli Stati Uniti e il recente sviluppo, senza precedenti, dei mercati finanziari di Shangai e di Dubai, e cioè fuori dall'influenza occidentale, lasciano presagire grandi cambiamenti e quindi bisognerà aspettarsi particolari sviluppi per il mondo dell'arte. Il rischio è che vengano progressivamente soffocate le istanze etiche a favore di quelle economiche e poi forse anche finanziarie. Previsione fin troppo facile data peraltro la più generale crisi delle idee che ha investito la nostra cultura e non da oggi... Che dire? Si, oggi è veramente cambiato qualcosa.
Quali sono i fattori che possono influenzare l'orientamento di un Magazine? O cosa limita in qualche modo la libertà di scelta di una rivista?
Qualsiasi attività che si voglia intraprendere non può non considerare l'aspetto economico. C'è stato forse un tempo in cui si poteva contare sull'impegno culturale, se non addirittura ideologico, sulla voglia di costruire, di conoscere e progredire, di incidere sulla realtà. E noi ancora resistiamo su questa posizione. Ma oggi sempre più si deve considerare il risvolto economico dal momento che, oltre che mezzo di sussistenza, esso è divenuto parametro del valore. Basterebbe guardare le dinamiche legate alle opere d'arte: più costano e più valgono. Il valore di scambio non ha più alcuna relazione non dico con il valore d'uso ma neppure con quello simbolico, sottratta com'è l'opera dal mercato a qualsiasi giudizio.
Oggi, in cui già le grandi imprese multinazionali conquistano sempre maggiori aree di mercato, che la grande distribuzione monopolizza il mercato, si va preparando il terreno che permetterà di quotare gli artisti in borsa. E solo questi artisti avranno corso. Cosa faranno allora le gallerie? Saranno costrette a fare quello che alcune fanno già da anni, diventare degli showroom, punti di esposizione di artisti di mercato vincolati alle più potenti gallerie internazionali. Gallerie senza personalità culturale, in balìa di decisioni prese altrove. Accadrà quello che è già avvenuto con la moda, e che sta succedendo con l'industria alimentare. Si costituiscono degli oligopoli che controllano l'intero mercato. Questo significherà una drastica riduzione della libertà individuale, di cui l'arte è ancora un baluardo.
Qual è il rapporto con il territorio su cui operate?
La caratteristica attuale di "Arte e Critica" è quella di essere una rivista italiana attenta alla realtà internazionale, che ambisce a conquistare un'autorevolezza grazie alla serietà e alla caparbietà del proprio lavoro. Posta in questi termini, il rapporto con il territorio, con il locale, passa in secondo piano. Ma la volontà di relazionarci comunque al territorio in cui operiamo, senza per questo alterare l'interesse generale della nostra azione, ci ha portato già da qualche anno a dar vita ad un supplemento che ha riscontrato un ottimo consenso, "Arte e Roma", uno strumento per restituire una identità culturale alla città attraverso la registrazione della molteplicità degli eventi e dei personaggi che la animano, delle riflessioni che la attraversano.
C'è da dire che nel corso degli anni Novanta Roma non ha espresso una grande vitalità; non che di artisti o di gallerie non ce ne siano stati, ma in una condizione di mercato come quella prima descritta, l'assenza di un collezionismo importante e con una mentalità imprenditoriale ha messo fuori gioco la città stessa, e i nostri tentativi di allora di promuovere dalle pagine di "Arte e Critica" la scena romana all'interno del panorama nazionale risultarono vani. Nel corso delle ultime stagioni qualcosa è cambiato, Roma è tornata al centro di una serie di interessi culturali, e non solo italiani, e quindi un supplemento come "Arte e Roma" è più che mai funzionale al territorio stesso.
In che modo una rivista può porsi come strumento di critica e riflessione?
Non vorrei sembrare troppo sintetico ma penso che una rivista possa porsi come strumento di critica e riflessione ponendosi in maniera critica e riflessiva di fronte alla realtà. Ed è quello che facciamo, e lo abbiamo dichiarato fin dal titolo. Certo, si tratta di capire cosa farne di questo strumento. Purtroppo oggi si assiste a scelte di alcuni galleristi, curatori museali ed editori, condotte pedissequamente sulla scia di poche mode internazionali, che trascurano le culture di riferimento a favore di una totale globalizzazione dei linguaggi e dei contenuti. Un modo per fare cassetta ma non certo per fare una critica ricostruttiva di identità e di valori. Siamo al grado zero. E se è grave che certe gallerie italiane agevolino questa distruzione sistematica della nostra identità è molto più grave che a farlo siano anche certe istituzioni museali, che avrebbero molto più da giovare di una politica più attenta a queste problematiche.
Può una rivista arrivare addirittura ad influenzare il sistema dell'arte?
Non credo che una rivista possa influenzare il sistema dell'arte. Semmai una rivista fa parte del sistema dell'arte.
Vale la pena però di ricordare che fino ad un po' di tempo fa c'era chi sosteneva che non esistesse un sistema dell'arte; un'affermazione che poteva essere letta in due modi, il primo legato ad una visione ideologica, che nel negare l'esistenza di un sistema cercava davvero di annullarlo, l'altro scaturito dalla visione di chi di fatto appartiene al sistema, ove ci si avvede inevitabilmente che non si tratta di un mondo chiuso, in cui ciascuno ha un ruolo predeterminato ma che, anzi, è tutto molto fluido. Ci si accorge a proprie spese che ognuno deve conquistare all'interno del sistema il proprio ruolo che non è necessariamente quello che gli compete. Affiora lontano dalla memoria il Principio di Peter, che recitava più o meno così: ognuno progredisce in base alle proprie qualità, conquistata una posizione e dimostrato di esserne all'altezza, passerà alla successiva, poi alla successiva e così via, si fermerà soltanto quando raggiungerà una posizione della quale non sarà più all'altezza. Ne consegue che tutti si fermeranno nel momento in cui raggiungeranno la posizione sbagliata. Il principio, nel suo essere paradossale, potrebbe funzionare però all'interno di un sistema meritocratico, lontano mille miglia dal nostro, che si basa su tutt'altre regole, per cui da noi può succedere che una rivista, anche se non all'altezza, possa rappresentare il nostro (sic!) sistema dell'arte.
È importante per voi riuscire a raggiungere anche un pubblico di non addetti ai lavori? E cosa comporta essere entrati nella community di UnDo.Net con Magazines ? Cosa vi ha spinto a partecipare?
Per sua natura l'uomo, anche quello più misantropo, è un animale sociale e vuole il suo pubblico. Un pubblico con il quale condividere le idee, un progetto, una visione della vita. Spesso succede che ci si illuda di raggiungere un pubblico, di essere condiviso, di essere apprezzato. Sempre più il protagonismo che caratterizza la nostra epoca, portato alle estreme conseguenze, spinge l'uomo verso una solitudine esistenziale. Potremmo dare vita ad un nuovo principio di P.: più si cerca un pubblico, più si vuole essere protagonisti, più si soffre di solitudine e tra solitari ci si fa compagnia. Insomma, la molla che spinge l'uomo è sempre la stessa...
Quale è la domanda che ti piacerebbe di più sentirti fare, e naturalmente poi quale sarebbe la risposta...
Tra le diverse cose che ho imparato in passato, ascoltando chi era più grande di me, ce n'è una che dice che per capire se un'opera veramente ti piace devi verificare la misura del tuo desiderio di possederla... Quando qualcuno acquista "Arte e Critica" ha implicitamente fatto la domanda e la risposta la trova al suo interno.
Una selezione degli articoli di Arte e Critica che puoi leggere in Magazines:
Massimiliano Fuksas, L'etica dell'architettura. Intervista a cura di
Emilia Giorgi su Arte e critica n. 54, marzo-maggio 2008
Lucy + Jorge Orta. An Emblematic Village, di Daniela Bigi su Arte e Critica n.53,
dicembre 2007-febbraio 2008
La scena albanese di Teresa Ruggeri su Arte e Critica n.52, settembre 2007-novembre
2007
Don't call it performance di Paco Barragan su Arte e Critica n.51, giugno
2007-agosto 2007
Collisioni quantitative, intervista a Nico Vascellari su Arte e Critica n.50, marzo
2007-maggio 2007
Adrian Paci intervista a cura di Marco Ligas Tosi su Arte e Critica n.47, luglio
2006-settembre 2007
La condizione postmediale di Domenico Quaranta su Arte e Critica n.46, aprile
2006-giugno 2006
La scheda della rivista
Immagini:
Copertina di Arte e Critica n.53 , Lucy + Jorge Orta, Antarctic Village - No Borders, 2007.
Adrian Paci, Per Speculum
Copertina di Arte e Critica n.51, Vittorio Corsini
Nico Vascellari, Blood Death War, performance galleria Skuc, Lubiana
Copertina di Arte e Critica n. 48, Lida Abdul, White House, 2005 (part.) Courtesy Giorgio Persano, Torino
Copertina di Arte e Critica n. 52, Pietro Fortuna, Ebbene, 2007, Foto Giorgio Benni. Courtesy Giacomo Guidi, Roma
Martin Kaar, Lichtecke, 1996. Da Arte e Critica n. 46
Silvia Maria Rossi è laureata in Scienze dei beni culturali, indirizzo storico artistico, all'Università di Brescia, specializzata in Comunicazione e organizzazione dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle arti di Brera. Ha collaborato con i servizi educativi della GAMeC di Bergamo e con l'archivio Guglielmo Achille Cavellini di Brescia. Dal 2006 collabora con UnDo.Net come curatrice del progetto Magazines
Questa intervista in formato PDF da stampare
Interviste precedenti:
Tiziana Villani, Direttrice di Millepiani
Alessio Ascari, co-direttore di Mousse
Roberto Maggiori - Around Photography
Rosanna Gangemi, Direttore responsabile di DROME magazine
staff@undo.net
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