Arte Pubblica e Arte della Moltitudine
Domande tipo: come funziona oggi, in epoca postfordista, l'arte attivista? Qual'è, una volta abbandonata ogni retorica avanguardista, la posizione dell'arte e degli artisti rispetto ai movimenti? Un confronto su questioni come i rapporti tra singolarità e moltitudine o lo scontro tra libertà della creazione e autonomia della cooperazione, da un lato, e dispositivi del dominio e dello sfruttamento di questa potenza produttiva, dall'altro. In tre giorni di seminario a Venezia le risposte sull'arte della sovversione di un gruppo internazionale di ospiti composto da sociologi, critici e ricercatori. Il resoconto di Marcella Anglani.
Il seminario Multiversity , ovvero l'arte della sovversione, si è svolto a Venezia dal 16 al 18 maggio nello spazio autogestito S.a.L.E. docks, lo splendido Magazzino del Sale alla punta della Dogana. Negli stessi giorni a Bologna, presso l'Accademia di Belle Arti, ha avuto luogo un Forum internazionale, organizzato dal progetto/laboratorio GAP curato da Gino Gianuizzi e dal Comune di Bologna, dedicato all'arte pubblica.
La sovrapposizione tra questi eventi, uno esplicitamente dedicato al rapporto tra arte e politica, l'altro alla relazione tra arte e pubblico, genera già una riflessione, frutto del dover operare necessariamente una scelta.
Due gli obiettivi principali del forum di Bologna sintetizzati nel comunicato stampa: la necessità di porre a confronto esperienze diverse nella pratica dell'arte pubblica per cercare di circoscriverne l'ambito, e il bisogno di superare una visione che la considera esclusivamente come strumento pratico messo a disposizione degli amministratori per affrontare le emergenze dell'evoluzione delle città. Difatti persiste in Italia una eccessiva ricerca di consensi e alleanze tra arte pubblica e istituzioni.
Penso sia un dato acquisito che oggi per arte pubblica si intendono quelle pratiche che agiscono direttamente in contesti sociali e comunitari, quindi non più arte dello spazio pubblico ma arte per e con la sfera pubblica. L'incontro con le istituzioni non è sempre possibile visto che queste ultime rappresentano spesso lo spazio della politica economica piuttosto che quello delle persone, uno spazio avverso alle esigenze reali della gente, esigenze che dovrebbero essere sempre al centro di ogni progetto che voglia definirsi davvero di arte pubblica.
Le istituzioni inoltre, normalmente, tentano di consolidare e rendere omogeneo e coerente qualsiasi cambiamento che possa generare nuovi modi di pensare, conoscere e soprattutto di agire, mentre l'arte pubblica dovrebbe proprio operare come un evento destabilizzante, capace di porre in discussione anche il contesto in cui opera per mettere in atto dinamiche trasformative, che sfuggono per natura al controllo, generando processi di auto-organizzazione. È chiaro quindi che oltre agli aspetti relazionali l'arte pubblica dovrebbe mettere in campo, per diventare strumento reale ed efficace di cambiamento, soprattutto un impegno sociale e politico.
È per questo che, per tornare alla scelta obbligata, ho preferito andare a Venezia e seguire le tre giornate di Multiversity dedicate a arte e attivismo, arte e mercato, arte e moltitudine.
La relazione tra arte e attivismo è stata affrontata teoricamente soprattutto da Maurizio Lazzarato, sociologo che da anni si occupa di lavoro immateriale, capitalismo cognitivo e movimenti, e da Judith Revel, sociologa del Centre Foucault a Parigi, di cui riportiamo gli audio. La riflessione teorica si è rivelata premessa fondamentale per capire i fenomeni legati alle attuali pratiche artistiche e per acquisire nuovi strumenti per saper leggere il contesto economico e politico in cui ci troviamo e il rapporto tra questo e l'arte. Adottando la coppia concettuale molare-molecolare (attraverso cui Deleuze e Guattari hanno articolato una riformulazione dei presupposti dell'agire politico) all'attività artistica, Lazzarato cerca di chiarire la complessa relazione tra politica, arte e economia. Così facendo risulta abbastanza chiara la convivenza oggi di piani diversi che si intersecano tra loro, la presenza contemporanea di una ipermodernità, che spinge verso un sistema fluido e ricco di emergenze creative di nuovo tipo, ma anche di un "neoarcaismo" che si nutre ancora di estetica modernista e che tende a riportare tutto a un sistema binario (arte/non arte; artista /non artista, etc ), a riaffermare la centralità dell'artista e a reimporre le funzioni classiche dell'arte, così come il copyright, i diritti di proprietà, etc.
All'interno di un regime produttivo totalmente trasformato come quello postfordista- affrontato nelle sue dinamiche e nei suoi aspetti sociali ed economici soprattutto negli interventi di Adam Advisson e Alberto de Nicola - i nuovi collettivi artistici tentano di sfuggire ai richiami "neoarcaici" cercando, come spiega il sociologo francese Pascal Nicolas le Strat, di occupare gli spazi interstiziali delle città e di agire attraverso azioni concrete disseminate nel tessuto urbano.
È evidente che è in atto la volontà di scardinare i parametri tradizionali di lettura dell'opera d'arte, un vero e proprio rovesciamento di prospettiva. Si abbandona sia il terreno dello scontro frontale sia quello del confronto a tutti i costi con le istituzioni tradizionali (musei, gallerie, etc. ma anche spazi no profit o privati), ed è proprio questa idea di abbandono, di esodo e di defezione, come spiega ampiamente Brian Holmes, a caratterizzare la disobbedienza civile in tutte le sue attuali manifestazioni. Di conseguenza la sessione arte e mercato è sembrata abbastanza inadeguata, o per lo meno confusa, perchè si continuava ad analizzare e a parlare di un mercato che non è al centro dell'attenzione delle pratiche artistiche oggetto del seminario.
Ovviamente ci sono stati, e continuano ad esserci, moltissimi artisti che si muovono all'interno del sistema monolitico dell'arte criticandolo e accentandolo contemporaneamente, e il video memorabile dell'artista Paul McCarthy Give me back my money, citato da Chiara Bersi Serlini ne è un esempio paradigmatico. Tuttavia, al contrario, le nuove strategie artistiche vogliono uscire fuori da una logica di mercato sempre più compromessa e sempre più legata a case d'asta, grandi multinazionali, società finanziarie e banche, cercando di cambiare in primo luogo la maniera di pensare il lavoro artistico e la figura stessa dell'artista.
Non si parla quindi di critica al mercato e al sistema dell'arte, quanto di dispositivi creativi che non passano più dalla figura dell'autore e che non si relazionano più con il potere e con il mercato dell'arte. Un esempio storicizzato di questo tipo di modalità di intervento, mi sembra quello riportato da Marco Scotini: nel 1977 al festival del proletariato, al Parco Lambro a Milano, Alberto Grifi usa la telecamera come strategia di azione, piuttosto che come documentazione e, passandola ai partecipanti che si intervistavano a vicenda, dà un esempio concreto di come poter ridistribuire una funzione artistica a un livello più generale.
La sessione dedicata alla relazione tra arte e moltitudine ha avuto appunto lo scopo di affrontare il nodo tra singolarità e moltitudine, tra produzione individuale e costruzione della collettività, da diversi punti di vista. E il concetto di moltitudine sembra effettivamente essere, come afferma da tempo Paolo Virno, l'attrezzo decisivo per ogni riflessione sulla sfera pubblica contemporanea.
Punto comune e presupposto di tutta la discussione la domanda: come resistere a quella forza centripeta che cerca di ridurre ad Uno il molteplice e di riportare tutto alle note distinzioni tra pubblico e privato, individuale e collettivo, produttori e cittadini, etc.? Perchè è la dissoluzione di queste coppie a fare sì che si ridetermini ogni volta un Uno attraverso il linguaggio, l'intelletto e l'arte. Arte che non assume più l'ambito politico come oggetto della rappresentazione ma che diventa essa stessa intrinsecamente politica. Di questo ha ampiamente parlato Marco Scotini, uno dei pochi curatori in Italia, insieme per esempio al più giovane Marco Baravalle (a cui va il grande merito di aver coordinato il seminario ), ad occuparsi di questi temi proponendo un'integrazione possibile tra il piano dell'arte e della politica.
A livello curatoriale la condizione fondamentale per avvicinare il fenomeno è riuscire a costruire piattaforme di lettura di queste nuove pratiche artistiche capaci di contrastare qualsiasi possibilità di farle cadere nell'estetica tradizionale, per poter attivare un confronto reale tra di esse e per riuscire così a capire quali sono i nuovi lessici e quale spazio ha la creazione artistica nella nostra condizione postfordista.
Al gruppo che anima S.a.L.E. docks va quindi il merito di aver organizzato un evento di grande spessore e di aver dimostrato che Venezia, che investe moltissimo nell'arte contemporanea e nel cosiddetto turismo d'èlite, è anche capace di generare forme diverse di riappropriazione di spazi culturali che affermano con forza la volontà di contribuire a definire il presente e il futuro della città.
Gli audio degli interventi di:
Maurizio Lazzarato
e Judith Rèvel
Tutti gli interventi sono in rete all'indirizzo:www.globalproject.info
Il comunicato stampa di Multiversity a Venezia
e di gap / Forum a Bologna
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Marcella Anglani è storica dell'arte, insegna ultime tendenze dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.
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