Attraversare le contingenze allargando le prospettive

15/06/2008
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ARGOMENTI

Risposte infrequenti
I Raqs Media Collective sono Monica Narula, Jeebesh Bagchi e Shuddhabrata Sengupta, lavorano insieme dal 1992 ed hanno base a Delhi, in India. Cureranno Manifesta 7 a Bolzano nello spazio di una grande fabbrica di alluminio in disuso e, insieme agli altri due team, la mostra di Fortezza. I Raqs sono artisti, curatori, ricercatori, editori che non credono molto nella storia, si pongono molte domande e sollevano questioni intorno ai residui della modernità; il titolo della loro mostra e' "The Rest of Now". Il nome che si sono dati, Raqs, deriva dalla parola che in persiano, arabo e urdu definisce lo stato in cui entrano i dervisci mentre girano danzando. Ma lo hanno scelto perche' puo' anche significare il contrario di faqs - frequent asked questions - l'acronimo che si trova nelle istruzioni per l'uso a indicare le domande frequenti, ricorrenti, comuni. Quindi Raqs puo' essere letto come rarely asked questions. Questa intervista pero' dovrebbe essere letta per le sue risposte infrequenti...












Intervista a Raqs Media Collective

a cura di Elvira Vannini

Tre unità curatoriali che lavorano in sinergia e convergono nella fortezza, costituiscono una piattaforma di scambio: come si strutturerà Manifesta 7 - nel concept, nelle logiche di lavoro curatoriale, nei programmi pubblici - e come si attiverà il dialogo tra le unità diverse, eterogenee, quale metodo collaborativo e di co-operazione state seguendo?

L'articolarsi del nostro scambio curatoriale è stato piuttosto affascinante. Le differenze nella sensibilità, negli approcci, nel modo di comunicare, nelle inclinazioni artistiche e nei ritmi di lavoro dei tre team ha permesso l'emergere di un corpo di idee eccitanti e originali su cui confrontarsi. Non abbiamo formato un unico gruppo, ma tre squadre che agiscono alla maniera di un network. Questo permette di testare percorsi che nessuno dei tre collettivi curatoriali avrebbe tentato autonomamente. Il risultato di tale processo "d'intersezione" non ci è ancora completamente chiaro... Il nostro operato si è strutturato secondo una combinazione di workshop, email incessanti, lunghi silenzi, decisioni fulminee, momenti d'arresto e scoperte inattese. In sintesi, ci serve un pò di tempo per riflettere sulla magia e l'incompletezza di questo processo, una volta terminato il tumulto delle deadline di consegna e degli obiettivi della produzione.

Le cosiddette Biennali post-coloniali e le manifestazioni internazionali su larga scala proliferano in tutto il mondo in modo esponenziale: in che modo pensate abbiano cambiato il format espositivo?

L'esponenziale espansione quantitativa di spazi museali, la crescita numerica dei musei, il rapido incremento delle gallerie e degli investimenti nelle fiere d'arte, la notevole attenzione che persino le riviste di finanza riservano alle aste di opere d'arte e al fenomeno del "futures trading" nel mercato artistico, tutti questi fattori imprimono una svolta significativa nelle modalità in cui l'arte viene vista e consumata in tutto il mondo. C'è anche una continua ricerca di nuovi "giacimenti" dove rinvenire le fonti della contemporaneità, una costante tensione verso l'"esterno" (geografico, culturale o linguistico) del sistema esistente, dove incappare in qualche colpo di fortuna, qualche talento ancora sconosciuto contando sul fattore novità. Rosa Luxembourg, nel suo L'accumulo del Capitale per esempio, riferisce della lotta mortale all'interno del sistema economico per l'accesso ad un "al di fuori" dal capitale, un di fuori segnato dalla mera produzione di beni materiali. Lo stato attuale dell'arte contemporanea presenta analogie sorprendenti con questo processo.
D'altra parte, le pratiche delle varie Biennali che stanno sorgendo in questo periodo necessitano di essere osservate nello specifico campo di forze in cui sono localizzate. Si tratta di contesti animati da una certa "wills to globality", per usare un'espressione coniata da Okwui Enwezor (traducibile come "volontà di globalità" n.d.r.) che garantisce e sostiene economicamente il proliferare di quanto stiamo assistendo oggi nell'arte contemporanea. Ma non dobbiamo dimenticare che questo avviene come sviluppo normalissimo anche in altri settori, quali lo sport, la musica, la moda.
C'è chi potrebbe inoltre sostenere come una Biennale sia in grado di aiutare ogni città a balzare sotto i riflettori dell'attenzione mondiale, accelerando un processo di sviluppo che avrebbe altrimenti richiesto investimenti maggiori in termini di tempo e di sforzo economico e istituzionale.
Gli effetti combinati di questa situazione stanno facendo sentire sempre più insistentemente la presenza di "voci" e modi di articolazione differenti dei meccanismi espositivi di tutto il mondo. Ciò può condurre ad una certa fragilità nei punti saldi che avevano fino ad ora sostenuto il sistema.
La curatela non è più un passatempo per la buona società degli esperti del settore. Tale categoria non ha più ragione di esistere. L'espansione della "provincia" di ciò che è ancora sconosciuto nel campo dell'arte contemporanea ha effettivamente fatto terra bruciata, almeno per il prossimo futuro, del fenomeno dei "conoscitori". E ci vorrà del tempo prima che esso si riproponga in nuove forme, o che si cristallizzino nuovi criteri di valutazione. Cosa che potrebbe non accadere mai più.
Esiste un'enorme richiesta di arte contemporanea, ed il sistema artistico globale è a mala pena in grado di tenere il passo con tale domanda. La ricerca spasmodica di "nuovi" oggetti artistici è inoltre accompagnata da un'esigenza pressante d'innovazione. È necessario fare attenzione nel rispondere a queste incessanti richieste di novità.
Tutti i processi di industrializzazione sono sempre seguiti da una non dissimile sete per il nuovo. Le logiche produttive stesse si esprimono spesso in termini persuasivi quali "rinnova o muori". Ma processi di accelerazione di questa entità portano sempre alla perdita di una parte non indifferente di ciò che si potrebbe prendere in considerazione. La domanda per il nuovo può essere compensata dalla realizzazione di qualcosa che induca comunque un certo sforzo. Sarebbe un vero peccato se l'intera produzione culturale globale rimanesse intrappolata dentro a questo oscillare tra "sforzo" e "innovazione". Nell'intento di assicurare almeno in parte la salvezza di tale produzione, sono così state immaginate strade diverse nell'ambito delle pratiche espositive.

Pensate che le Biennali d'arte e le manifestazioni internazionali abbiano ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano? E soprattutto Manifesta, che è una Biennale nomade, itinerante come si relaziona con i contesti che la ospitano? Qual'è il concetto di Europa Centrale e che rilievo assume nella geopolitica dell'arte?

Le varie Biennali hanno sicuramente un impatto sulle pratiche espositive. Alcune stabiliscono il traguardo a cui aspirare nel realizzare una mostra, ma molte di esse hanno percorsi differenti. In alcuni casi, l'organizzazione di un evento di portata internazionale come una Biennale si dichiara apertamente come un esercizio di "soft power" da parte dell'apparato politico, economico e istituzionale che domina il luogo ospitante. La tensione nel sistema artistico internazionale si colloca attualmente tra eventi che partecipano ad una messa in discussione degli standard, delle concezioni teoriche e delle pratiche curatoriali da un lato, e dall'altro manifestazioni che cercano di accumulare capitale culturale in determinati territori, nell'intento di attrarre attenzione e investimenti. Questa tensione genera scosse di instabilità nell'intero sistema e influenza i contorni delle pratiche espositive legate all'arte contemporanea.
Manifesta, che è una Biennale itinerante sorta per suscitare questioni che riguardano il territorio piuttosto che per fornire risposte, può permettersi di giocare un ruolo differente. Il suo carattere peripatetico la rende libera da obiettivi legati al rafforzamento delle gerarchie culturali locali, dal momento che se ne va via, una volta ultimato il suo compito. In teoria, ovviamente, questo potrebbe anche condurre ad una certa indifferenza nei confronti delle condizioni e della storia del territorio in questione. Ma una strategia curatoriale consapevole può al contrario sostenere notevolmente determinati progetti impegnati a sperimentare sul posto, talvolta trascurati o addirittura, in alcuni casi, osteggiati dalle istituzioni culturali a livello locale.

Come vi siete relazionati col territorio e il background culturale dei quattro centri coinvolti e in generale con la scena intellettuale italiana?

Lavorare a Bolzano è stato decisamente piacevole: abbiamo ricevuto un eccellente supporto in termini di ricerca da Denis Isaia, un curatore emergente di base a Bolzano che ci ha inizialmente coadiuvati nelle ricerche, per diventare poi nostro assistente. Stiamo lavorando con due artisti attivi nella città, appartenenti a due diverse generazioni e dediti a differenti linguaggi (Walter Niedermayr e Stefano Bernardi), così come con Tabula Rasa project. Il nostro rapporto con i rappresentanti ufficiali degli affari culturali tedesco, italiano e ladino sono stati cordiali, e la stampa locale attenta e reattiva. Abbiamo recentemente avuto un evento pre-inaugurale in collaborazione con Museion e l'Università di Bolzano, dove abbiamo discusso del modo in cui interagiamo con gli artisti di fronte ad una platea alquanto nutrita e questo ha condotto ad un impegno profondo e a scambi molto positivi.
Per quanto riguarda la scena intellettuale italiana in generale, dobbiamo ammettere che l'abbiamo trovata un po' affetta da quel tipo di separatismi cui noi (col nostro background multidisciplinare) non siamo abituati. E' come se il mondo intellettuale e quello artistico in Italia circolassero su orbite differenti e non avessero pressochè nessun punto di contatto. Riteniamo che alla lunga questo tipo di isolamenti non sia proficuo, nè per gli intellettuali, nè per gli artisti, nè per coloro che gravitano in mezzo a queste due sfere.
Siamo sorpresi, ad esempio, di quanto poco è conosciuto nell'ambiente artistico italiano il lavoro di Francesco Orlando, e le sue esemplari meditazioni sulle rovine, i resti e i residui nell'ambito della letteratura europea; tenendo anche conto del fatto che il movimento dell'Arte Povera ha avuto un ruolo così significativo nell'arte dell'era post-fordista.

Riguardo a queste manifestazioni internazionali, quale pensate sia l'impatto della globalizzazione rispetto al concetto di locality ? Mi spiego meglio: per esempio a Istanbul l'accelerazione e l'impatto della modernità in relazione alle trasformazioni sociali e urbane è avvenuta solo quando questa regione è stata attraversata da spinte occidentali. Cosa intendete, in questa direzione, per "regionalismo critico"?

Il mondo era globale già molto prima di essere dichiarato moderno. L'intensità del processo di ampliamento delle relazioni culturali attraverso diversi continenti e differenti culture negli ultimi vent'anni in realtà non è senza precedenti, ma ha una storia antica; che non va però confusa con l'antichità del moderno.
Ci possono essere anche letture diverse rispetto alla Biennale di Istanbul oltre a quella che hai citato. Bisognerebbe liberare il concetto di "moderno" da ogni bagaglio culturale e geografico. Una volta assodata, per esempio, l'ascesa di Asia, Africa e America Latina sulla scena culturale mondiale, l'accezione strettamente "occidentale" di modernità potrebbe assumere un carattere provinciale, relativo. Possiamo trovare anche correnti antitetiche. L'energia e il dinamismo di alcuni processi culturali, eventi e biennali che sorgono al di fuori di quello che è stato il circolo metropolitano finora maggiormente attrattivo, può anche avere un impatto sugli sviluppi futuri della cultura in Europa e nel Nord America. In fondo questo sta già accadendo, ed è solo una questione di tempo prima che si arrivi al momento in cui tale processo raggiungerà proporzioni critiche.

Qual'è il rapporto della struttura espositiva con i lavori site-specific o meglio contestive-rexponsive quando ci si relaziona ai contesti locali, al territorio?

Pensiamo che il "locale" non sia sempre un termine neutro. Talvolta, quando si tratta di mappare i risultati e gli obiettivi culturali, esso può assumere una valenza quasi dispregiativa. In altri casi, può essere impiegato in maniera strategica per ottenere supporto e attenzione nei confronti di zone ritenute trascurate in termini di infrastrutture culturali. In altre parole, il significato e la colorazione di ciò che intendiamo per "locale" sono sempre relativi al contesto in cui il termine viene usato.
In riferimento al contesto di The Rest of Now, la mostra organizzata per Manifesta 7 a Bolzano, abbiamo provato a relazionarci al locale in un modo diverso, facendo spazio ad una struttura che permettesse di instaurare un dialogo allargato sul posto, riguardo alle condizioni costitutive dell'arte contemporanea. La domanda che stiamo cercando di proporre è "Chi è il destinatario? E in che modo l'arte deve essere resa accessibile, esperita e discussa?" Queste rimangono per noi domande aperte e sappiamo che ci vorrà del tempo per rifletterci su, anche perchè possono essere pensate soltanto attraverso una combinazione di teoria discorsiva e pratica concreta. La domanda è: in che modo le energie e l'entusiasmo che animano l'ecologia micro-culturale di una regione possono entrare in contatto e dialogare con una mostra di ampio respiro che è, in fin dei conti, "ospitata" sul posto? A Bolzano la strategia adottata è quella basata sull'incontro ed estesa nell'arco di 111 giorni, attivata dal nostro assistente curatoriale Denis Isaia (attraverso Tabula Rasa project) in modo da catalizzare le energie e gli entusiasmi di un'ampia schiera di persone, iniziative e inclinazioni appartenenti al contesto locale, rendendole partecipi dei temi portanti dell'esposizione. Questo progetto si è focalizzato molto sul dialogo e sull'ascolto di Bolzano e delle zone limitrofe. Quindi, più che usare la mostra per collocare l'arte contemporanea nella città (nonostante uno dei progetti consista precisamente in questo), abbiamo creato delle strutture all'interno della mostra che invitano e accolgono le energie e gli entusiasmi locali.

Alcune delle scelte finora rivelate - da Gianni Pettena, Candida TV, Professor Bad Trip, sono certamente non-allineate rispetto al sistema. Pensate che l'arte possa costituire in qualche modo il canale alternativo al mainstream media?

Una mostra d'arte contemporanea come Manifesta 7 è un'ottima opportunità per ridisegnare i confini di ciò che può essere considerato arte. Senza questo obiettivo realizzare un'esposizione diventa qualcosa di assolutamente statico. Non si tratta di creare alternative ai mezzi di comunicazione più diffusi. L'arte è già un alternativa ad essi. Per mantenere questo carattere di alterità occorre riconsiderare periodicamente i suoi confini. Questo non vuol dire fare semplicemente spazio al "nuovo", ma anche riconsiderare ciò che è stato dimenticato, o ciò che fino ad ora è stato ritenuto al di fuori dei limiti della pratica artistica. La presenza di questi che tu chiami artisti non allineati col sistema può essere pertanto interpretata come parte del meccanismo espositivo, recando un messaggio di riflessione critica sul farsi stesso della mostra.

Non un'unica città ma quattro centri dislocati nel territorio. Anche le location sono molto particolari: ci raccontate degli spazi che ospiteranno Manifesta 7? Qual'è il rapporto tra spazi espositivi e sfera pubblica?

Lo spazio da noi scelto per il nostro progetto dentro a Manifesta 7 è l'ex-Alumix, una fabbrica nell'Area Industriale a sud di Bolzano. Si tratta di uno spazio molto ampio, situato direttamente al centro di una zona industriale tuttora attiva, e siamo abbastanza contenti che il rumore di fondo prodotto dalle fabbriche tutt'attorno costituisca una sorta di presenza subliminale costante. Naturalmente, essendo una ex-fabbrica, non si può definire uno spazio pubblico in senso stretto, ma questo lo rende ancora più interessante ai nostri occhi.

In conferenza stampa avete accennato alla duplice accezione di "rest" e all'idea di costruire un atlante dell'abbandono. Questo si ricollega all'interesse nella vostra ricerca per i luoghi residuali in cui è avvenuta un'attività produttiva. In che direzione? Come si formalizzerà questo interesse nel display e nel programma curatoriale? Qual'è il concept? Di cosa si tratta e che significato assume l'uso di una location post-industriale?

La parola "residuo" è un fattore chiave nel titolo della nostra mostra The Rest of Now all'ex-Alumix di Bolzano. In inglese, la parola "rest" ha diversi significati interessanti: può indicare una pausa, un attimo di respiro e di interruzione dall'attività. Può connotare una cesura momentanea, o qualcosa che giunge al termine. Può altresì indicare la parte restante di qualcosa, ciò che rimane, un residuo. In questo senso, si può dire "cosa facciamo di quel che resta del giorno?" o "cosa mangiamo degli avanzi del pranzo?". Questa ambivalenza della parola "rest", intesa come pausa e come residuo, è il fulcro del nostro lavoro curatoriale. Ci interessa la capacità di rigenerarsi di ciò che è considerato residuale, in quanto curare una mostra in una fabbrica di alluminio abbandonata costituisce per noi una riflessione sulla fecondità del residuo.

Questa intervista in formato PDF da stampare

Immagini:
Raqs Media Collective. In alto a sinistra: Jeebesh Bagchi. In basso a sinistra: Shuddhabrata Sengupta. A destra: Monica Narula
Adam Budak, Anselm Franke, Hila Peleg, Raqs
Monica Narula dei Raqs
Gli spazi dell'ex-Alumix di Bolzano. Foto di Andrea Pozza

Il sito di: Raqs Media Collective

A proposito di Manifesta 7 su UnDo.Net puoi vedere anche:

Manifesta 7. Il video magazine
Primo numero del magazine quindicinale sulla Biennale Europea d'arte contemporanea

Le video sintesi degli incontri del ciclo Aspettando Manifesta - Serate e pagine a tema e delle presentazioni di Manifesta 7 a Milano e Roma.

La Biennale Europea di arte contemporanea
Trentino –Alto Adige/Sudtirol, Italia
19 luglio – 2 novembre 2008
info@manifesta7.it
www.manifesta7.it

I curatori, le mostre e i luoghi:
Adam Budak, Principle Hope, ex Peterlini e Manifattura Tabacchi a Rovereto
Anselm Franke/Hila Peleg, The Soul (or, Much Trouble in the Transportation of Souls), Palazzo delle Poste, Trento
Raqs Media Collective, The Rest of Now, ex-Alumix, Bolzano
L'intero team curatoriale, Projected Scenarios, Fortezza
Parallel Event nelle due Province: un programma selezionato che presenta 45 eventi in Alto Adige/Südtirol e 60 in Trentino tra mostre, eventi, performances e concerti

Elvira Vannini è storica dell'arte, critica e curatrice indipendente. Vive e lavora a Bologna.

staff@undo.net



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