10 workshop condotti da autori di rilievo internazionale dedicati a giovani artisti, architetti, operatori con esperienze sul campo. Hanno l'obiettivo di fornire strumenti di lavoro utili a interpretare la città e, forse, di far uscire i sogni dai cassetti per farli crescere nelle strade insieme agli abitanti dei quartieri o a chi li percorre ogni giorno.
E' GAP - Giovani per l'Arte Pubblica un progetto ad iscrizione aperta e gratuita ideato dall'Ufficio Giovani Artisti del Comune di Bologna con la partecipazione del GAER.
Dopo Dorte Meyer e Alessandra Andrini, Stefano Boccalini e Luca Vitone, è il momento di Barbara Fassler e Bert Theis, poi verranno Bernardo Giorgi e Cinzia Cozzi insieme a ZimmerFrei e Martina Angelotti, infine Beatrice Catanzaro e Lucio Nardi. Abbiamo intervistato alcuni di loro
BERT THEIS
Da anni ti occupi del progetto Isola Art Center a Milano. Quanto è diverso quel progetto rispetto ad una situazione espositiva come quella della Biennale di Taipei, cui hai recentemente partecipato?
Bert Theis: C'è una grande differenza nel lavorare per una mostra in una Biennale o in una galleria (in cui solitamente non si ha molto tempo per preparare il lavoro) piuttosto che per un progetto a lungo termine come quello di Isola Art Center e dell'Ufficio Out nel contesto del quartiere Isola di Milano.
La differenza è che all'Isola io ci vivo, incontro persone ogni giorno e sono completamente immerso nel progetto; un lavoro che dura da sette anni, 24 ore su 24. Oltre al lavoro artistico e organizzativo c'è una parte di attività di relazioni con gli abitanti, di incontri, di lavoro politico comune. Non si possono portare avanti tanti progetti come quello dell'Isola perchè non sono sufficenti nè il tempo, nè l'energia, mentre le Biennali e le mostre personali o collettive aiutano ad uscire ed affrontare situazioni più leggere in altri contesti.
Ad esempio a Taipei è stato interessante l'incontro con la cultura locale vivendo una condizione di "straniero" che è l'opposto di quella che vivo all'Isola. A Taipei ho fatto un lavoro (Pentagono asiatico) utilizzando una particolare tecnica di lavorazione del bambù grazie alla collaborazione degli artigiani del posto, un progetto che non avrei potuto realizzare da nessun'altra parte del mondo.
In questa intervista con Marco Scotini del 2003 hai detto che preferisci la definizione di art tout-court piuttosto che di public art. Forse il lavoro che porti avanti all'Isola non è arte ma vita?
B. T. : Questa vecchia formula delle avanguardie del secolo scorso, che unisce arte e vita, si porta dietro anche un problema di linguaggio, di cosa si intende per arte e per vita. In fondo ognuno ha "un'altra idea di queste cose".
Quella con Scotini era una riflessione sul fatto che da una decina di anni (in Italia forse meno) vediamo progetti che partono dal presupposto che spostare un'opera arte nello spazio pubblico sia in assoluto una cosa positiva. In realtà questo spostamento può avere conseguenze molto contradittorie.
Ad esempio l'abbattimento della Stecca degli artigiani a Milano e del nostro Centro d'Arte che lì si trovava, ci ha permesso di radicarci meglio nel quartiere Isola mantenendo la nostra opposizione ai progetti urbanistici che lo stanno trasformando. Abbiamo infatti spostato il nostro lavoro all'interno di altri luoghi che ci ospitano provvisoriamente, o, come nel caso del progetto sulle saracinesche, siamo intervenuti in spazi che abbiamo concordato direttamente con i singoli abitanti, negozianti e associazioni. Invece c'è stato un altro progetto - che è stato definito di public art - organizzato proprio dalla Fondazione Catella e dal costruttore Heinz, che con Ligresti stanno costruendo la maggior parte dei nuovi edifici nel quartiere, che è stato realizzato sulle recinzioni dei cantieri. Questo progetto si intitola "1km con Gabriele Basilico" e le foto in bianco e nero di Basilico sono servite per decorare le palizzate dei lavori a cui gli abitanti si oppongono.
In un certo senso anche questa è public art, come nel caso dei nostri interventi sulle saracinesche anche queste sono immagini nello spazio pubblico, però vengono usate con uno scopo molto diverso dal nostro.
Quindi a cosa serve l'arte, in che direzione va, cosa esprime? In questo senso non è corretto parlare in generale di public art, ma è necessario invece approfondire l'analisi di ogni progetto, il suo contenuto, ragionare su cosa dicono queste immagini o queste opere e come vengono utilizzate.
La definizione public art non dice molto sulle prassi, ed è per questo che questo nome, oggi così tanto usato, non significa molto secondo me.
Cosa proponi nel workshop che inizia lunedì 20 ottobre a Bologna?
B. T. : La proposta nascerà dall'incontro con i partecipanti, il loro lavoro precedente e la loro poetica costituiranno il punto di partenza.
Ciò che proponiamo - insieme ad Alberto Pesavento e Miguel Selvelli dell'Ufficio Out che curano con me il workshop - è un metodo che abbiamo già sperimentato sia con Networking in Toscana sia in Corea all'università, e si basa su tre concetti: capire la città, sognare la città e trasformare la città. Non è detto che tutti saranno in grado di arrivare fino al terzo punto, ma alla fine del workshop ci sarà una presentazione delle analisi fatte e se qualcuno dai partecipanti sarà riuscito a proporre un progetto cercheremo di trasformarlo in qualcosa di reale perchè è importante che i sogni non rimangano soltanto nel cassetto.
Il sito di Isola Art Center
Sul sito del GAP - Giovani per l'Arte pubblica maggiori informazioni sul lavoro di Bert Theis e Barbara Fässler
MASSIMO CAROZZI (ZIMMERFREI) e MARTINA ANGELOTTI
In questi anni avete realizzato progetti molto diversi tra loro, puoi parlarcene?
Massimo Carozzi: A Manifesta7, nella mostra Principle Hope presso la Manifattura Tabacchi, il curatore Adam Budak ha scelto un nostro lavoro che si intitola Ghost Track. Qui la fase di preparazione sul luogo è stata piuttosto lunga: una quindicina di giorni.
Invece Inaudito, curato quest'estate da Daniela Cascella, era un progetto che prevedeva di mettere in relazione un artista visivo e uno sonoro, nella fattispecie ci è stato chiesto di lavorare con 3/4 had been eliminated, un gruppo di musica sperimentale, per un progetto site-specific in uno dei due cortili interni della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma.
Questo progetto di collaborazione ha attraversato tutta una fase di "brain-storming" in cui fin dall'inizio ciascuno ha rinunciato alle proprie specifiche caratteristiche: loro quelle di gruppo musicale e noi quelle di 'ensamble' d'arti visive. Il lavoro finale è una grande istallazione con elementi sonori e luminosi che si relaziona con lo spazio assegnatole.
On è invece un progetto di arte pubblica luminosa, curato da noi, nel quale gli artisti invitati sono chiamati a confrontarsi con l'utilizzo della luce nello spazio pubblico, in particolare nella zona Universitaria di Bologna intorno a Piazza Verdi e via Zamboni. Questo è un lavoro che rientra in una serie di progetti curatoriali realizzati nel corso del tempo a partire dalla nostra esperienza al centro sociale T.P.O. di Bologna. Ad esempio Sound in the place, realizzato per tre anni consecutivi, era una giornata di istallazioni, eventi e performance, in concomitanza con l'ArteFiera di Bologna, curata insieme a Marco Altavilla.
Un altro progetto piu' impegnativo è stato Neverending Cinema/Cinema Infinito che abbiamo realizzato alla Galleria Civica di Trento nell'intera estate 2006. Qui abbiamo ideato una situazione di residenza per artisti chiamati a progettare video, e questo ha trasformato la galleria in un grande set, una specie di laboratorio collettivo nel quale si mescolavano le competenze di ciascuno.
I vostri progetti sono sempre collaborativi?
M.C.: Curare un work-in-progress come quello di Trento è parte del nostro lavoro, questo non è mai condotto da sole tre persone, per ogni progetto mettiamo insieme una piccola squadra o un team, chiamando persone con precise competenze, poi molto spesso il loro ruolo va ben al di là di queste. Penso a Stefano Pilia - un musicista che collabora con noi dal 2004 diventato una specie di membro aggiunto - che è protagonista in ogni progetto a componente musicale; oppure a Fabrizio La Palombara, direttore di fotografia che ha partecipato a tutti i nostri ultimi progetti video. Insomma, uno dei punti di partenza è il chiedersi con chi si può realizzare e condividere il progetto.
E la relazione con il territorio?
M.C.: Dipende dai progetti. Quello realizzato in Sardegna con il Museo Man di Nuoro si è concluso con una serie di lavori video che hanno alle spalle tre settimane passate sul territorio alla ricerca di location ed entrando in contatto con le persone. Ma anche nei lavori realizzati ad Atene piuttosto che in Belgio c'è sempre stato un momento di esplorazione del territorio per scegliere i luoghi e conoscere le persone che li abitano.
Puoi raccontarci sinteticamente il programma del workshop di Bologna al GAP?
Martina Angelotti: Curerò il workshop insieme ad Anna Rispoli e sarà una collaborazione-cooperazione tra un artista visivo e un curatore. Il workshop sarà infatti incentrato sui temi dell'arte pubblica e su come la creazione artistica legata a queste pratiche sia il frutto di una collaborazione tra diverse discipline e diverse figure.
La prima parte sarà più teorica, io presenterò una serie di progetti in Italia e all'estero che hanno visto la collaborazione di più persone, tra cui i cittadini, nella creazione partecipata di un'opera d'arte. Mi riferisco soprattutto a progetti come Nuovi committenti, sia dell'edizione francese che quella italiana inaugurata recentemente a Torino con i lavori di Stefano Arienti e Claudia Losi, piuttosto che a progetti internazionali come quello di Alfredo Jaar sullo stretto fra San Diego e Tiquana. Nel workshop vorremmo poi iniziare a lavorare con i partecipanti ad un progetto specifico di performance. Si tratta di Re lighting the city, un'opera che con Anna Rispoli ho curato a Brescia lo scorso aprile e che vorremmo riproporre quest'anno nel comune di Pianoro. E' un lavoro abbastanza divertente che coinvolge molte persone: una partitura luminosa condotta dagli abitanti che accendendo e spegnendo le luci domestiche creeranno uno spettacolo luminoso all'esterno delle case. Sarà necessario fare dei sopralluoghi specifici, cominciare a vedere quali sono i condomini più idonei per una visione teatrale dall'esterno, conoscere le persone e istaurare relazioni con loro. Questo progetto verrà realizzato anche in collaborazione con Milli Romano, una curatrice-artista che coordina, insieme a Gino Giannuizzi, questi workshop del GAP.
Tu hai già partecipato ad altri progetti di arte pubblica con Zimmerfrei?
M. A.: Con Zimmerfrei il rapporto professionale si è consolidato con i due progetti gemellati, On e Re lighting the city, che hanno inaugurato lo stesso mese in città diverse coinvolgendo anche altri artisti. Per me è stata importante anche l'esperienza del progetto video prodotto da careof l'anno scorso per inContemporanea, dal titolo Memoria Esterna; una raccolta di video-interviste fatte a personalità più o meno significative che abitano a Milano ma non sono di Milano e che hanno raccontato la città. In questo caso io ho prestato la mia casa per realizzare le interviste. Poi stiamo lavorando anche ad On 2008 che inaugurerà a dicembre a Bologna.
Il video di Zimmerfrei sul progetto On. Luci Accese di notte
Informazioni e iscrizioni al workshop che dal 27 al 31 ottobre 2008 sarà tenuto da Anna Rispoli (ZimmerFrei) - Martina Angelotti e Bernardo Giorgi - Cinzia Cozzi
LUCIO NARDI
Sei un'architetto e condurrai il tuo workshop per GAP con un'artista, Beatrice Catanzaro. Come nasce questa collaborazione tra voi?
Lucio Nardi: La scelta di questa collaborazione da parte del curatore Gino Giannuizzi mi è apparsa subito interessante in quanto avevo conosciuto Beatrice all'Università Bauhaus di Weimar, dove ho insegnato per cinque anni e lei era venuta a fare un master proprio sull'arte pubblica. Durante il viaggio in treno andando da Berlino a Weimar abbiamo fatto delle discussioni molto interessanti sull'arte, sulle differenze tra la situazione in Italia e in Germania e l'idea di portare avanti un lavoro con lei mi sembra una cosa molto bella.
Ho letto che sei particolarmente legato al concetto di luogo. Immagino che nella collaborazione con Beatrice avrete scelto di procedere in questa direzione...
L. N.: Abbiamo scritto un programma, che è pubblicato sul sito GAP... Lei adesso vive a Lisbona ed io a Berlino quindi abbiamo avuto uno scambio di email molto interessante e divertente. Quando mi ha chiesto cosa avessi in mente di fare le risposto solo con un titolo, lei ha lavorato su questo facendomi delle proposte che poi abbiamo elaborato insieme. Di fatto si tratterà di andare alla ricerca delle tracce dei luoghi, tracce non solo "fisiche" ma anche emotive, potenzialità del luogo rivolte al futuro, ma anche tracce del passato e possibilità del presente. Tracce visibili ed invisibili contemporaneamente.
Cosa pensi dell'arte pubblica?
L. N.: La funzione che vedo nell'arte pubblica è quella di mostrare delle possibilità diverse della realtà rispetto a come la si vede. L'arte pubblica - o l'arte nello spazio pubblico - in un certo senso può permetterci di "trasgredire" di andare oltre i 5 sensi, mettendo in evidenza possibilità non immediatamente visibili, possibilità fisiche ma anche emozionali da un lato e spaziali dall'altro. Spero che nel corso del workshop la mia idea sull'arte pubblica si modifichi o si amplifichi.
La relazione tra artisti e architetti è oggi molto discussa. Sul piano delle operazioni culturali pubbliche queste due figure spesso si scontrano e si confondono. Tu come architetto che posizione hai nei confronti degli artisti?
L. N.: Il mio problema non è tanto rispetto agli artisti ma è piuttosto nei confronti degli architetti. Lo si e' appena visto alla Biennale di Architettura a Venezia: gli architetti sembrano ormai cimentarsi molto chiaramente col campo dell'arte, ma non ci riescono. L'approccio dell'architetto ai temi dell'arte - anche quello dell'arte pubblica - è troppo didattico. L'architetto non riesce a smettere di fare l'architetto, ha sempre la tendenza a dare delle soluzioni, mentre l'artista non lo fa, più che cercare soluzioni cerca delle possibilità...
Ma è quindi possibile una collaborazione tra architetti ed artisti?
L. N.: Si, ma e' molto difficile. O è possibile solo in senso puramente pratico: l'architetto aiuta l'artista a realizzare, oppure produce un lavoro che l'artista completa. Ci sono dei margini che l'architetto fatica a superare, quando progetta un edificio a volte si confronta con dei temi che la sua conoscenza non è in grado di risolvere e quindi chiama un artista.
La collaborazione può esistere se c'è un rapporto di fiducia tra i due, mentre ho sempre avuto molti dubbi su eventi e concorsi pubblici in cui si costringe artisti e architetti a lavorare insieme.
Vuoi aggiungere qualcosa sul workshop di Bologna?
L. N.: Mi fa molto piacere tornare in Emilia, e confrontarmi con dei giovani.. Porterò a Bologna alcune immagini del mio artista preferito, Etienne Boulanger, molto noto qui a Berlino perchè ha lavorato parecchio soprattutto sull'appropriazione dello spazio pubblico... Giovanissimo, è improvvisamente scomparso proprio in questi giorni e ci sono rimasto molto male.
Informazioni e iscrizioni al workshop che sarà tenuto da Lucio Nardi e Beatrice Catanzaro dal 3 al 7 novembre 2008
I workshop GAP sono gratuiti e dedicati a giovani artisti, architetti e operatori con esperienze sul campo; hanno l'obiettivo di fornire strumenti di lavoro utili a interpretare i mille aspetti della città nella sua complessità. Prevedono momenti di studio e ricerca sul territorio alternati a momenti di discussione e confronto presso lo Spazio GAP.
La partecipazione ai workshop è richiesta per coloro che desiderano iscriversi alla sezione Arte Pubblica del concorso Iceberg 2008, il cui bando sta per essere pubblicato. L'iscrizione alla sezione Arte Pubblica del concorso richiede la presentazione di progetti artistici di natura diversa: da quello integrato di tipo architettonico-urbanistico, a quello paesaggistico, fino alla realizzazione di strutture (installazioni, ecc.) o alla messa in atto di eventi performativi o di altre forme di interazione con gli abitanti.
gap gIOVANI PER L'aRTE pUBBLICA
lABORATORIO pERMANENTE aTTIVO bOLOGNA
un progetto del Comune di Bologna - Giovani Artisti in collaborazione con GAER - Coordinamento Giovani Artisti Emilia Romagna, l'Assessorato alla Cultura della Regione Emilia Romagna e il POGAS
Ufficio giovani artisti - Comune di Bologna, Cultura e rapporti con l'Università
Via Oberdan, 24 - 40126 Bologna
tel 051 2194614 / 051 2194663
fax 051 268636
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giovaniartisti@comune.bologna.it
Sul progetto GAP - Giovani per l'arte pubblica puoi leggere anche:
Il pubblico e i suoi sinonimi (luglio 2008)