Attraversare le contingenze allargando le prospettive

19/11/2009
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Lunedì 9 Novembre 2009


Berlinesi e turisti verso il fatidico lunedì a vent'anni della caduta del Muro. Diario di Eleonora Farina ed Elena Bellantoni che raccontano proprio da Berlino questo lungo weekend, spostando le quinte dell'evento per trovare emozioni, cieli e persone, oltre che mostre, fuochi d'artificio ed Ostalgie. Nel 1989 "la cortina di ferro" fu presa a picconate e travolta anche da un eclatante atto liberatorio collettivo, ma non fu solo l'effetto domino a modificare gli equilibri mondiali. E se ancora a Berlino si parla di Est e di Ovest della città, se ancora non tutte le istituzioni governative tedesche sono state trasferite dall'ex-capitale - Bonn - all'attuale, cosa sta succedendo in altri Paesi del mondo dalla fine della Guerra Fredda?



Tre lune a Berlino




Frank Thiel, Stadt 1/09 (Berlin), 1996




Ostalgie, Berlin Mauerpark




Pariser Platz




Monumento al soldato che scappa dall'est




Torretta d'avvistamento




Un pezzo di Muro




Michel Majerus, Sozialpalast, 2002




Tacita Dean, Palast, 2005




Olaf Metzel, Fuenfjahrplan, 1985




Vincent Trasov, Strassenbild, 1991 - 1993




Attraversando il muro oggi




Bernauerstrasse




East side Gallery




La Porta di Brandeburgo




Aspettando l'effetto domino




Alcune tessere del grande domino




Greiswalderstrasse




Diario di un’emozione
di Eleonora Farina e Elena Bellantoni

Venerdì 30 ottobre vado a Bonn. Decido di partire con un sistema di viaggio tipicamente tedesco, quello del Mitfahrgelegenheit. Attraverso il sito internet contatto quindi una persona che fa il mio stesso tragitto e mette a disposizione la sua macchina, così ci divideremo le spese della benzina.
Parto da Berlino. Il viaggio è di circa sei ore; lungo i 600 km che dividono le due città entro lentamente nell’atmosfera che precede la ricorrenza del ventennale della caduta del Muro. Anche se non intenzionalmente, il mio si rivela un viaggio dall’attuale capitale tedesca (quella del post-riunificazione) verso la capitale della Repubblica Federale di Germania (sede del governo fino al 1998). L’autista, che accoglie me e altre due persone nella sua vettura, ha circa cinquant’anni; è uno dei tanti tedeschi che ha iniziato la sua carriera a Bonn, lavorando presso un’istituzione parlamentare e da dieci anni (perciò da quando gli uffici sono stati trasferiti a Berlino) si trova a dover fare il pendolare settimanalmente perché la sua famiglia è rimasta nell’altra città.
Sulla scia dei suoi ricordi di giovane adulto (nel 1988 era riuscito a passare il confine con la famiglia: il padre e il fratello erano partiti dirigendosi verso Potsdam, lui insieme alla madre e alla sorella il giorno dopo andando direttamente a Berlino; il nucleo era riuscito poi a riunirsi a Berlino Ovest) superiamo velocemente la doppia linea di mattoni altezza suolo che si incontra per le strade della città e che ricorda il punto in cui sorgeva la divisione: Berliner Mauer 1961-1989. Lasciandoci alle spalle la capitale tedesca, qualche chilometro più in là incrociamo un cartello marrone (simile a quelli che sulle autostrade italiane indicano luoghi di attrazione turistica) sul quale è scritta la medesima frase: il segnale indica chiaramente il tragitto del Muro nella regione del Brandeburgo (nella Repubblica Democratica Tedesca), quella parte di muro che si estendeva oltre la città di Berlino e andava a finire in piena campagna (mi torna alla mente il bellissimo video dell’artista inglese Cynthia Beatt, Cycling the Frame del 1988). Tra i miei compagni di viaggio c'è un russo, o meglio un ragazzo proveniente dal Kazakistan che vive a Berlino da dodici anni ma che ancora non ha perso il suo accento. Quando passa un enorme camion la nostra attenzione è attratta dal macchinario che trasporta: il ragazzo dice che è un carro armato russo dei tempi della Guerra Fredda. Ma in realtà non sono proprio sicura che sia vero. Certo è che il nostro viaggio è andato avanti così, tra ricordi di guerra e ‘visioni’ al limite del particolare. E’ comunque chiaro che l’avvicinarsi della ricorrenza del 9 novembre sta influenzando un po’ tutti, soprattutto chi quel Muro l’ha visto 'in funzione'.
Non è possibile partecipare a tutti gli eventi che ogni angolo della città di Berlino ha preparato in occasione di questa ricorrenza ventennale. Il weekend che ha preceduto il famoso lunedì è stato certamente il momento più vissuto. Ed è quindi da queste giornate ‘pre-caduta’ che cercherò di partire, passando poi il testimone a chi questo appena-trascorso-lunedì era ancora a Berlino. Vorrei però porre una domanda in apertura, sperando questa riflessione accompagni chi legge questo breve diario: “weekend più vissuto”; ma vissuto da chi? Io do la mia risposta, frutto di ciò che ho notato camminando per le strade della città, parlando con la gente e con i miei amici: vissuto dai turisti. La città è stata letteralmente presa d’assalto da loro, e gli italiani erano in netta maggioranza. Insomma è stata un’occasione di rilevanza mondiale (una delle tante?) per venire a Berlino. E se (alla fine) non è stato possibile avere un giorno di ferie anche per il lunedì, questo non è stato un problema: l’importante era esserci in questo famoso weekend; vedere di persona le colorate tessere del mega-domino (immagini che hanno fatto il giro del mondo forse più di quelle dell’uomo che per primo ha picconato il muro quel non-così-lontano giovedì 9 novembre 1989). “La Repubblica” di sabato 14 novembre tenta di dare una risposta a come hanno reagito i tedeschi a questo evento: “I giovani sono rimasti indifferenti, forse infastiditi dalla quantità di programmi ripetitivi e della noia fisiologica del detto e ripetuto. […] In Germania è andato benissimo, in esatta contemporanea sulla rete commerciale, il format Bauer sucht Frau, ossia ‘Contadino cerca donna’”1.
Eleonora Farina

Venerdì 6 novembre

Eleonora Farina: Alle 18 vado a sentire una conferenza sul tema “L’Estetica del 1989: la caduta del Muro e la Rivoluzione Romena” presso il Collegium Hungaricum. L’incontro fa parte del progetto “Transitland. Video Art from Central and Eastern Europe 1989 - 2009”, ideato da Joanne Richardson, David Rych e Katharina Koch. “Transitland” è un archivio online che raccoglie cento video di artisti che hanno lavorato e ragionato sulle trasformazioni che la società post-socialista ha apportato nei Paesi dell’ex blocco sovietico durante gli ultimi vent'anni. La presentazione della piattaforma video a Berlino viene accompagnata da interessanti approfondimenti sull’argomento anche grazie al coinvolgimento degli artisti stessi. Una tre giorni durante la quale si susseguono proiezioni delle opere di Anri Sala, Adrian Paci, Boris Buden, Tanja Ostojic, il gruppo subREAL… solo per citare alcuni nomi conosciuti. In occasione della tavola rotonda, alla quale decido di assistere, vengono proiettati i lavori Videograms of a Revolution di Harun Farocki e Andrei Ujica, 1989 – The real Power of TV di Gusztáv Hámos e The Empty Centre di Hito Steyerl. Il dibattito tra i tre artisti ruota attorno all’utilizzo del mezzo televisivo durante i rivolgimenti dell’inverno del 1989 in Germania e in Romania e a quanto la televisione abbia influenzato le masse nelle rispettive spinte democratiche. Certamente le immagini della caduta del Muro di Berlino non arrivarono in diretta in Romania, e quindi presumibilmente non possono aver influenzato la rivolta contro la dittatura del dicembre dello stesso anno. E’ però anche vero che il medium televisivo è stato fondamentale per la caduta del regime di Ceauşescu: la rivoluzione romena è stata infatti prima di tutto una rivoluzione mediatica, osservata dagli ‘occidentali’ più come un reality show che come uno stato di guerriglia cittadina. www.transitland.eu
Finita la conferenza faccio un salto alla mostra all’aperto “Perspectives – 20 Years of a Changing Berlin”, installata in modo temporaneo sul piazzale antistante la stazione centrale di Berlino (anch’esso punto in cui passava il Muro). La mostra si trova all’interno di un box rosso che cambia location ogni mese e offre informazioni sui mutamenti che la città ha dovuto affrontare dopo il novembre 1989 proprio circa il luogo in cui l’info point (e quindi il visitatore) si trova in quel momento.

Elena Bellantoni: E’ mattina presto, sono le 7:00; devo muovermi per uscire da casa: direzione Weissensee. Ho un appuntamento con Michael, un pittore tedesco della Berlino Est che insegna alla Volksschule, la ‘scuola del popolo’, una vecchia istituzione in cui passano tutti quelli che vogliono imparare - dal tedesco alla pittura - come inserirsi nel mondo berlinese. Non fa altro che piovere da giorni. Il cielo di Berlino si è infilato un cappotto grigio e sembra non aver nessuna intenzione di toglierselo. Prendo la bici e pedalando arrivo sulla Greifswalder Strasse. Sono in pieno Est; qui, prima della caduta del Muro, una piccola cellula sovversiva si riuniva per organizzare manifestazioni di protesta per ottenere il libero passaggio ad Ovest. Michael mi aspetta nel suo studio, mi fa entrare… d’un colpo mi sembra di essere appena uscita dalla macchina del tempo. Tutto è rimasto come allora, dice Michael, ha il suo studio da più di vent’anni e non ha mai deciso di rimetterlo a posto. Tra gli scaffali pieni di libri trovo carte, cimeli e una vecchia foto in cui Michael ha in mano un manifesto di Che Guevara… Ai tempi della RDT, infatti, con altri amici pittori aveva deciso di stampare dei manifesti e distribuirli per strada; dopo circa un’ora di tacchinaggio una delegazione silenziosa della Stasi gli aveva fatto capire che non era consentito proseguire nell'impresa. Michael poggia la foto sulla stufa a carbone coperta di piastrelle color ocra che riscalda ancora perfettamente l’ambiente, ci sediamo e inizia a parlare citando una frase di Henz Brandt: “Il Muro di Berlino è la prima costruzione storica di questo genere che non serve a impedire l’entrata del nemico, bensì a non fare uscire l’amico”.
Discutiamo a lungo, tutto d’un fiato, su quegli anni e sulla situazione attuale… è difficile fare un bilancio e tirare le somme - dice Michael - raccontandomi della solidarietà che regnava tra le persone dell’Est, e della cosiddetta Ostalgie: una forma di rimpianto del passato comunista. Michael mi parla di una dimensione più umana perché più lenta; ma questa specie di nostalgia - dice - è un’arma a doppio taglio, perché evidenzia solo i lati positivi di una situazione però nessuno concretamente avrebbe il coraggio di tornare indietro ai tempi della RDT. Quello di cui le persone sentono la mancanza è una dimensione emozionale non politica. Lo stesso vale per i tedeschi dell’Ovest, quelli che dicono di voler ritirare su il Muro. Lo dicono - mi conferma Michael - perché sono stanchi di pagare le “tasse di solidarietà”, il prezzo dell’Est, che ribadiscono è di circa 300 euro al mese per ogni tedesco occidentale.
Provo a farmi un’idea, ma non riesco a capire quando Michael mi dice che il Muro portava alla pazzia, che era una sorta di presenza psicologicamente ossessiva. Michael definisce il Muro un Padre che non lascia mai il proprio figlio, che lo controlla e non lo lascia libero di muoversi.
Sono le 14:00; la porta dello studio di Michael si chiude, sono di nuovo in pieno 2009.

Sabato 7 novembre

Eleonora Farina: Mi prendo un lungo lasso di tempo per andare a vedere - lontane ormai le luci dell’opening - la mostra “Berlin 89/09 - Art Between Traces of the Past and Utopian Futures”, a cura di Heinz Stahlhut e Guido Fassbender, presso la Berlinische Galerie.
Tutti i lavori degli artisti selezionati hanno alla base una ricerca sui cambiamenti, soprattutto urbanistici e architettonici, che la città di Berlino ha subito a partire dagli anni Novanta (Potzdamer Platz in primis). La mostra è suddivisa in tre sezioni: Ricerca delle Tracce, Documentazione del Cambiamento e Concetti Alternativi. Certamente l’ultima è la più deludente, se messa anche a confronto con i lavori storici o storicizzati che nelle prime sezioni attirano l’attenzione del visitatore con un solo colpo d’occhio. Il lavoro che cattura lo sguardo nel corridoio iniziale è quello di Wolfgang Tillmans, che propone la canzone Wind of Change degli Scorpions (1990) quale titolo del suo video del 2003 (stessa melodia suonata la sera del 9 novembre alla Porta di Brandeburgo). In modo tristemente ironico, nel video di Tillmans la canzone viene riproposta da musicisti di strada ai piedi del simbolo della Mercedes-Benz nel cuore di Berlino Ovest. Le piccole foto di Bettina Sefkow ci fanno tornare indietro a quella notte del 1989 attraverso un’attenta documentazione dei tappi di spumante trovati alla Porta di Brandeburgo dopo i festeggiamenti (Loaded by history, 1989-2009). Coinvolgente progetto di ricerca quello di Sophie Calle, che nel 1996 ha fotografato alcuni luoghi della città dove - nel secondo dopoguerra - erano presenti simboli del regime socialista chiedendo poi agli abitanti della zona di raccontare ricordi e cambiamenti avvenuti in quel posto (serie fotografica The Detachment). Tacita Dean lavora sulla tematica più dibattuta in questi ultimi anni a Berlino, ovvero quella della distruzione o meno del Palazzo della Repubblica (sede dell’ex governo della Germania Est) per far spazio alla ricostruzione dell’antico castello degli Hohenzollern, abbattuto durante la guerra: Palast è quindi questa avvolgente e calda serie fotografica del 2005. La tedesca Susanne Kriemann presenta il lavoro 12650000 (2008, già proposto alla Biennale di Berlino dello scorso anno), nel quale ha fotografato la gigantesca costruzione fatta erigere da Albert Speer per controllare la resistenza del sottosuolo berlinese. Infine la coppia Dellbrügge & De Moll propone un video su tre schermi, attraverso il quale viene affrontato un tema attualissimo nella capitale europea dell’arte contemporanea: perché gli artisti si trasferiscono a Berlino? E sono proprio gli artisti a rispondere (per l’Italia Deborah Ligorio) in Artist Migration Berlin (2006). www.berlinischegalerie.de
La sera decido di saltare l’inaugurazione della mostra “Communism Never Happened” (con gli artisti Ciprian Mureşan, Sean Snyder e Patrick Tuttofuoco, presso la galleria Feinkost), perché vorrei andare al cinema a vedere “Drei Stern Rot. Einmal Grenzer, immer Grenzer!” di Olaf Kaiser e Holger Jancke, un film che racconta il “disturbo borderline di personalità” di un poliziotto di confine anche dopo la fine della divisione e la caduta del Muro; ma i biglietti sono già esauriti. Sarebbe bello, a questo punto, passare una serata a casa davanti alla TV in compagnia dei dvd di “Heimat” (Edgar Reitz - 1984, 1992 e 2004)...

Elena Bellantoni: Oggi ho deciso di provare a perdermi, di far finta di non vivere in questa città da quattro anni. Andare alla deriva, come diceva Guy Debord, intesa come attraversamento di vari ambienti, senza meta e con interesse per gli incontri. Ed è qui che una voce mi ferma: “Scusi, ci può indicare dov’era il muro?”. Avrei voglia di rispondere: “Siete in ritardo; dovevate essere qui prima perché non c’è rimasto più niente”. Sono a Bernauer Strasse davanti al centro di documentazione del Muro, l’alter ego di Checkpoint Charlie (che si trova invece a Kreuzberg), posto ormai solo turistico dove, tra pezzi del Muro e colbacchi russi, si smercia la storia. Qui al contrario il silenzio sottolinea un’assenza pesante: quella del Muro.
Decido di fermarmi con il capannello di gente e spiego che la demolizione del Muro è stata decisa dal Consiglio dei Ministri della Repubblica Federale all’inizio del 1990. Ma la sua distruzione ossessiva e completa è stata un atto di liberazione interiore ed esteriore per i berlinesi sia dell’Est che dell’Ovest. Inizio a dare i numeri: a Berlino c’erano 106 km di muro di cemento, 45.000 segmenti pesanti, ciascuno di 2,75 tonnellate da far sparire. La maggior parte dei segmenti è stata ridotta in sabbia per la costruzione delle strade. Alcuni fanno buoni affari vendendone pezzi ai turisti con tanto di timbro con garanzia di originalità.
Comincia a fare freddo; i miei interlocutori ascoltano in silenzio e seguitano a fare foto ed io continuo a dare informazioni relative alla spartizione chirurgica del Muro e sui pezzi che hanno fatto il giro del mondo: da Roland Regan a George Bush, alla CIA a persino un Hotel, il Metropol Palace, che ha acquistato 75 pezzi a suo tempo con un’offerta base di 50.000 franchi. Volevo perdermi e invece mi sono fermata a fare la guida di turno, atto dovuto in tempi in cui Berlino è invasa da cavallette in cerca di tracce di Muro. Individuo infine la pavimentazione stradale: il tracciato del Muro viene infatti ricordato con una doppia fila di sampietrini marroni che attraversano tutta la città. A questo punto non mi resta che dare le indicazioni per il museo a cielo aperto del Muro: la East Side Gallery.

Domenica 8 novembre

Eleonora Farina: Tappa obbligata all’East Side Gallery, un pezzo di muro di 1,3 km nel quartiere di Friedrichshain ricoperto, sul lato occidentale, da 106 graffiti inneggianti la pace e la libertà e realizzati subito dopo la caduta. E' stato inequivocabilmente ripulito dal grande restauro del 2000 e vien da sé chiedersi quale sia stata la necessità di questo intervento. Il risultato, a mio parere, è kitsch e a tratti di poco gusto: stessa sensazione che hanno provato numerosi tedeschi, nonché alcuni giornalisti internazionali, davanti al variopinto domino di polistirolo alla Porta di Brandeburgo. La domanda da porsi è quindi se la ricostruzione dell’East Side Gallery sia un modo serio (o invece puro intrattenimento) di ricordare, commemorare e anche festeggiare. www.eastsidegallery-berlin.de
Costretta a partire e a lasciare Berlino proprio domani mattina, decido di chiudere questo tuffo nella storia dando un’occhiata incuriosita alla mostra open air realizzata ad Alexander Platz: “Peaceful Revolution 1989/90”. I bellissimi cartelli presenti ripercorrono le tappe di quella rivoluzione pacifica che ha portato alla caduta de Muro, ma che è iniziata molto prima (da principio nelle case private e nelle chiese, poi nelle strade) e che ha avuto il suo culmine il 4 novembre 1989 proprio in questa piazza cittadina. http://revolution89.de

Elena Bellantoni: Stadttanz, ‘danza in città’: è così che ho trascorso il pomeriggio dell’8 novembre. Appuntamento alle 14:00 dietro la stazione di Hauptbahnhof alle spalle dell’Hamburger Bahnhof; ci ritroviamo in un gruppo di 15 persone per fare un workshop con un componente del gruppo Stalker e lo studioEu di architetti (www.stalkerlab.it - www.studioeu.net). Siamo tutti muniti di bici, cavalli pazzi alla ricerca di nuove strade da percorrere. Una coreografia di ruote e pedali che si infilano negli interstizi della città. Jacopo Gallico è il nostro Stalker; ci conduce in zone sospese dove il tempo sembra essersi fermato. E’ una strana sensazione: un misto tra claustrofobia, stupore e desiderio di scoperta.
Partiamo da una vecchia piscina abbandonata di Moabit nella Lehrter Strasse, che d’estate diventa campeggio ma ora sembra un teatro all’aperto per piante selvatiche e vecchie poltrone di pelle che diventano protagoniste della scena. Stiamo parlando di posti in between, che si trovano nel mezzo di un processo di trasformazione o di demolizione, che erano, che forse saranno o che non diventeranno mai. Berlino è la città in divenire, in cui c’è stata anche tantissima speculazione edilizia, dove questi spazi ‘vacanti’ rimasti - ben pochi - hanno un valore di cerniera e di cucitura tra gli strappi e le cicatrici di questo territorio riedificato e a volte brutalmente ricomposto.
Le due ruote corrono veloci, sembra di stare dietro ET; attraversiamo un viale, ci ritroviamo di fronte al Muro, lo scavalchiamo furtivamente caricandoci in spalla le bici e ci abbiamo di fronte un colosso: il nuovo centro dei servizi segreti tedeschi. Siamo dietro la Gartenstrasse, in un piccolo fazzoletto di terra tra il Muro, le case e il gigante di cemento. Ci chiediamo come due realtà del genere possano convivere l’una di fronte all’altra: le case non hanno spazio per respirare. La stessa sensazione la ritrovo proseguendo il percorso; arrivo in velocità e sbatto con la ruota della bici su una Torretta… una costruzione d’avvistamento della Berlino Est che è rimasta lì, ferma nel tempo e tutt’intorno gli sono cresciuti dei complessi moderni di appartamenti. Chi è l’intruso?
La strada mette a fuoco lentamente un ‘terzo spazio’ che non avevo mai considerato prima, una sorta di sala d’attesa del dottore che viene vissuta, ma che dà quasi fastidio, in cui il tempo è sospeso.
Berlino sempre più sta assumendo le caratteristiche di una metropoli contemporanea: una sorta di corpo che si trascina il proprio passato dando luogo a deformazioni e anomalie, che si rigenera e si ricompone inglobando e modificando il paesaggio urbano, la struttura psico-fisica del territorio. Sono le 19:00, si è fatto buio, è ora di tornare verso casa.

Lunedì 9 novembre

Elena Bellantoni: 20 anni! Quanto poco tempo è passato da quel 9 novembre eppure, rivedendo i filmati d’epoca, sembra tutto così lontano e impossibile. Nell’89 avevo 14 anni. Mi ricordo a scuola la notizia della caduta del Muro; organizzammo un’occupazione. Da lontano arrivava il vento di ribellione e protesta… si sentiva parlare di Perestrojka e di Mikhail Gorbačëv, di Solidarność e di Lech Wałęsa ed era anche il triste anno di piazza Tian'anmen; chi non avrebbe voluto essere invece a Pariser Platz?
Venti anni dopo Gorbačëv, l‘uomo con la voglia sul viso, e Lech Wałęsa si sono rincontrati proprio su questa piazza; le telecamere di tutto il mondo hanno ripreso questo evento mediatico di portata mondiale. Ho deciso anche io allora di esserci, consapevole di trovare una folla assetata di voyeurismo e di manie di protagonismo; alle 20:00 sono riuscita a raggiungere la Porta di Brandeburgo passando vari controlli e varchi di polizia.
Tutti in piazza come a Capodanno! Aspettando che i grandi della Terra facessero rivivere un momento non replicabile. La sensazione: quella di una grande operazione mediatica, ma anche di grande emozione per i tedeschi che in silenzio hanno atteso abbracciandosi l’‘effetto domino’: i grandi pezzi di polistirolo alti circa 2,5 metri dipinti da studenti e artisti; circa 1.000 pezzi disposti lungo il tracciato su cui passava il Muro lentamente sono caduti suscitando l’euforia dei tedeschi e di tutti i turisti accorsi a Berlino per il ventennale. Uno dopo l'altro i pezzi del domino sono crollati a terra, simboleggiando la caduta del Muro ma anche dei regimi dell'ex Patto di Varsavia. Contemporaneamente migliaia di persone tentavano di formare una catena umana lunga 33 chilometri sull'antica linea che divideva il settore sovietico della città dai settori occidentali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Non è mancato niente: dall’effetto scenografico del domino ai fuochi d’artificio, dall’orchestra sinfonica a Bon Jovi, cantante rock simbolo degli anni ‘80, al Glühwein (vin brulé), venduto per strada, fino alle salsicce tedesche in bella vista sui banchetti. Insomma una festa di piazza scandita da un monito duro della Merkel: “Riunificazione incompiuta. Bisogna equiparare il tenore di vita tra est e ovest”.
Ore 24:00: il 9 Novembre 2009 è quasi giunto a destinazione; da domani si ricomincia la vita normale. Riprendo la mia bici e pedalando per le strade di Prenzlauer Berg mi ricordo della domanda che mi fanno tutti da quando vivo a Berlino: Lieben Sie Berlin? - Ama Berlino?


Ancora per un anno, a Berlino
Berlino offrirà ancora per un lungo periodo mostre, conferenze, proiezioni, presentazioni etc. riguardanti la caduta del Muro. Per chi verrà in città nei prossimi mesi, un calendario sempre attuale sugli eventi in corso è presente sul sito: www.mauerfall09.de


Link utili:
www.die-berliner-mauer.de
www.berlinermauer.se/BerlinWall (sito creato dalla donna sposata con il Muro per 29 anni. L’artista norvegese Lars Laumann ha presentato un video su di lei, Berlinmuren, in occasione della Biennale di Berlino del 2008).


Foto di Elena Bellantoni e Ribes Sappa


Eleonora Farina è laureata all’Università di Roma “La Sapienza” in storia dell’arte contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte/Meno. Dopo un anno di lavoro in Romania presso il Museo Nazionale d’Arte Contemporanea di Bucarest, attualmente vive a Berlino dove sta iniziando un dottorato di ricerca sul panorama storico-artistico romeno degli ultimi trent’anni. Collabora regolarmente con la rivista “Arte e Critica”. Per UnDo.Net ha realizzato il progetto curatoriale “Ţuică” sulla situazione dell’arte contemporanea in Romania.
Informazioni sul progetto Ţuică

Elena Bellantoni, artista, vive e lavora a Berlino dove nel giugno 2008 ha aperto 91mQ art project space. E’ laureata in storia dell’arte contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza” ed ha ottenuto un MA (master) in Fine Arts all’University of Arts London WCA. Ha esposto in Italia, Germania, Europa dell’Est, Inghilterra, Spagna e Sud America. Nel 2008 ha ricevuto una borsa di studio dal GAI per partecipare ad una mostra a Santiago in Cile. “Attraversare, camminare, intervenire nella città con delle micro azioni è parte integrante della mia ricerca artistica. Come artista approccio la città per sperimentare l’idea di mobilità e spostamento, esplorando e gli aspetti socio-politici dello spazio urbano e delle sue zone di transito. Da tale pratica nasce una poetica di vagabondaggio e di nomadismo.”
Intervista ai fondatori di 91mQ



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