Attraversare le contingenze allargando le prospettive

24/02/2011
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Matter of Action

Materia d'azione artistica è quanto è stato usato per produrre un'idea o una performance, ma anche quello che è rimasto di essa o è funzionale a conservarne traccia. Però le cose si complicano se l'opera è costruita o ricostruita attraverso diversi "media" o se si considerano materiali anche le sue "fonti" di ispirazione, in dialogo con il passato e in relazione al presente.
Un progetto espositivo e una serie di performance, presso l'associazione O' di Milano, propongono una visione dall'interno di questi e di altri temi. Ne parlano con Massimo Marchetti i curatori Sara Serighelli e Giorgio Maffei.



Alcune immagini della mostra 'Matter of Action'


































Nicola Ruben Montini, Agiudamia Tui, Virgini




Igor Muroni, Glitch




Michele Bazzana, Pump




Massimo Marchetti: Spiegaci un po' in che cosa consiste l'attività della vostra associazione, che ricordiamo si trova nel quartiere Isola di Milano.

Sara Serighelli: O' è un'organizzazione non profit. Abbiamo un'attività prevalentemente espositiva: ci occupiamo di residenze per artisti, performance, suono, fotografia e, appunto, di mostre. Abbiamo cominciato una decina di anni fa e negli ultimi anni la nostra attività si è aperta molto anche alle produzioni che riguardano il suono. Insieme ad un'etichetta di Milano che si occupa di musica sperimentale, Die Schachtel, abbiamo sviluppato un ricco programma con artisti che provengono dalla scena avant-garde in Italia, ma anche dalla scena internazionale. Presentiamo concerti e performance, talvolta questi artisti sono anche ospiti nel nostro programma di residenza. Questo è un po' il quadro.

M.M.: Quindi c'è un attraversamento dei confini...

S.S.: Esatto. Insieme alla parte che riguarda l'arte visiva c'è questa deriva sonora che ha portato a progetti molto interessanti perché, circa tre anni fa, abbiamo cominciato a lavorare anche con sound artist che utilizzano il suono all'interno delle installazioni e nello spazio. È veramente molto interessante!

M.M.: Chi accede al vostro sito web trova subito una pagina dedicata a Vito Acconci, uno dei grandi padri della performance. Per quanto riguarda Matter of Action che cosa ci puoi dire?

S.S.: Matter of Action nasce come parte di un ciclo che abbiamo deciso di chiamare Intermedia, si tratta di mostre dedicate agli “altri” media d'artista ideato insieme a Giorgio Maffei. Il progetto è cominciato alla fine del 2009 quando abbiamo organizzato un'esposizione di libri d'artista degli ultimi 20 anni.
Poi c'è stato un altro appuntamento l'anno scorso in occasione del Salone del Mobile di Milano in cui abbiamo realizzato una mostra dedicata all'architettura radicale in Italia, sempre con riviste, poster e libri.
Matter of Action, si inserisce in questo ciclo ed è strutturata in quattro sezioni che sono: la fotografia, i libri e le riviste, i video e i dischi. C'è anche una sezione sul disco performativo, o sulla performance registrata in disco, e infine una parte più contemporanea. Infatti la maggior parte dei materiali in mostra sono storici, anni '60 e '70, mentre questa sezione ha una carte libre dove abbiamo raccolto circa 25 lavori di altrettanti artisti italiani che hanno lavorato con la performance dall'inizio degli anni '90 ad oggi. Abbiamo poi organizzato un vero e proprio calendario di performance che ogni lunedì e ogni venerdì (fino al 7 marzo) presenta artisti che propongono performance che hanno sviluppato in passato o presentano nuovi lavori.

M.M.: C'è un dialogo fra diverse generazioni di artisti italiani?...Vedo che si va da Cesare Pietroiusti a giovani come Giovanni Morbin... Dal tuo punto di vista, quali sono le evoluzioni della performance in Italia, che considerazioni si possono trarre dal confronto che avete messo in atto?

S.S.: Ah ah, domandona... Mi verrebbe da dire che sicuramente negli ultimissimi tempi la performance ricomincia, di nuovo, a diventare una pratica. Nel senso che indubbiamente non ha mai smesso di essere una modalità d'indagine e di lavoro, ma quello che mi sembra di notare è come la performance si sia contaminata di linguaggi e tecniche super contemporanei come, per esempio, quelli legati al suono, oppure all'audiovisivo o in qualche modo al live.
Soprattutto negli ultimi anni ci sono stati diversi festival dedicati a queste forme di “contaminazione”, penso per esempio a quello che organizzava la Galleria Civica di Trento.
Rispetto agli anni '60 e '70, in cui c'erano tecnologie diverse, mi sembra che oggi sempre più spesso il termine performance si accavalli all'esperienza del live che però può portare a realizzazioni lontane dall'ambito stretto dell'arte contemporanea...

La conversazione prosegue con Giorgio Maffei.

Massimo Marchetti: So che tu ti sei occupato nello specifico più della parte storica; ci puoi descrivere che tipo di materiali hai scelto, qual'è la linea che hai seguito e magari qualcosa sul display della mostra?

Giorgio Maffei: Di solito si guarda alla performance come un'azione effimera, destinata a consumarsi nel tempo dell'azione, ma questo non è poi così vero, anzi non è vero per niente.
Occupandosi di performance si capisce subito che ci sono un sacco di materiali, fatti in diversi modi, i quali nascono per conservare la memoria dell'evento. Sara ti ha già raccontato qual'è l'impianto della mostra: le fotografie, i dischi, le registrazioni degli eventi e i libri, cioè quelli che sono stati l'altro modo per costruire e in qualche modo strutturare l'azione performativa. Poi i video naturalmente, che sono la cosa più eccitante e più divertente da vedere ma spesso anche la più banale, quando sono la pura registrazione di un fatto.
La mostra è il tentativo che noi abbiamo fatto di raccontare vent'anni di azioni in tutto il mondo. I protagonisti li conoscete tutti: sono quelli che ormai stanno sui libri di storia dell'arte...
La cosa interessante è riflettere sul fatto che negli anni '60 e '70, più o meno tutti gli artisti (davvero la maggioranza) e trasversalmente a tutte le poetiche che si sono avvicendate (tra poveristi e concettuali, narrativi ecc... secondo le mille etichette che nel tempo sono state coniate) hanno sentito il bisogno di esprimersi attraverso l'azione usando il loro corpo, o comunque costruendo cose che avevano una durata temporale: perché il tempo, insieme allo spazio, è quello che costituisce l'azione performativa. Nella mostra sono esposte 250 fotografie originali che rappresentano tutte le facce possibili delle azioni fatte in quel periodo.

M.M.: avrei molte cose da chiederti! Per esempio vorrei sapere se, dal tuo punto di vista, la documentazione delle performance pone problemi in termini di autorialità

G.M.: Credo che la performance poggi le sue basi sull'azione teatrale e che quindi, tutto sommato, segua le stesse dinamiche e gli stessi meccanismi del teatro: c'è una scrittura, c'è un regista e c'è un attore. La performance, molto spesso ma non sempre, propone attraverso un'unica persona le 3 componenti dell'azione teatrale. Questo crea molti problemi dal punto di vista della conservazione delle memorie: le fotografie e i video di una performance sono prodotti autoriali quanto una regia, e spesso una regia può modificare straordinariamente la base drammaturgica. Quindi qualsiasi rappresentazione della performance, in mano ad un'artista diverso da quello che l'ha concepita, diventa certamente un'altra cosa. Naturalmente questo è interessante, perché un'azione non è un quadro che si guarda e resta uguale a sé stesso, ma è un quadro che si muove, è qualcosa che può prendere continuamente un aspetto diverso, con tutti i problemi che questo si porta dietro: di interpretazione, di proprietà intellettuale, di modalità non condivise ecc..

M.M.: Per chiudere ti chiederei una battuta circa il copyright nella performance, di cui ha discusso anche Marina Abramovic durante l'evento “Lady Performance” qui a Bologna. Cosa ne pensi?

G.M.: Indubbiamente esiste una primogenitura dell'artista che ha concepito il format e questo non può essere disconosciuto perché appartiene certamente a chi l'ha strutturato. Non si può però negare l'esistenza di altre componenti. Nella nostra mostra mi sembra che si evidenzi come spesso il fotografo lavori in modo indipendente dall'artista in azione e ci metta molto del suo. Il bravo fotografo frequentemente interpreta in modo geniale la performance, anche se non sempre questo soddisfa l'artista che ne è autore. In fondo tutti e due producono un gesto creativo e quindi il copyright deve essere riferito a diverse componenti.



Matter of Action
Terzo appuntamento del ciclo Intermedia
dal 7 febbraio 2011 al 12 marzo 2011
O', via Pastrengo, 12 - Milano

Calendario delle performances:
venerdì 11 febbraio: Nicola Ruben Montini
venerdì 18 febbraio: Igor Muroni
lunedì 21 febbraio: Giovanni Morbin
venerdì 25 febbraio: Michele Bazzana
lunedì 28 febbraio: Simone Berti
venerdì 4 marzo: Diego Perrone & Christian Frosi
lunedì 7 marzo: Italo Zuffi



APPROFONDIMENTI

Lady Performance: videosintesi dell'incontro con Marina Abramovic, 28 gennaio 2011, Bologna

Il sito web di O', organizzazione non profit per la promozione delle ricerche artistiche



Quest'intervista è tratta da Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto del network UnDo.Net realizzato in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo. Ogni settimana alcuni dei protagonisti della scena artistica contemporanea sono intervistati da Annalisa Cattani e Massimo Marchetti.
Voices è un attraversamento random tra le contingenze del contemporaneo che offre un'istantanea - ovviamente parziale - del dibattito intorno al display, le pratiche artistiche e curatoriali, i protagonisti delle fenomenologie attuali.
Ogni intervista viene trasmessa in radio e viene pubblicata su UnDo.Net per essere diffusa attraverso la rete, in relazione con tutte le altre fonti presenti nel network riguardo eventi culturali, autori e progetti.