Massimo Marchetti: Il titolo enuncia già l'area tematica di questa iniziativa. Ci puoi raccontare com'è articolata questa mostra e com'è nata l'idea di ragionare su questi temi, che se non sbaglio sono tra gli argomenti che tu segui più da vicino?
Cristiana Perrella: Sì, è un filone che seguo da quando è iniziata la collaborazione con la Fondazione Marino Golinelli, che è il motore di questo progetto. Una collaborazione che ha preso il via lo scorso anno con la prima di queste mostre che si spera diventino un appuntamento annuale. Sono iniziative che mettono insieme arte ed exhibit scientifici e che sono a loro volta degli esperimenti, perché si tratta di un tipo di format che finora in Italia non si era ancora provato.
Il nostro slogan dice: “arte ispirata alla scienza più la scienza che l'ha ispirata”. Sono mostre dirette ad un pubblico vasto, che può essere composto da amanti dell'arte ma anche da appassionati alla scienza che magari l'arte contemporanea non l'hanno mai frequentata e viceversa. L'accostamento di opere d'arte ad installazioni che raccontano un tema scientifico, vuole potenziare la comprensione di entrambi i campi.
L'idea è che guardando alla scienza dal punto di vista dell'arte e guardando viceversa l'arte dal punto di vista della scienza, l'esperienza risulti più articolata e più interessante. Questa è un po' l'ambizione di questo progetto e questo rientra negli obiettivi della Fondazione Golinelli, la quale intende diffondere la cultura scientifica e la cultura artistica con progetti anche di forte stampo didattico, quindi orientati anche alle scuole.
L'anno scorso il primo di questi progetti ha avuto per tema l'impronta dell'uomo sul mondo vivente, mentre quest'anno ci siamo rivolti alla tecnologia dal volto umano, come appunto dice il titolo della mostra, “Happy tech. Macchine dal volto umano”, ovvero una tecnologia intesa appunto come elemento umanizzante, che potenzia alcune capacità umane, che le intensifica senza snaturarle, senza far sentire il senso di sopraffazione o la paura di essere addirittura sostituiti dalle macchine in certe nostre funzioni importanti.
Questa paura fantascientifica è tuttavia molto radicata, un atteggiamento ambivalente nei confronti della tecnologia è ad esempio già presente agli albori della videoarte, una forma d'arte che per la prima volta prende addirittura il nome da una tecnologia, da un medium tecnologico.
I due principali iniziatori di questa filone furono Nam June Paik e Wolf Vostell che partirono da due posizioni opposte: Paik con un lavoro improntato ad una visione del mezzo e delle sue possibilità che, banalizzando, potremmo dire ottimistica; Vostell con una visione che potemmo invece definire apocalittica. Questo prendendo a prestito da Eco il binomio “Apocalittici e Integrati”.
M.M.: E voi avete privilegiato il polo degli integrati...
C.P.: Noi abbiamo preferito il polo degli integrati, anche se in realtà la mostra non vuole essere né ideologica né ottusamente ottimistica, ma anzi vuole suscitare la discussione e presentare diversi argomenti nella maniera più sfaccettata possibile.
Ci sono temi molto differenti, alcuni più spinosi di altri, la mostra infatti si articola in quindici aree tematiche che sono anche quindici isole espositive. Ognuna di queste sezioni è introdotta da alcune parole chiave - come ad esempio: “riconoscersi”, “vivere insieme”, “emancipare”, “scegliere le tecnologie” - alle quali sono affiancate l'opera di un artista ed un exhibit scientifico.
Faccio un esempio: “riconoscersi” raccoglie le opere di Tony Oursler, un artista americano che propone delle sculture animate con la proiezione di elementi antropomorfi. Si tratta di oggetti su cui lui proietta delle facce in movimento che rendono molto perturbanti queste forme inanimate, perché improvvisamente ci si riconosce in un oggetto in realtà del tutto estraneo.
A questi “robot emotivi” di Tony Oursler, abbiamo accostato dei robot androidi; in particolare all'inaugurazione della mostra a Bologna avevamo l'iCub che è la punta di diamante della ricerca dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, cioè un robot androide che impara dagli input che gli vengono dati sviluppando ulteriori comportamenti. E devo dire che l'impatto visivo di questo robot e del suo modo di muoversi e di agire è piuttosto forte.
Un'altra area tematica è la parte che abbiamo chiamato “vivere insieme”, che riflette sulle grandi metropoli e che presenta il lavoro dell'artista cinese Cao Fei. Questo consiste in una città ideale realizzata su Second Life, quindi totalmente virtuale, in cui lei ha mescolato citazioni dalla storia dell'arte e dall'architettura in una sorta di grande dispositivo in cui possono succedere degli eventi, quindi che ha in qualche modo una struttura con una sua vita.
Quest'opera è stata posta vicino ad un allestimento che spiega come le grandi metropoli in realtà abbiano una sostenibilità maggiore rispetto ai piccoli insediamenti e come ad esempio si sfrutti meglio l'energia. Qui una serie di dati visualizzati attraverso alcuni video fanno riflettere lo spettatore sul fatto che di solito si pensa alle città come luoghi dell'inquinamento e dello spreco di energie, mentre in realtà è vero l'opposto.
M.M.: Sarei curioso di sapere che opera è stata abbinata a “reincantare il mondo”...
C.P.: “Reincantare il mondo” vede un'opera molto bella dell'artista svizzera Pipilotti Rist. Si tratta di un lavoro di qualche anno fa in cui si vede l'artista stessa che fa la spesa in un supermercato – quindi una scena quotidiana di ordinaria alienazione – mentre si aprono scene che visualizzano dei suoi pensieri, immagini di vita selvaggia e di uomini nudi nella natura. E' come se noi potessimo vedere che mentre agisce normalmente immagina una vita completamente diversa.
A questo lavoro abbiamo abbinato un piccolo esempio di realtà aumentata, cioè di questa tecnologia recente che ci permette di sovrapporre alle immagini reali delle immagini virtuali, creando qualcosa che si colloca nel mezzo tra queste due condizioni di “realtà e finzione” e che ci permette un'esperienza del reale appunto aumentata.
Faccio un esempio banale: una nota di ditta cosmetici ha recentemente messo a punto degli specchi virtuali in cui ci si riflette e ci si può vedere truccati, senza che in realtà si sia messo fisicamente il trucco sulla faccia. Questa chiaramente è una banalità, però è una delle applicazioni più semplici di questa nuova tecnologia che invece ha sviluppi molti più complessi e anche molto più interessanti, e che appunto ci permette di vedere il mondo in qualche modo arricchito da un elemento di finzione, da un elemento virtuale.
M.M.: Ma visto che c'è una sezione più storica di precursori visionari - ovvero Paik, Bruno Munari, Pietro Fogliati, John Godfrey - e artisti più contemporanei, secondo te che idee si fanno i visitatori nell'accostamento tra arte di epoche diverse e tecnologie attuali?
C.P.: Beh la parte sui visionari è più un omaggio agli artisti che per primi hanno intuito le potenzialità della tecnologia, le potenzialità anche creative, e che hanno anche per primi intuito questo “volto umano” della tecnologia, hanno avuto fiducia nelle macchine come elementi capaci di migliorare la nostra vita, di renderla più ricca, più interessante, anche più creativa.
Dall'altra parte abbiamo artisti che vivono pienamente l'era tecnologica, dove la tecnologia è presente in ogni aspetto della nostra giornata, e in cui anche gli aspetti più inquietanti della tecnologia ci sono ormai ben presenti. Essi hanno strumenti enormemente più sviluppati a loro disposizione, anche per creare le opere, quindi è proprio una nuova generazione; non sono ancora i “nativi digitali”, ma sono sicuramente artisti che si muovono molto a loro agio nella dimensione presente.
Un esempio su tutti è MarK Napier che è considerato uno dei pionieri della Net Art, quindi di una forma d'arte che esiste solo in internet e che si sviluppa proprio attraverso l'interazione tra l'artista e il pubblico, il quale modifica le opere, o addirittura le crea. Un'arte quindi che prevede una concezione anche molto diversa di autore.
Maggiori informazioni sulla mostra
Happy tech. Macchine dal volto umano
Fino al 31 marzo 2011 alla Triennale Bovisa, via Lambruschini 31 - Milano
Quest'intervista è tratta da Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto del network UnDo.Net realizzato in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo. Ogni settimana alcuni dei protagonisti della scena artistica contemporanea sono intervistati da Annalisa Cattani e Massimo Marchetti.
Voices è un attraversamento random tra le contingenze del contemporaneo che offre un'istantanea - ovviamente parziale - del dibattito intorno al display, le pratiche artistiche e curatoriali, i protagonisti delle fenomenologie attuali.
Ogni intervista viene trasmessa in radio e viene pubblicata su UnDo.Net per essere diffusa attraverso la rete, in relazione con tutte le altre fonti presenti nel network riguardo eventi culturali, autori e progetti.