"100 di 50 solo performance solo per una sera" è il titolo della manifestazione, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, Marco Scotini e Alessandro Guerriero, che NABA e MiArt hanno proposto quest'anno in occasione della Fiera d'arte di Milano che porta gli addetti, gli appassionati e gli studenti d'arte in pellegrinaggio verso il quartiere di Milano Lotto.
Ma, dopo le nove di sera, stanca e ingrigita dalla moquette dei padiglioni fieristici, la gente si è riversata sui navigli senz'acqua, con 25 gradi, ma fortunatamente ancora senza zanzare.
La serata proponeva un grande happening tra rivisitazioni, documentazioni storiche e azioni live che si susseguivano e si scontravano tra i giardini del Campus della Nuova Accademia di Belle Arti.
La Performance è stata la grande protagonista, un'azione che deve la sua caratteristica all'immediatezza dell'atto corporeo, alla presenza fisica e scenica del performer, allo status effimero del "qui e ora". Una pratica artistica che anticipata dalle Avanguardie storiche, si è poi affermata pienamente - complici i fattori storici e culturali - negli anni '60 e '70, trovando diverse declinazioni negli anni a venire.
Una pratica artistica che come l'energia di cui si nutre, non si è mai distrutta, ma si è trasformata nel tempo e nello spazio, mantenendo ancora oggi la sua forza espressiva.
Noi eravamo lì, ci siamo lasciati trasportare dal turbinio delle parole, della musica, dei rumori che ci confondevano e ci portavano da un cortile all'altro, inseguendo bandiere, fanfare, scatole e sedie mobili, danze orientali e scintille metalliche. Abbiamo provato a fotografare, filmare, catturare voci e rumori, inseguendo strani personaggi e cercando di focalizzare artisti e performer. La festa era per tutti, e tutti erano partecipi di questa performance collettiva, non solo semplici spettatori, ma anche collaboratori e attori, un po' come i grandi environments americani, spesso senza sapere esattamente cosa si stava guardando o in che cosa si stava inciampando.
La gente che arrivava poteva scegliere di "documentarsi" sulle performance storiche, guardando video e fotografie, messi a disposizione da galleristi e artisti, oppure andare alla scoperta degli eventi live. Noi abbiamo cercato di documentare anche questo, coinvolgendo alcuni giovani artisti che attraverso l'obiettivo fotografico hanno cercato di restituire una storia della serata, per cogliere (e conservare) quello che "si vive solo una volta", l'effimero, il caso, la situazione, l'atmosfera, le sensazioni, le espressioni e le facce dei presenti.
Ovviamente non è tutto, perché nella complessità di una serata così articolata, ognuno ha fatto delle scelte, dettate anche queste dalla casualità e dall'imprevisto, o da un interesse preciso e tematico.
Tra tutte le immagini sicuramente non si trova quella di MASSIMO BARTOLINI "doppiamente senza titolo" e praticamente invisibile all'occhio umano...
"E' una pillola d'oro massiccio del diametro di 1 cm che una persona anziana tiene chiusa nel pugno serrato e non mostra a nessuno, mai. La persona può sedere, stare in piedi, può essere una guardia del museo. Non deve dire niente riguardo al lavoro nemmeno se interpellato casualmente, in quanto non segnalato come opera. Si può dire che l'opera è nella mostra, descriverla, ma non segnalarla topograficamente ne' come immagine. Tra i tanti nomi che avevano dato all'assoluto i taoisti l'avevano anche chiamato "La pillola d'oro". Quelli che hanno l'assoluto nel pugno non possono stringere le mani, forse nemmeno scrivere, ma hanno sempre davanti ai loro occhi la dimensione del loro cuore." (Massimo Bartolini, Untitled untitled, 2001)
Verso le nove le prime performance cominciano ad animare il cortile, la prima fra tutte, forse anche la più evidente e petulante, è la bandiera di MARCELLO MALOBERTI, (La voglia matta, 2011) al grido di un danzante "Marcello I Love you".
Marcello Maloberti, La voglia matta, 2011. Fotomontaggio di Chiara Luraghi
All'ingresso, due ragazze ripetono una notizia scelta da un quotidiano di oggi, finendo la frase con "Tino Seghal, This is new, 2001"
Qui è tutto molto molto chiaro. Il marchio TINO SEGHAL è inconfondibile, ma chissà com'è essere un performer di Tino Seghal, sarà un regista serio e pignolo? Avrà richiesto le foto delle performer? Avrà dato delle istruzioni precise? Queste domande ci assillano...
Poi abbiamo inseguito tre scatole in movimento che cercavano di raggiungere una meta guidate da un navigatore umano. A loro abbiamo fatto le prime domande
Hai seguito qualche istruzione per eseguire la performance?
FRANCO RAGGI: No, è stata fatta...a naso, a bocca, a orecchio...non c'erano istruzioni.
Come si inserisce questa performance all'interno della serata?
ALESSANDRO GUERRIERO: E' dentro una serie di azioni, per mettere insieme 50 anni di esperienze e capire anche come è stata la loro consequenzialità nel tempo.
Cosa si prova a rifare una performance dopo tanti anni?
ALESSANDRO MENDINI: Sicuramente quando è stata pensata c'era tutta un'altra situazione e avevamo altre motivazioni. In questa serata si presenta più che altro come un momento di storicizzazione e indubbiamente, facendo parte di un sistema di performance così vasto, si inserisce bene.
Sono 100 le cose che vengono proposte stasera, alcune nuove, altre vecchie o vecchissime, è uno spaccato di attività creativa intorno al corpo.
(da sinistra) A. Mendini, F. Raggi e A. Guerriero, Global Tools, 1974; Hans Hollein, Mobile Buro, 1969; Michele De Lucchi, Il generale, 1968. Fotomontaggio di Chiara Luraghi
All'improvviso spunta un cartello, e poi un altro e un altro ancora...
Su un cartello leggiamo: MI RUBY L'ANIMA
Condividi il cartello che stai portando?
Sì, l'ho scelto perché ne condivido la frase.
Ma sai qualcosa della performance alla quale stai partecipando?
No, non so assolutamente nulla... Passavo di qua, ho visto questi cartelli e ho detto -ne prendo uno-.
Ma ne hai scelto uno a caso?
No, è un messaggio che sto lanciando ad una persona...
...e dopo Mi ruby l'anima?
Eh... ci starebbe FUCK ME TENDER...
State partecipando ad una performance?
No siamo parte stessa della performance
Il cartello che porti a cosa si riferisce?
Tutti questi cartelli che sono lì, possono essere presi da chiunque, portati in giro e lasciati in giro. Sono in qualche modo una scrittura cinica della realtà di oggi.
Condivi la frase MI RUBY L'ANIMA?
Sì, mi sento abbastanza coinvolto dalla politica del mio Paese.
EMIGRARE LE NOSTRE SPERANZE. Condividi questo cartello?
Sì. Ho scelto questo cartello proprio perché la mia speranza è la prima cosa a cui penso ogni giorno ed è per questo che sono in questa Accademia.
Emigrarle significa anche il fatto che sono dovuta venire fin qua lasciando da parte le mie cose, quindi simboleggia un po' la mia situazione attuale.
Cosa pensi di questo mettere insieme 100 performance tutte in una stessa serata?
Lo trovo molto interessante, anche se devo dire che è un po' difficile cogliere il senso di tutte, effettivamente una spiegazione aiuterebbe. Però è vero anche che così ognuno arriva ad un'idea personale diversa da quella che avrebbe se qualcuno gli spiegasse la performance.
Ma c'è un collegamento tra le performance storiche e quello dei giovani artisti?
Certo! Proprio perché i giovani si confrontano col passato; per noi giovani è molto importante conoscere il lavoro di artisti che magari prima ignoravamo.
(DANIELE MAFFEIS, Agitazione Personale, 2011)
Tra le panchine del campus un popolo di uomini e donne in kimono stanno per iniziare qualcosa...si muovono lenti, poi a coppia eseguono delle figure nello spazio. La performance è 'Cavalca la tigre', di MARIA PECCHIOLI (2011). L'artista ce la racconta così:
"Il titolo è ripreso dal motto orientale di Lao Tzu che suggerisce come superare la parte animale e distruttiva, dice che non è necessario sovrastarla ma domarla, integrando il razionale e l'irrazionale. Mi interessa prendere in considerazione due aspetti della situazione visto che questa serata e' la festa di Miart a Naba. Da un lato con questi movimenti morbidi e armoniosi del Tai Chi giocare con un ritmo diverso rispetto allo spirito caotico della fiera; dall'altra parte il fatto che la Naba è stata venduta a una Corporation americana, mi ha fatto pensare che il Tai Chi è simbolo dell'impero cinese e lo volevo affiancare all'impero colonialista americano. Per me è importante mostrare una diversa possibilità di gestire le cose... Se scrivete della performance ci tengo molto che sia specificato che è stata realizzata con la partecipazione del Centro Elicoides di Milano."
VALENTINA VETTURI, invece, ti individua, ti punta e ti viene incontro. Perciò non puoi più scappare o fare finta di niente, perché lei ti guarda negli occhi, e tu puoi solo sfidarla o abbassare lo sguardo. A quel punto ti porge un biglietto da visita e pronuncia la frase di Fernand Meyssonier nel tuo orecchio: "Il segreto è tenere ben ferma la testa in modo che il colpo cada preciso, la morte arrivi in un attimo e il condannato non soffra"
Raggiungiamo un malcapitato.
Hai appena partecipato ad una performance...
In realtà conoscevo l'artista ed ero andato per salutarla, ma invece mi ha detto che se è un colpo bene assestato dietro la nuca il condannato non soffre...
Ma conoscevi già questa performance?
Conoscevo il suo lavoro...e infatti ho pensato quando mi veniva incontro che stesse eseguendo una performance... l'ho intuito dal suo atteggiamento.
E quindi sei riuscito a capire a cosa si riferiva quella frase?
Mi ha dato un bigliettino... no, ci devo pensare, credo che fosse una citazione.
(Valentina Vetturi, La funzione, 2009)
Verso le 11 passate molti si radunano intorno all'azione di FRANCESCO ARENA. Vediamo l'artista che legge un foglio bianco e suggerisce qualcosa al suo collaboratore, il quale, con una flessibile, assesta dei colpi precisi ma diversi, su un palo di metallo. Restiamo a guardare per un po', poi a qualcuno arriva l'illuminazione: è il Codice Morse! Tutto chiaro: colpo breve - punto, colpo lungo - linea. Francesco sta dettando al suo collaboratore la canzone 'Povera Patria' di Franco Battiato... il palo lo sa, perché come ci ha detto Francesco: "è come scrivere e leggere questa canzone al/per il palo". Noi vediamo scintille di fuoco e un rumore intermittente ci accompagna per molto tempo.
(Francesco Arena, Canzone - povera patria), 2009
E' tardi, incontriamo Sanja, la serata sta per finire e anche lei ha finito di eseguire la performance.
Com'è rifare una performance di un artista importante come Tino Seghal?
Purtroppo non ho avuto la possibilità di discutere della frase che ho scelto con lui, e questo mi dispiace molto.
Ma conoscevi già questa performance?
No, non la conoscevo, mi hanno detto solo che dovevo scegliere una frase da un quotidiano di oggi e declamarla in pubblico, ed io ho scelto una fase che per me significava qualcosa di importante. Mi sono basata un po' sul mio istinto, e anche un po' sul suo lavoro, ma alla fine non so, ad esempio, se il tono della voce o l'intenzione era giusta. Per questo avrei voluto avere istruzioni dall'artista, anche perché credo che solitamente lui segua in modo molto preciso e attento i suoi performer. Secondo me è molto importante che ci sia una partitura precisa e un dialogo diretto con l'artista, non è la stessa cosa che seguire le indicazioni del gallerista o degli organizzatori della serata.
L'ultima domanda, prima di andarcene, l'abbiamo rivolta a MARCO SCOTINI, curatore, insieme a Giacinto di Pietrantonio e Alessandro Guerriero della manifestazione.
Che cosa dà riproporre performance a chi le reinterpreta e alle opere stesse?
Marco Scotini: "Da anni sono attratto dall'idea della ripetizione nel senso di Deleuze, dall'idea di un teatro della ripetizione. La performance questa idea ce l'ha nel suo DNA. La performance è sempre "qui e ora", ma rimanda comunque ad un "allora" e ad un "altrove". La ripetizione non è mai il ritorno dell'identico ma rende ciò che è passato ancora possibile. Raccogliere in un unico evento performance di decine di anni fa o nate a differenti latitudini è come fare un testo di sole citazioni: un testo "vivo" in questo caso. Oppure è come un film alla maniera di Debord: con film rubati e dirottati!"
Ci lasciamo con l'immagine della performance di ADELITA HUSNI-BEY, Writing the border of crisi: action for sandnag brigade.
Alcuni performer in cerchio si passano dei sacchi di sabbia che girano, e dopo pochi minuti tornano nelle mani di chi lo ha appena passato al suo compagno a fianco. I 'pesi' migrano da una barriera all'altra in modo incessante e circolare. Le trincee si formano e si disfano per un'ora (o per secoli) sempre con gli stessi sacchi. Un'azione in loop apparentemente inutile, come spalare sabbia e ributtarla in mare... eppure i sacchi girano, e ad ogni giro forse si trasformano in qualcosa di diverso... come le performance di questa sera.
Video surround
Riprese Arianna Ferrari, Giulio Crosara e Chiara Luraghi, montaggio Andrea Ferri
Testo a cura di Antonella Miggiano.
Maggiori informazioni su 100 di 50
9 aprile 2011, NABA Nuova Accademia di Belle Arti, Milano