Attraversare le contingenze allargando le prospettive

21/10/2011
stampa   ::  




La tempra di Yerevan

Due settimane di residenza intensiva a Yerevan insieme ad un gruppo di giovani curatori, hanno permesso a tre italiane di comprendere al meglio lo stato dell'arte contemporanea in Armenia. Eleonora Farina, Marianna Liosi ed Elisa Tosoni raccontano ora la loro esperienza e propongono tre interviste che rappresentano tre diversi approcci alla situazione, critica ma stimolante, nella giovane repubblica caucasica. In questa prima parte parla Harutyun Alpetyan, curatore, artista e teorico...



Veduta di AJZ space dal cortile durante il vernissage di 'Bazaar' di Inga Darguzyte e Harutyun Alpetyan (Lituania-Armenia). Foto di Nvard Yerkanian




Veduta dell’installazione durante il vernissage della mostra 'Refloration' di Sevak Grigoryan, a cura di Harutyun Alpetyan e Nvard Yerkanian, 18 ottobre 2011. Foto di Nvard Yerkanian




Screening di cortometraggi di Karin Hammer (Austria), 27 giugno 2010. Foto di Nvard Yerkanian




Soseh Hovsepian, Untitle, digital print, different sizes, 2006 (fragment). Dalla mostra personale 'Pre And Post', febbraio 2010




No art in public space, happening, 29 Aprile 2011. Foto di Nvard Yerkanian




Nvard Yerkanian. Made In Hand Poster, digital print, 20x20 cm. Dalla mostra 'Christmas exhibition of handmade crafts', dicembre 2009




Dalla mostra 'Christmas exhibition of handmade crafts', dicembre 2009. Foto di Karen MirzOyan




Karen MirzOyan, dalla mostra personale 'Small Surprise' by mirzOyan, agosto 2010. Foto di Lucie Abdalian




Karen MirzOyan, Iran, digital print, various sizes, 2010. Dalla mostra personale 'Small Surprise' by mirzOyan, agosto 2010




Harutyun Alpetyan alcune ore prima della mostra di Federico Vitali e dello screening di 'Lava-lava' e 'Guano', 8 settembre 2010




Screening room per la presentazione di Karin Hammer, 27 giugno 2010. Foto di Nvard Yerkanian




Opening della personale di Karèn Mirzoyan 'Small surprise by mirzOyan', vista del cortile di AJZ space, 16 agosto 2010. Foto di Nvard Yerkanian




Harutyun Alpetyan durante la chiusura della personale di Karèn Mirzoyan "Small surprise by mirzOyan", 19 agosto 2010. Foto di Tsovinar Kalents




Nvard Yerkanian e Harutyun Alpetyan dopo l'artist talk di Sveta Bogomolova, 20 febbraio 2010. Foto di Taguhi Torosyan




Preparazioni per la prima mostra 'Prints from the black sketchbook' di Vahram Muradyan, 9 settembre 2009. Foto di Nvard Yerkanian




Opening della personale di Arsen Navasardi, invitati davanti ad AJZ space, 14 gennaio 2010. Foto di Nvard Yerkanian




Personale di Karèn Mirzoyan 'Small surprise by mirzOyan', 16 agosto 2010. Foto di Nvard Yerkanian




Nvard Yerkanian e Harutyun Alpetyan durante l'installazione per lo screening e la mostra di Federico Vitali, 8 settembre 2010




Harutyun Alpetyan, Vahan’s Portrait, charcoal on paper, 30x42 cm, 2009. Dalla mostra personale 'Two Portraits', dicembre 2009




Anna Hakobian, dalla mostra 'Pandora’s Diaries', ottobre 2010. Foto di Hayk Manoyan




Sebastian Boulter, Keisarileikkaus, videoperformance, 7 min, still da video (part.), 2003. Da 'Finish Contemporary Video Art', 8 marzo 2010




Interviste a cura di Eleonora Farina, Marianna Liosi ed Elisa Tosoni, recentemente a Yerevan in occasione dei 6th Summer Seminars for Art Curators

01.04.2011: ultimo giorno per candidarsi a partecipare ai 6th Summer Seminars for Art Curators. Il tema di quest’edizione è “The Institutional and Ideological Operation of Transnational Art Events” e, per chi come noi ha lavorato per diverse biennali ed è molto interessato ai fenomeni transnazionali, è qualcosa di praticamente imperdibile. Come per le edizioni precedenti i Summer Seminars sono organizzati da AICA Armenia - International Association of Art Critics - nelle persone di Nazareth Karoyan (presidente di AICA Armenia, critico e curatore attivo soprattutto tra Armenia e Francia) e Angela Harutyunyan (critica e storica dell’arte armena di base a Beirut), e prevedono due settimane di residenza intensiva a Yerevan per un gruppo di giovani curatori selezionati.

I Dodici Intrepidi Young Curators (tutti al di sotto dei quaranta) - cioè noi tre (per una volta Italia in stragrande maggioranza!) insieme a Ozge Ersoy (TR), Maaike Gouwenberg (NL), Isabella Hughes (US/AE), Julian Kamil (PL), Milena Leszkowicz (PL/DE), Combiz Moussavi-Aghdam (IR), Nini Palavandishvili (GE), Corina Oprea (RO/SE) e Claudia Slanar (AT/US) - superano imperterriti e con simbiotico stoicismo ostacoli quali l’estrema calura (48°C pomeridiani), la costante mancanza di aria condizionata e l’assenza d’acqua corrente durante le ore notturne. Le presentazioni mattutine dei visiting professor (Beatrice von Bismarck, Bassam El Baroni, Sarah Rifky e Misko Suvakovic), le animatissime round-table (o meglio round-pool) moderate da Angela Harutyunyan, Nazareth Karoyan, Saša Nabergoj e Sarah Rifky, le letture e le discussioni intorno a testi di Boris Groys, Alain Badieau e George Bataille nei luoghi più improbabili della città, gli studio visit e le visite a diverse istituzioni, come anche le nostre presentazioni serali e le lunghissime conversazioni che hanno coinvolto curatori e artisti locali nei numerosi momenti condivisi - in ostello come nella scuola d’arte a Bangladesh, al lago Sevan come nei diversi quartieri di Yerevan -, hanno fatto di queste due settimane un’esperienza intensissima e irripetibile, oltre che estremamente istruttiva.

Abbiamo quindi deciso di approfondire la conoscenza del contesto locale, riempiendo le ore libere degli ultimi giorni con ulteriori studio visit e colloqui con curatori armeni per cercare di comprendere al meglio quello che è lo stato dell’arte contemporanea in questa giovane repubblica caucasica e come venga portata avanti la pratica curatoriale dai nostri colleghi di Yerevan. Abbiamo riportato con noi in Italia tre di queste esperienze attraverso interviste che riteniamo particolarmente significative, perché dipingono tre diversi approcci a una situazione unanimemente definita come estremamente critica. Vi presentiamo quindi Harutyun Alpetyan, curatore, artista e teorico, attivo sulla scena di Yerevan con l’artist-run AJZ space (co-diretto con Nvard Yerkanian) e con la piattaforma per le arti performative APAIC; Eva Khachatryan, curatrice indipendente ormai affermata nel Caucaso e attiva anche a livello internazionale e fondatrice del Suburb Cultural Center; Susanna Gyulamiryan, una delle colonne portanti del contemporaneo armeno: curatrice, iniziatrice dell’Art and Cultural Studies Laboratory e del programma di residenza Art Commune Residency.


Sia tu che la tua collega Nvard Yerkanian siete curatori e insieme artisti. Raccontaci del vostro project space, AJZ space: quando l’avete fondato? Come e perché avete deciso di aprire uno spazio come questo a Yerevan? Da dove viene il nome AJZ (da leggere ajezé, ndr)? Qual era la vostra mission iniziale e quali le vostre intenzioni? Sono per caso cambiate nell’arco di questi due anni? Come procedete nella programmazione e come vedete evolversi quest’iniziativa nel futuro? Poiché AJZ space in realtà è un piccolo appartamento, avete mai pensato di iniziare un programma di residenze proprio qui?

Harutyun Alpetyan: Prima di tutto AJZ space è uno spazio artist-run e non commerciale che ha iniziato le proprie attività nell’agosto 2009 e che durante questi due anni di vita ha ospitato più di venti mostre, oltre che numerose presentazioni, talk di artisti, proiezioni di film e lezioni. Gran parte di questa programmazione è stata svolta in collaborazione con organizzazioni quali AICA Armenia, AFG film club, l’Art & Cultural Studies Laboratory, il Suburb Cultural Center eccetera.

Lo scopo di AJZ space cambia davvero ogni giorno! Forse non ce n'era uno definito da raggiungere se parliamo degli inizi dello spazio, giacché io e Nvard lo abbiamo trovato con l’idea di avere semplicemente uno studio per le nostre rispettive pratiche artistiche. Era da parecchio tempo che ne cercavamo uno e, paradossalmente, questo non lo è mai diventato, neanche per un giorno. Appena traslocato, un amico artista mi chiese di esporre qui le sue stampe - si tratta di Vahram Muradyan - e da lì tutto ebbe inizio. Quindi da fine estate 2009 AJZ diventò velocemente uno spazio per mostre, incontri, workshop … I primi mesi, fino anche al 2010, furono molto intensi, con diverse mostre e progetti – a volte degli pseudo-progetti –, con proiezioni, presentazioni, talk e incontri di vario genere. Fino a quattro anni fa lavoravo come ingegnere, poi ho studiato storia e teoria dell’arte, ho seguito il corso curatoriale organizzato da AICA Armenia - International Association of Art Critics qui a Yerevan, con Nvard, e ho partecipato in diversa misura alle ultime tre edizioni dei Summer Seminars. La nostra visione dell’arte contemporanea è cambiata costantemente e credo questo sia importante per chiunque diriga uno spazio come AJZ space. Sul sito si può trovare un sommario/mission statement che colloca AJZ nel contesto armeno e nel più ampio contesto artistico. Onestamente sono però poco soddisfatto del contenuto di gran parte delle mostre che abbiamo ospitato finora. Quelle intenzioni e ambizioni che avevamo sviluppato due anni fa in quel manifesto non sono diventate realtà come volevamo, non sono diventate realtà le cose che volevamo fare e intorno alle quali volevamo creare un discorso. D’altro canto siamo riluttanti a cambiare quel testo, perché in un certo senso è parte di una visione errata, parziale, un’immagine di un desiderio che avrebbe potuto – e forse può ancora – diventare realtà. Quindi abbiamo portato a compimento solamente una piccola parte della nostra mission; ora comunque la situazione è ben diversa: il nostro scopo adesso è di rendere lo spazio autosufficiente, non di coordinarlo o di dirigerlo. Al contempo dovremmo anche bilanciare questa necessità con il desiderio, soprattutto mio, di discutere e supportare le pratiche curatoriali qui a Yerevan.

Per quel che riguarda il nome, ce ne serviva uno per la prima mostra - che curai io – anche se in quel caso non si trattò di un’esposizione veramente pubblica. L’artista, Varham appunto, è un bravissimo illustratore che lavora con diverse tecniche grafiche, oltre a essere un compositore che ha inciso quattro album; preparò lui il logo, che non è l’unico logo, nel senso che le lettere si possono anche mischiare! Che significa? Beh, l’etimologia credo sia araba, 'aziz': è un modo molto tenero di rivolgersi a qualcuno, intimo ma privo di connotazioni sessuali; si chiama così una madre, un padre, un fratello, un figlio, un amico … un po’ come il suffisso -jan in armeno e -san in giapponese. E’ un termine che gli intellettuali non userebbero mai, è davvero popolare. 'Aziz' nel nostro circolo di amici era diventato 'ajezé', il cui acronimo è appunto AJZ, e veramente può significare moltissime cose, ciascuno può dargli il significato che vuole. Per esempio uno dei miei preferiti in armeno è traducibile come 'vittime del parlamento'…

Io e Nvard non operiamo selezioni, la gente pensa che gli artisti siano qui dietro nostro invito, ma non è proprio così: noi diamo loro lo spazio e sinceramente non ci interessa poi molto la reputazione che ne ricaviamo; oltretutto i progetti durano in media un paio di giorni. Talvolta curiamo noi stessi delle mostre e recentemente abbiamo pensato che una buona idea potrebbe essere quella di pubblicare una open call per ricevere delle proposte espositive. Nel nostro attuale modo di lavorare non ci sono curatori che suggeriscono artisti; sono gli artisti stessi che vengono direttamente da noi chiedendoci quali siano le condizioni per mostrare i propri lavori. La prima condizione è ovviamente che lo spazio possa contenerli fisicamente, e la seconda è che gli artisti ci forniscano - almeno verbalmente - una motivazione valida per organizzare una mostra da noi piuttosto che in qualche altro luogo, visto che ci sono altri spazi gratuiti, anche molto più grandi del nostro, che hanno però un'identità molto diversa. O potrebbero anche organizzare una mostra a casa propria, giusto? Alla fine qualcuno rinuncia a esporre: gli artisti 'tradizionali' infatti non prendono in considerazione il contesto in cui mostrare le proprie opere! Certo, mi rendo conto che il nostro essere uno spazio così libero non è particolarmente utile per la scena artistica locale. La cosa buona però è che queste conversazioni forzano gli artisti perlomeno a pensare al contesto. C’è comunque un buon pubblico che ci segue e in questo modo AJZ space contribuisce a creare un certo tipo di discorso attorno all’arte contemporanea e alle pratiche curatoriali, anche se è un processo molto lento.

Fare di AJZ space una residenza? Ci abbiamo pensato, ma poi mi sono domandato il perché. Inizialmente volevo avere uno studio, poi è diventato uno spazio espositivo, poi magari una residenza per artisti … non so, mi sembra di ruotare intorno al medesimo problema: la mancanza di risorse. Perché non abbiamo un programma di residenza come si deve qui in Armenia o - che ne so - cinque, sei, dieci persone che mandano avanti progetti di residenza? Al contrario ci sono solo un paio di residenze, una è quella diretta da Susanna Gyulamiryan presso l'Art & Cultural Studies Laboratory, la quale lavora completamente da sola e senza supporto! Ci è in realtà capitato di ospitare degli artisti, per esempio il finlandese Sebastian Boulter: un pittore astratto che lavora anche con video e suono e ha esposto alcune delle sue opere astratte qui. Era in Armenia per il progetto di Susanna, lei cercava un luogo per la sua residenza a Yerevan e quindi abbiamo reso disponibile AJZ space per un mese. Sebastian poi realizzò una mostra a Nagorno Karabakh (repubblica autoproclamatasi indipendente e sotto il controllo militare armeno, ndr) e la cosa fece molto scalpore: ci andarono perfino la tv nazionale e il ministro della cultura, ma non sono così sicuro che fossero interessati a visitare l'esposizione …

Per quanto riguarda infine la mia visione sul futuro di AJZ space, forse dovremmo cercare di coinvolgere maggiormente gli studenti del programma curatoriale dell’AICA: conoscono lo spazio (tanto che abbiamo ospitato qui molte delle loro lezioni) ma nessuno ha mai proposto una mostra, forse a causa del nostro non essere selettivi, chissà. E, come ho detto poco fa, ci piacerebbe emettere una call for proposal, attivare più collaborazioni e networking a livello internazionale; in verità abbiamo già avuto sei artisti stranieri qui, tra l’altro ospitiamo un progetto di due italiani in autunno, Roberto Sartor e Irene Valenti. AJZ space è in una situazione di limbo al momento; ritengo che dovremmo farlo conoscere come uno spazio aperto, a disposizione di artisti locali che si assumano la responsabilità di coordinarlo per un periodo definito di tre o quattro mesi ciascuno. Vorremmo diventasse uno luogo per artisti e curatori locali e stranieri, dove poter implementare i propri progetti e condividere le proprie idee. Vorremmo dare un’opportunità e incoraggiare i giovani curatori a lavorare per un certo periodo di tempo sulle proprie proposte di progetto a AJZ space, per attivare le pratiche curatoriali in Armenia, così da facilitare lo sviluppo di politiche culturali nella scena locale, in particolare per quel che riguarda l’arte contemporanea.

Sul sito di AJZ space – che è veramente molto completo, considerando che riportate persino opportunità di borse e residenze per artisti e curatori, ed è tutto bilingue armeno/inglese – ci siamo imbattute in un progetto di nome APAIC. Visto che la pagina è soltanto in armeno (ora anche questa sezione è stata tradotta, ndr) siamo molto curiose di sentire da te di che cosa si tratta.

Harutyun Alpetyan: APAIC sta per Armenian Performing Arts Independent Community ed è una mia iniziativa che fa parte di una piattaforma di networking per le arti performative tra gli stati dell’Est Europa. Il progetto madre, EEPAP (Eastern European Performing Arts Platform), è iniziato a livello regionale dal Polish Theatre Institute e dell’Adam Mickiewicz Institute con lo scopo di creare una rete di compagnie teatrali e artisti performativi tra le nazioni coinvolte, facilitando quindi scambi tra artisti, autori, registi, festival eccetera. Io coordino la parte armena del progetto e questo consiste nell’individuare e coinvolgere gruppi attivi nelle arti performative qui (a oggi parliamo di sei compagnie). In Armenia la necessità è quella di creare una comunità molto informale che operi come una piattaforma, a livello locale e anche internazionale. Operare a livello locale è fondamentale, perché gran parte dell’attività performativa al momento è statale (e quindi fortemente verticale) e i gruppi attivi nel teatro contemporaneo e indipendente sono invisibili. Ci sono due correnti che vengono etichettate quali 'teatro indipendente'; il breve sommario sul sito di AJZ space introduce la scena armena e queste due compagnie: il primo gruppo lavora presso il Teatro Nazionale ma al tempo stesso tenta di iniziare qualche progetto alternativo – cosa che a volte funziona –, mentre l’altro è più radicale, totalmente indipendente e senza un soldo. Nessuno ha fondi, non ci sono sovvenzioni per le arti performative né tantomeno per il teatro. Lo stato finanzia quello di stato e questo è quanto: c’è la stessa corruzione ovunque!

In questo scenario muove i suoi passi APAIC: ci incontriamo regolarmente e io cerco di dare una base teorica al tutto, cerco di far capire ai vari gruppi l’importanza della teoria oltre che della dimensione testuale. Ciascuna compagnia prepara regolarmente una relazione che indaga il proprio campo d’azione - per esempio il teatro plastico - e anch’io presento delle relazioni per quel che riguarda l’apparato teorico, per creare un discorso intorno a quelle che sono le tematiche chiave che si discutono - per dire - in Russia e in Polonia, come per esempio il teatro post-drammatico. Tornando al progetto, in ottobre alcuni di noi partecipano a un festival a Cracovia e il viaggio è finanziato dal progetto madre, al fine di cominciare visibilmente questa collaborazione, questo scambio.

Mi sono ritrovato a iniziare APAIC un po’ per caso. Non è un lavoro retribuito e io non sono certo il maggior esperto di teatro o di arti performative; ma mesi fa mi trovavo in Polonia, conosco gli organizzatori e loro avevano bisogno di un partner in Armenia. E’ una sfida interessante, sto leggendo teorie teatrali, testi di Stanislavskij e di Kristian Lupa per esempio. Forse un giorno vorranno pagarmi per questo, oppure troveremo qualcuno che si occupi specificamente di APAIC a tempo pieno. Per me è importante aver iniziato quest’impresa, aver cominciato a mettere diverse compagnie in relazione e in dialogo tra loro; ho capito quanto fosse davvero necessario qualcosa come APAIC, per uscire dallo schema dei singoli individui, dei piccoli gruppi o dei progetti isolati. Per far capire alla gente che esiste il teatro indipendente in Armenia – moltissime persone non l’immaginano nemmeno lontanamente! – e per fare in modo che un giorno vogliano seguirlo e supportarlo, è necessario creare un senso di collettività tra le compagnie. Il mio ruolo, in questo caso, è quello di iniziatore: creo occasioni d’incontro, di scambio e di discussione da un lato, e dall’altro cerco di aggiungere 'teatro indipendente armeno' alle categorie di pensiero della gente.

Hai citato una mancanza di fondi per il teatro e le arti performative. In questi giorni trascorsi qui a Yerevan ci siamo imbattute in enormi contraddizioni: da un lato una fondazione privata di dimensioni monumentali come il Cafesjian Center for the Arts, dall’altro la quasi totale assenza di coinvolgimento del Ministero della Cultura in qualsiasi iniziativa in termini di arte contemporanea. Ricordiamo che questo sarebbe dovuto essere il primo anno in cui il Padiglione Armenia alla Biennale di Venezia veniva portato avanti proprio da tale Ministero. Diciamo 'sarebbe dovuto', poiché quest'ultimo ha ritirato i finanziamenti e il supporto a poche settimane dall’inaugurazione mandando in fumo le speranze che qualcosa stesse cambiando nella posizione del governo nei confronti dell’arte contemporanea. Ci puoi parlare un po’ della situazione dei finanziamenti alle belle arti e all’arte contemporanea? Come si pone lo stato, e ci sono altre possibilità di sostegno (per esempio sponsorizzazioni da imprese, banche o magari associazioni legate alla Diaspora)? Siamo anche curiose di avere un quadro del mercato dell’arte in Armenia. Infine, puoi dirci come si pone AJZ space in relazione al mercato e a possibili finanziatori?

Harutyun Alpetyan: Non ci sono molti spazi dedicati all’arte contemporanea qui a Yerevan, come avete potuto appurare. Il fatto è che ce n’erano molti di più qualche anno fa, non solo istituzioni e spazi artist-run ma addirittura delle gallerie private. In quegli anni, e parlo principalmente della seconda metà dei Novanta, c’era anche un mercato per l’arte. Devo però fare un distinguo, perché parlo di belle arti e non di contemporaneo. Credo che l’ultimo degli spazi di quella generazione abbia chiuso i battenti tre anni fa, sostituito da uffici del Partito Repubblicano: una sostituzione dal valore fortemente simbolico! Ora come ora la situazione è vicina allo scenario di un terremoto: cerchi di costruire una casa o di ritagliarti una via di fuga ma è impossibile farlo; sai che sarebbe davvero necessario ma è troppo tardi, oramai. Mi sembra comunque esagerato parlare di crollo del mercato: è una materia che di per sé richiederebbe una ricerca molto seria. Rimane il fatto che, oggi come oggi, il mercato è mantenuto in vita solo grazie alla comunità armena in diaspora: tutti i collezionisti vivono all’estero quindi il mercato per gli artisti armeni è totalmente fuori dai confini nazionali, ed è comunque ridottissimo. Certamente le comunità in diaspora supportano l’arte, in un modo o nell’altro, ma - sarò sincero - io non conosco collezionisti che comprano lavori veramente contemporanei, magari si spingono alla pittura contemporanea ma non oltre. La situazione è difficile anche per le belle arti!

In tutto ciò il mercato non è veramente un problema per AJZ space: siamo uno spazio non commerciale e le opere che ospitiamo nelle nostre mostre non sono in vendita attraverso AJZ. Non siamo iscritti in alcun registro societario quindi non possiamo vendere nulla; siamo in una sorta di limbo, che da un certo punto di vista non potrebbe nemmeno esistere visto che io e Nvard affittiamo questo spazio come privati e non come attività. Vi chiederete come facciamo a tirare avanti? Ci autofinanziamo, paghiamo noi l’affitto e le bollette; non esiste nessuno schema di supporto statale a cui far domanda. Una volta abbiamo ricevuto una donazione da parte di un’amica, un’artista armena che ora vive a New York, Lucie Abdalian. Ma, in tutta sincerità, dopo due anni è davvero necessario che AJZ space diventi autosufficiente; io non me la sento più di mettere soldi in questo … vuoto?! Potremmo investire questi 200 euro mensili ad esempio nella produzione di lavori, nel supportare - che so - uno scrittore o un artista cui servono i materiali!

Speranze … non saprei. Il problema è che, in Armenia, servirebbe una vera e propria rivoluzione culturale tante sono le riforme necessarie al paese, e dubito fortemente che il governo deciderà mai di auto-rivoluzionarsi! La situazione dei finanziamenti è davvero assurda: l’arte contemporanea non è supportata per nulla, non solo dallo stato ma nemmeno dagli enti locali, e i donatori locali si contano sulle dita di una mano. Possono spendere facilmente milioni per lo sport, finanziando per esempio il calcio e la lotta, ma guai a parlare di arte contemporanea! Uno dei principali sponsor per la cultura è uno dei maggiori operatori di telefonia mobile in Armenia, Vivacell, che finanzia molti artisti; ma anche qui parliamo di iniziative culturali come concerti e sicuramente non di arte. Le banche invece sì: alcune sponsorizzano mostre, ma sono mostre di pittori storici armeni, non contemporanei. Quando parli di cultura contemporanea la reazione è sempre la stessa: sembra non esista per nessuno! La questione qui è che le banche non ne vedono la necessità, tantomeno una possibilità di guadagno. Io sono convinto che l’unico modo per ricevere delle donazioni sia provare alla gente che l’arte contemporanea è necessaria, senza toccare il tasto del potenziale profitto. Certo, puoi sempre raccontare che farai stampare il loro logo a caratteri cubitali sul catalogo ma comunque … Gli unici a finanziare tali iniziative e progetti in Armenia e all’estero sono, paradossalmente, organismi internazionali quali il Goethe Institute, il British Council e l’Open Society Institute (Soros Foundation). Onestamente mi chiedo come abbiamo fatto io e Nvard a mandare avanti questo spazio da soli, senza finanziamenti, per due anni!

In un certo senso, AJZ space funziona come una piazza nella topografia di Yerevan. State creando un luogo da uno spazio, qualcosa di molto accessibile e aperto, che sia un punto d’incontro, di discussione, un luogo dove possano avvenire molte cose differenti. Magari un giorno, se riceverete dei fondi, sarete in grado di fare un ulteriore passo e continuare le vostre attività in una direzione più specifica. Possiamo chiederti di descriverci il vostro pubblico e la comunità che si è creata attorno ad AJZ space?

Harutyun Alpetyan: Inizio col dirvi che l’ambiente artistico qui è molto piccolo ed è bastato un anno per fare di AJZ space un punto d’incontro sulla mappa degli spazi artistici. C’è una comunità che si è creata attorno allo spazio, il nostro pubblico è abbastanza costante, ci sono quelle cinquanta o sessanta persone che vengono sempre. Il fatto è che inizialmente volevamo essere uno luogo dedicato solo alla ricerca più contemporanea, ma ci siamo resi conto che nel contesto di Yerevan non avrebbe funzionato. La scena più contemporanea è difficile da cogliere, spesso invisibile, a volte passiva e impotente. E' importante capire prima di tutto di cosa ci sia bisogno qui; e questo è più un discorso di mentalità: problemi sociali e diritti umani sono scomparsi dalle nostre teste, e così anche l’arte. Sapete, le dimostrazioni in cui rimasero uccise così tante persone, il primo marzo 2008… dopo quegli eventi, l’azione sociale e politica portata avanti dagli artisti ha permesso che certi valori iniziassero a circolare di nuovo. Dirigere uno spazio come AJZ space significa finire per scontrarsi costantemente con una mentalità diversa: la situazione in cui siamo è estremamente critica.

Delle moltissime cose che sembra ancora manchino all’interno della scena armena, quale ritieni sia la più urgente da risolvere? Riesci a sceglierne una in particolare?

Harutyun Alpetyan: Direi, consolidamento. Gruppi e anche individui – io li definisco 'gli iniziatori' – devono secondo me sviluppare una certa mentalità. Dobbiamo, e mi metto anche io nel mezzo, prima di tutto scoprire e consolidare quello che già esiste, e puntare sulla creazione di un senso di comunità. Il problema è che ci sono delle strutture mentali che oppongono una resistenza fortissima, spiegabili come una paura tutta post-sovietica nei confronti delle comunità, dell’idea stessa di collettivismo. Persino nelle nuove generazioni - ora prendo a esempio i ventenni che nemmeno hanno avuto esperienza diretta dell’epoca sovietica! - c’è questa paura, questa sorta di odio per tutto ciò che è vagamente collegabile a qualcosa di sovietico. Odiare tutto ciò che è sovietico va molto di moda, di questi tempi. E’ un’equazione molto semplice: se lo odi, odi di conseguenza il collettivismo e il socialismo anche nella loro più pura essenza. Qui tali concetti non possono più esistere, davvero, nemmeno nella testa delle persone. E poi c’è la questione dell’emigrazione di massa, e i primi ad andarsene sono ovviamente gli intellettuali e comunque le fasce più scolarizzate della popolazione. E’ praticamente impossibile vivere qui: mancano condizioni e diritti di base. Io sono ancora qui solo perché tramite alcuni amici ho trovato un buon lavoro: io e Nvard lavoriamo alla National Gallery; stiamo digitalizzando tutta la collezione e gli archivi, è un progetto lungo e pagato bene.

Un’ultima domanda sul sistema educativo qui in Armenia, e più specificamente a Yerevan, per quel che riguarda le discipline artistiche. Potresti illustrarci come funziona? E poi, hai appena citato il discorso dell’emigrazione: gli artisti, diciamo soprattutto i ventenni e i trentenni, tendono a trasferirsi all’estero?

Harutyun Alpetyan: Certo, con piacere. Prendiamo l'esempio della storia dell’arte: è una laurea quadriennale e, se trascuriamo il corso tenuto recentemente da Vartan Azatyan, davvero contemporaneo ma con un grado di apprezzamento davvero basso da parte degli studenti, la storia dell’arte per loro finisce a Dalì! L’università non considera nemmeno l’arte concettuale! Vorrei che vi rendeste conto del contesto e dell’immagine dell’arte che hanno i laureati in questa disciplina … Alcuni poi si dedicano al contemporaneo; iniziano magari a seguirlo e a fare ricerca, ma sono una percentuale infinitesimale dei laureati e, se mettiamo insieme arti grafiche, pittura, storia dell’arte e design, credo non siano più di un migliaio all’anno; quindi il quadro è abbastanza deprimente. Se guardiamo alla generazione di artisti contemporanei più giovani, la stragrande maggioranza infatti proviene da altri campi, non ha studiato arte. I laureati delle accademie sognano la mostra presso l’Unione degli Artisti, i più arditi magari al Padiglione Armenia a Venezia!

Non credo che così tanti artisti possano permettersi di andarsene da qui; non c’è un movimento specifico. Certamente ci sono anche artisti tra le tante persone che emigrano all’estero, ne conosco parecchi, ed è chiaro che ci sia questa tendenza a cercare di andarsene. Voi in questi giorni avete parlato spesso della situazione critica in Italia, ma c’è una differenza sostanziale, secondo me, e riguarda quello da cui cerchiamo di scappare. La società armena è quasi totalmente passiva, non oppone resistenza a nulla. Voi magari vi lamentate di un’inflazione del 2-3%, che per l’Europa è una catastrofe certo, ma qui nessuno fiata per aumenti del 15%. Forse solo quelle diecimila persone che avete visto manifestare ieri sera protestano (una dimostrazione pacifica autorizzata ha avuto luogo la sera del 2 agosto a Freedom Square, peraltro teatro degli scontri del primo marzo 2008, ndr), ma tutti gli altri? Forse l’intera nazione vive bene, ma chiaramente è impossibile che sia così! Ci sono problemi ovunque - è vero -, ma il livello, la tipologia, come essi influenzano la tua vita, questi sono diversi. Nonostante tutto, o forse proprio per il fatto che l’artista è il primo a resistere al contesto e alla situazione in cui si trova, in Armenia ci sono degli artisti contemporanei molto interessanti!

Link utili:
AJZ space
AICA Armenia
Art & Cultural Studies Laboratory
Suburb Cultural Center
Booklet per il primo compleanno di AJZ space
APAIC


Harutyun Alpetyan (1980, Yerevan - Armenia) vive e lavora a Yerevan. Nell’agosto 2009 ha fondato, insieme all’artista e curatrice Nvard Yerkanian, lo spazio indipendente AJZ space, per il quale ha curato alcune mostre coinvolgendo giovani artisti sia armeni che internazionali. Dal 2008 è attivo come video artista e performer e come curatore e teorico nel campo delle arti visive e performative. Con una formazione che spazia dall’ingegneria all’economia, nel 2009 e nel 2010 partecipa alla quarta e quinta edizione dei Summer Seminars for Art Curators e segue il master curatoriale condotto da AICA Armenia “The Job of Exhibition and Cultural Criticism”. Nel 2010 fonda APAIC (Armenian Performing Arts Independent Community), network per il teatro indipendente armeno parte di EEPAP (Eastern European Performing Arts Platform), progetto regionale del Polish Theatre Institute e dell’Adam Mickiewicz Institute.

Eleonora Farina è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in storia dell'arte contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte sul Meno (al tempo diretta dal Prof. Daniel Birnbaum). Dopo un anno di lavoro a Bucarest presso il dipartimento curatoriale del Museo Nazionale d'Arte Contemporanea, al momento vive a Berlino dove ha iniziato un dottorato di ricerca presso la "Freie Universität" (Prof. Gregor Stemmrich) sulla Video Arte in Romania ai tempi della dittatura di Ceauşescu. E' su questa tematica che ha inoltre realizzato diversi progetti curatoriali, ha partecipato a lecture e ha scritto articoli specialistici. Collabora regolarmente con UnDo.Net e con la rivista "Arte e Critica".

Marianna Liosi è laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Dopo diverse esperienze presso istituzioni internazionali, tra cui il Centre Pompidou, Gasworks Londra e la Biennale di Venezia, è stata nel 2008 assistente alla produzione per Manifesta7 e dal 2009 lavora come curatrice indipendente in Italia e all’estero. Nell’agosto 2011 ha partecipato a una residenza presso Labor, spazio non profit a Budapest, dove ha svolto una ricerca a lungo termine sul tema del lavoro e su come la figura del lavoratore viene affrontata dagli artisti. Predilige la pratica collaborative ed è interessata a indagare il ruolo del curatore come mediatore tra l’arte e la società e come l’arte può veicolare una diversa lettura di determinate dinamiche sociali. Collabora con “Drome magazine”. Tra le ultime mostre ed eventi, “Mandragora” (co-curato con Alessandra Saviotti), Museo Internazionale delle Ceramiche – Faenza (2011); “The Workplace in the Financial District, This Is Not A Gateway Festival”, Londra (2010).

Elisa Tosoni vive a Stoccolma, dove è in forza allo Iaspis e lavora a una ricerca sulla temporalità nelle pratiche curatoriali, un progetto sotto la supervisione di Maria Lind, parte del master internazionale in Curating Art presso la Stockholm University. Laureatasi in scultura presso la UEL di Londra nel 2007 con una tesi su Manifesta, dal 2006 è attiva come curatrice indipendente e talvolta critica. La sua mostra più recente è la solo presentation di Eva Frapiccini intitolata “Museo Caneira | la fisica del possibile”, presso la Galleria Alberto Peola, Torino (visitabile fino al 12.11.2011). Dal 2010 è membro fondatore del collettivo curatoriale Alois, insieme a Barbara Meneghel e Guia Cortassa. Ha curato svariati progetti espositivi ed eventi con artisti emergenti a Londra, dove ha contribuito alla creazione dell’artist-run space Elevator Gallery, per il quale ha co-curato “Relocating Absence” (2008). E’ stata inoltre assistente curatrice di Raqs Media Collective e D. Isaia a “Manifesta 7” per Tabula Rasa (2008); ha collaborato con BB3 (3° Biennale di Bucarest, 2008) ed è stata coordinatrice e assistente curatoriale di Cardi Black Box (2008-2009). Suoi testi, interviste e traduzioni sono apparsi su UnDo.Net, “Arte e Critica” e “Around Photography”.



La residenza di Marianna Liosi è stata finanziata dal progetto Step Beyond Travel Grants, mentre Eleonora Farina ed Elisa Tosoni hanno partecipato al sesto Summer Seminars for Art Curators di Yerevan con il supporto della 13a edizione di Movin'up - Programma di sostegno alla mobilità degli artisti e curatori italiani nel mondo