Nella sessione della giornata dedicata al "sistema italiano delle residenze
d'artista: caratteristiche e progetti" partecipano:
l'artista Christian Frosi che cura con Diego Perrone e Renato Leotta Artissima LIDO a Torino; Giusy
Checola per il progetto Archiviazioni di Lecce; Raffaella Spagna, Laura Pugno e
Cosimo Veneziano, artisti e fautori di progetto Diogene residenza bivacco urbano a
Torino; Aldo Colella consulente della Regione Basilicata per il progetto
ArtePollino.
Li abbiamo intervistati sottoponendo ad ognuno le stesse domande (più o meno) ottenendone punti di vista molto diversi a seconda delle specifiche provenienze ed
attitudini. Una prima fase di confronto che offre una visione articolata su concetti
come centro e margine, mobilità, restituzione...
GIUSY CHECOLA Archiviazioni, Lecce
Lo spostamento, l'esperienza del viaggio è un passaggio imprescindibile per la formazione dell'artista, ma non è più focalizzato su Parigi, sulla grande mela o Berlino, perché non esiste più un centro fisso universalmente riconosciuto, una stella polare dell'arte e della cultura. Il centro degli interessi e della comunità artistica è oggi mobile, multiplo, frammentato. Sei d'accordo?
Giusy Checola: Si, certo. Però ci sono dei luoghi in cui l'artista può concentrare il suo lavoro più costantemente. La differenza sta proprio nel fatto che, mentre a Lecce, a Bari e in altri luoghi fino a qualche anno fa era impensabile avviare dei processi un po' più a lungo termine - non solo sporadici come gli eventi estivi o le mostre - a Milano, piuttosto che in altre città come Torino, Londra ecc... succede costantemente.
Da noi c'è ancora un problema di destagionalizzazione culturale. Se ancora c'è una mappatura così definita dei movimenti e delle concentrazioni del lavoro artistico, io la allargherei in generale al nord e al sud del mondo, a quei luoghi non ancora considerati 'sopra'.
Secondo te c'è una tendenza ad invertire il flusso dai grandi centri verso situazioni più periferiche, dislocate?
Giusy Checola: C'è già da parecchio tempo. Questo andamento era molto forte negli anni '90, anche rispetto al centro della città e i suoi dintorni e alle metropoli rispetto alle città di provincia.
Da un lato questa condizione di perenne mobilità mi fa venire in mente una livella, dall'altro il ribaltamento della percezione che avevamo di alcuni luoghi, del sud-Italia ad esempio, in cui qualche anno fa non sarebbe stato possibile avviare certi processi.
Ma in realtà proprio nel sud ci sono state in passato tante esperienze artistiche che non sono mai state incluse e considerate dal sistema artistico. Interno sud - una sezione di Archivica - sta lavorando con una serie di storici dell'arte al recupero di materiale legato ad esperienze artistiche poco conosciute che sono state realizzate dagli anni '70 ad oggi sul territorio.
Secondo me questa tendenza non nasce adesso, ma probabilmente il fattore crisi sta favorendo l'azione di questa livella.
Questi spostamenti solitamente non sono un trapianto, sembrano anzi una “dimostrazione” di quella mobilità che oggi è richiesta ai professionisti. Perché c'è questa necessità di spostamento nonostante siamo tutti interconnessi attraverso i mezzi tecnologici?
Giusy Checola: Archiviazioni ha appena inaugurato la prima mostra in Italia di Devrim Kadirbeyoğlu, un'artista turca che ha lavorato proprio sul tema della mobilità.
Questo progetto è l'esito di un periodo di residenza in Puglia ma anche di una lunga discussione iniziata nel 2009 proprio su questo tema. L'artista ha sentito la necessità di comunicare gli ingenti problemi umani, psicologici e finanziari a cui i cittadini turchi vanno incontro quando fanno richiesta del visto Schenghen.
Lavorando con lei mi sono resa conto di quanto oggi questa mobilità sia richiesta come condizione perenne. Però creare relazioni non è così facile e sembra paradossale in un mondo globalizzato in cui, in effetti, siamo tutti interconnessi.
La creazione della relazione - privata, o su cui si basa il nostro lavoro - non è semplice. Il mondo globalizzato, nonostante i network, i social-network e gli artistic network, non ci facilita il lavoro. Se sei un curatore indipendente, o un artista, non puoi pensare oggi di essere stanziale, perché altrimenti non lavori.
Le difficoltà stanno in una crisi che non è nata ma è esplosa adesso, ma anche in una trasformazione socio-culturale.
La precarietà è uno degli elementi che caratterizza il tema della mobilità, nel bene e nel male, L'aspetto positivo è ad esempio quello di cui parla Thomas Hirschhorn nell'istallazione 'Where Do I Stand? What Do I Want?' appena esposta al CCC Strozzina di Firenze. Lui dice: “mi devo alzare in piedi, affrontare questa cosa senza aspettarmi niente, devo agire, devo fare”.
Dall'altro lato ci è imposto di andare dove ci porta il lavoro. Non è soltanto una questione di attitudine, è chiaro che dopo vent'anni che stai in giro, assorbi questo modo di vivere.
Ma non parliamone come se si trattasse di un ordine dall'alto. Consideriamo sempre che questo tipo di vita è comunque una nostra scelta, nel mio caso dettata anche dalla necessità di relazionarmi ad altri contesti e di creare relazioni - tra artisti e curatori di diversa provenienza e background, tra luoghi diversi e tra arte e altre discipline - che vadano oltre la superficialità che spesso caratterizza le relazioni in rete.
Secondo te la presenza di figure internazionali o di giovani artisti, i progetti in cui confluiscono, cosa restituiscono / come valorizzano il territorio che li accoglie (escludendo l'immediata ricaduta economica)?
Giusy Checola: Dipende da come sono portati avanti questi progetti, da come si sviluppano, dagli artisti coinvolti.
Molto dipende dal meccanismo della domanda giusta per avere la risposta giusta. Ci sono ad esempio progetti di arte pubblica o che comunque agiscono sulla sfera pubblica che in qualche modo stimolano una riflessione comune, ma non è una cosa semplice.
Di sicuro credo che i progetti a breve termine facciano fatica a restituire qualcosa che possa radicarsi al territorio, forse perché sto guardando le cose solo da questa prospettiva.
In quello che stiamo cercando di fare qui, come Archiviazioni e insieme ad altre associazioni, fondamentale è l'aspetto interdisciplinare, capire come avviare processi che diventino infrastrutturali.
Non effimeri...
Giusy Checola: Esatto. Nei progetti a breve scadenza quello che puoi restituire si gioca in un preciso momento, ma non significa necessariamente lasciare una traccia che germoglia e si sviluppa in qualcos'altro.
Ci vuole del tempo e del lavoro per poter analizzare i meccanismi che regolano un territorio: i codici sono la difficoltà più grande.
RAFFAELLA SPAGNA Gruppo Diogene
Lo spostamento, l'esperienza del viaggio è un passaggio imprescindibile per la formazione dell'artista, ma non è più focalizzato su Parigi, sulla grande mela o Berlino, perché non esiste più un centro fisso universalmente riconosciuto, una stella polare dell'arte e della cultura.
Il centro degli interessi e della comunità artistica è oggi mobile, multiplo, frammentato. Sei d'accordo?
Raffaella Spagna: A mio avviso c'è una doppia modalità per approfittare di un'occasione di residenza. Da una parte alcuni grandi centri d'arte o istituzioni garantiscono una certa visibilità e quindi vanno ad alimentare il curriculum dell'artista. Dall'altra la scelta può andare in direzione di un arricchimento della propria formazione personale.
Riconosco nei colleghi questa doppia propensione.
Questo deviare verso mete più periferiche ha anche a che fare in parte con aspetti economici, nel senso che c'è una ricerca, da parte di una branca del mainstream, verso un approfondimento di temi esotici o ricerche storiche su personaggi tra la scienza e l'arte che trovo personalmente un po' forzato. E' come una macchina che si mette in moto, estranea ad una necessità profonda.
E' vero che oggi i centri si stanno un po' “disperdendo” e città classificate come terzo mondo stanno diventando molto interessanti. Però trovo anche questo aspetto di “viaggi d'avventura” di giovani artisti un po' forzato. Personalmente lo vedo come un qualcosa calato di sana pianta un progetto a tavolino che non ha un vero fondamento.
Secondo te c'è una tendenza ad invertire il flusso dai grandi centri verso situazioni più periferiche, dislocate?
Raffaella Spagna: Per risponderti in modo certo dovrei avere un quadro effettivo della situazione. La percezione legata al mio mestiere e all'attività con il gruppo Diogene, va in questa direzione. Ma forse è molto iniziale, molto latente e con delle contraddizioni.
Anche nella vostra esperienza di Diogene a Torino in fondo lo sperimentate...
Raffaella Spagna: Sì. Cerchiamo di aprirci a qualsiasi continente, di ricevere applications da qualsiasi nazione e sarebbe bello dare l'opportunità a tutti, ma poi cerchiamo comunque di scegliere il progetto migliore. Però il nostro obiettivo è dirigere il bando di concorso verso qualsiasi punto del pianeta.
Questi spostamenti solitamente non sono un trapianto, sembrano anzi una “dimostrazione” di quella mobilità che oggi è richiesta ai professionisti. Perché c'è questa necessità di spostamento nonostante siamo tutti interconnessi attraverso i mezzi tecnologici?
Raffaella Spagna: Anche qui leggo un doppio aspetto. Da un lato abbiamo conosciuto artisti che viaggiano ininterrottamente da una residenza all'altra, e questo è anche il loro modo di sostentarsi economicamente.
Vedendo le tempistiche con cui si muovono da un posto all'altro, sappiamo che questo modo di agire non lascia tempo sufficiente per stare su un lavoro, per produrlo, per fermarcisi, per rifletterci. Questa è sicuramente una modalità snaturante che deriva da condizioni esterne un po' imposte, da un sistema frenetico che lo esige. Che ti trascina e da cui sei risucchiato.
C'è questa versione un po' degenerata; mentre l'altro aspetto riguarda molto più il contesto italiano, nel quale fino alle ultimissime generazioni che invece stanno diventando molto più mobili, la residenza era qualcosa di semi-sconosciuto. C'era una quantità di artisti che si trasferivano, anche in maniera definitiva, e lo facevano assolutamente con le loro risorse senza un appoggio da parte delle istituzioni italiane, ma questi erano casi in un certo senso eccezionali.
Adesso invece ci sono flussi di spostamento che trovo assolutamente salutari.
Come Diogene siete stati la prima residenza per artisti a Torino...
Raffaella Spagna: Si è un po' incredibile. A Torino, nonostante la presenza di numerose istituzioni pubbliche, non è stata letta questa esigenza fondamentale e quindi non era stato mai creato un punto di appoggio e di scambio, un ponte con altre nazioni. Ed è stato un collettivo di artisti con poche risorse a creare la primissima residenza a Torino.
Movin'Up esisteva già da parecchi anni ed era un sostegno ai viaggi e agli spostamenti dei giovani artisti, coprendo in generale una percentuale delle spese di viaggio.
Secondo te la presenza di figure internazionali o di giovani artisti, i progetti in cui confluiscono, cosa restituiscono / come valorizzano il territorio che li accoglie (escludendo l'immediata ricaduta economica)?
Raffaella Spagna: Dipende sia alla struttura della residenza e dalla natura dell'istituzione che dal tipo di lavoro dell'artista. Può accadere che l'artista rimanga isolato ma può anche accadere che il lavoro dell'artista stesso si voglia calare nella zona di residenza.
A Diogene è capitato un collettivo di artisti che desiderava un contatto diretto con gli abitanti del quartiere. Però è stata una loro esigenza, noi non vogliamo forzare ma tenerci aperti a qualsiasi tipo di pratica artistica.
Questo per non connotare una condizione già molto pubblica e sociale, com'è un luogo dell'arte contemporanea collocato in un tram al centro di una rotonda, che svolge necessariamente pratiche molto relazionali e legate al territorio.
Il luogo stesso della residenza fa già sì che il passante entri in contatto anche con il più timido degli artisti.
Tu hai anche un'esperienza d'artista che fa residenze e workshop, che si sposta, e quindi l'avrai vissuto sulla tua pelle questo rapporto con i luoghi.
Raffaella Spagna: Nel caso mio con Andrea Caretto, prendere in considerazione il contesto in modo approfondito è parte del nostro processo di lavoro. C'è quasi sempre una sorta di esplorazione del sistema ambiente nuovo e questo fa sì che i luoghi e le persone vengono incontrati, creando così delle relazioni e delle tracce. In genere alle persone del luogo fa piacere e non si sentono usate strumentalmente. Rimane un ricordo, una traccia.
CHRISTIAN FROSI Artissima Lido
Lo spostamento, l'esperienza del viaggio è un passaggio imprescindibile per la formazione dell'artista, ma non è più focalizzato su Parigi, sulla grande mela o Berlino, perché non esiste più un centro fisso universalmente riconosciuto, una stella polare dell'arte e della cultura.
Il centro degli interessi e della comunità artistica è oggi mobile, multiplo, frammentato. Sei d'accordo?
Christian Frosi: Il centro ha le sue proprietà e la lontananza da questo centro ne ha altre. Ci sono diverse opportunità a seconda di dove ti trovi. Le attività e le iniziative che accadono “ai margini” hanno lo stesso interesse di quello che accade in centro.
Non penso ci sia neanche più lo scarto che vede più interessante quello che accade ai margini. Ci sono sicuramente opportunità diverse.
Se una serie di persone che tu ritieni importanti vanno, ad esempio a Yerevan, in Armenia, per te può diventare più interessante questo posto? A volte sembra che i luoghi siano dei pretesti, un giorno si è a Basilea e l'altro a Barletta.
Succede perché i luoghi sono fatti delle persone che ci vanno o perché è cambiata la situazione globale?
Christian Frosi: Con Diego Perrone, nel giro che abbiamo fatto per il progetto 'Eroina' - quello per cui siamo stati coinvolti in Artissima Lido - abbiamo notato una certa uniformità dell'intensità del lavoro in tutta Italia, con forse maggiori libertà dove non ce lo aspettavamo.
Ad esempio a Reggio Calabria c'era un gruppo di architetti che riusciva ad avere un atteggiamento non schematico nella sua azione sul territorio, passando dall'architettura all'arte ad interventi sulla scuola con molta leggerezza e molta libertà.
Penso che dipenda molto dalle persone. Il fatto di essere molto informati in luoghi molto isolati può creare delle situazione molto suggestive: come un'astronave schiantata in un posto esotico.
Fondamentalmente sta invecchiando questo discorso del centro e del margine, per cui ci sono diverse possibilità di azione. Puoi agire in maniera efficace sia in una zona marginale che in una centrale, basta prendere le proprie misure. Proprio in questo periodo si sente nei centri riconosciuti una certa atmosfera decadente.
I centri sono diventati così giganteschi che creano al loro interno altri centri. Puoi vivere in uno spazio ristretto anche se sei in una grande città...
Christian Frosi: La sensazione è che il centro lo crei il maggior numero di informazioni.
Questi spostamenti solitamente non sono un trapianto, sembrano anzi una “dimostrazione” di quella mobilità che oggi è richiesta ai professionisti. Perché c'è questa necessità di spostamento nonostante siamo tutti interconnessi attraverso i mezzi tecnologici?
Christian Frosi: Ho ragionato molto sul perché si debba essere fisicamente ad una mostra. Ricordo l'articolo di un vescovo relativo alla validità della benedizione via televisione. Qualcuno sostiene che vale solo se ci credi. Questo mi fa pensare che probabilmente vivere il fascino di una città da lontano crea energie positive.
Può stimolare il tuo immaginario in modo più sognante, più potente, più assoluto. Se invece ti svegli in un appartamento in quella città ed entri in contatto con la burocrazia, tutto questo ti 'smonta' il luogo.
Si può giocare sul fatto di sognare la città immaginandola da lontano. Un po' come in alcuni telefilm americani degli anni '80.
Secondo te la presenza di figure internazionali o di giovani artisti, i progetti in cui confluiscono, cosa restituiscono / come valorizzano il territorio che li accoglie (escludendo l'immediata ricaduta economica)?
Christian Frosi: Secondo me è interessante di partenza. Gli effetti che ne derivano in concreto sono direttamente proporzionali a quanto l'artista riesce ad interpretare bene il luogo. Sicuramente il fatto di spostarsi, di lavorare in un luogo che non conosci crea degli stimoli positivi...
...a te artista. Il luogo, invece, ne riceve qualcosa?
Christian Frosi: Sicuramente, se hai gestito bene la comunicazione e il rapporto con il pubblico e con la popolazione. Questo è molto delicato ed è la chiave su cui si può giocare molto. Se il passaggio dell'artista viene sfruttato bene, si lascia sicuramente qualcosa di positivo.
La cosa interessante parlando con i protagonisti degli spazi che abbiamo invitato ad Artissima Lido - stiamo parlando di progetti legati da/a un luogo - è che alcuni di loro si sentivano quasi in difficoltà nel vivere questo distacco, proprio perché la loro identità è fortemente legata al luogo in cui operano. Il loro intervento a Torino porta con sé il fortissimo legame con il luogo in cui operano.
Avete invitato artisti e gruppi ad agire su luoghi normalmente utilizzati in altri modi, e questi si trovano a mediare non solo con le dimensioni spaziali ma anche con le finalità d'uso dei luoghi stessi. Il vetrinista influisce sull'allestimento ad esempio...
Christian Frosi: Una buona parte dei progetti che abbiamo invitato erano pronti ad un confronto con uno spazio ibrido e ad una situazione di questo tipo. Anzi, speravamo che questa situazione potesse portare loro nuovo materiale su cui lavorare. Sapevamo anche che altri li avremmo dovuti proteggere di più.
Non tutti gli spazi che li ospitano sono in negozi o bar, quindi alcuni degli invitati sono riusciti a teletrasportarsi in un contesto simile a quello da cui provengono.
Ad esempio, invitare a Torino il progetto di Davide Porcedda sulla costa del Sulcis-iglesiente in Sardegna può essere un modo per dare visibilità ad alcune attività che quando sono realizzate sul territorio hanno meno “incidenza”?
Christian Frosi: Sicuramente è una situazione che speriamo evidenzi alcuni lavori rispetto ai luoghi in cui operano. Alcuni di loro hanno anche avuto l'esigenza e la capacità di mimetizzarsi nel proprio territorio. A Torino verranno fuori con dei contorni più netti.
ALDO COLELLA, ArtePollino
Secondo te la presenza di figure internazionali o di giovani artisti, i progetti in cui confluiscono, cosa restituiscono / come valorizzano il territorio che li accoglie (escludendo l'immediata ricaduta economica)?
Aldo Colella: A distanza di un anno dalla realizzazione del progetto Arte Pollino, abbiamo appurato gli effetti che un'operazione del genere ha potuto apportare, notando, nei luoghi in cui sono state realizzate le opere, un incremento turistico dell'8,5% di visitatori dall'estero.
Abbiamo anche misurato in difetto la ricaduta economica di questa operazione: si tratta di 500.000 euro, gli stessi soldi che la Regione Basilicata ha investito nel progetto Arte Pollino....
Legato a questo incremento turistico c'è stato anche uno sviluppo delle piccole attività artigianali presenti nel territorio. Ad esempio succede che i giovani che avevano l'intenzione di andarsene, aprono invece attività come la lavorazione del legno, della pietra, delle conserve. Attività che a loro volta creano fiere che coinvolgono l'agricoltura ecc.
Non è vero che un'operazione d'arte contemporanea non serve.
Lo spostamento, l'esperienza del viaggio è un passaggio imprescindibile per la formazione dell'artista, ma non è più focalizzato su Parigi, sulla grande mela o Berlino, perché non esiste più un centro fisso universalmente riconosciuto, una stella polare dell'arte e della cultura.
Il centro degli interessi e della comunità artistica è oggi mobile, multiplo, frammentato. Sei d'accordo?
Aldo Colella: Sono sicuramente d'accordo.
Secondo me gli artisti oggi si dirigono nei luoghi in cui riescono ad avere qualcosa in termini emozionali. L'ho visto con artisti come Anish Kapoor, Giuseppe Penone, e lo stesso Carsten Holler che con la sua presenza ha richiamato una serie di giovani artisti desiderosi di seguire le fasi della realizzazione della sua opera.
Secondo te c'è una tendenza ad invertire il flusso dai grandi centri verso situazioni più periferiche, dislocate?
Aldo Colella: I luoghi periferici sono interessanti perché c'è uno scambio diverso, e si ritrovano radici che sono state perse. Una grande città, forse, non ti può dare quell'affetto che le piccole realtà invece riescono a dare.
Ad esempio nei nostri piccoli paesi si vive come una volta, le porte son sempre aperte. Non abbiamo l'effetto di isolamento delle grandi città.
Questi spostamenti solitamente non sono un trapianto, sembrano anzi una “dimostrazione” di quella mobilità che oggi è richiesta ai professionisti. Perché c'è questa necessità di spostamento nonostante siamo tutti interconnessi attraverso i mezzi tecnologici?
Aldo Colella: Lo scambio che avviene in un rapporto personale è molto differente. Parlando direttamente con le persone, confrontandosi, si tira fuori il meglio. Ad esempio in una conversazione nel salotto di casa bevendo un buon tè, con un gruppo di amici o con alcuni artisti, hai il tempo di fermarti fino a notte fonda, cambiando realmente le idee.
La gestualità di una persona attraverso una comunicazione telematica non la puoi vedere. E ad esempio i gesti delle persone anziane riescono a comunicare tantissimo.
Noi abbiamo invitato molti artisti a lavorare sul territorio, insieme alle comunità locali. Penso a Claudia Losi che ha coinvolto le ricamatrici di un intero paese per la realizzazione della sua opera.
Penso a Anni Rapinoja che ha lavorato a San Paolo Albanese, un paese arbëreshë, realizzando un bellissimo lavoro per spazzare il cielo, una serie di scope di ginestra locale infisse a terra e rivolte verso il cielo.
Penso anche che i giovani artisti della Basilicata, in relazione con altri artisti italiani o stranieri possano confrontarsi e tirar fuori il doppio del 'raccolto'.
Maggiori informazioni sulla giornata
In/Out a Torino il 3 novembre 2011
13a edizione del concorso Movin'Up, programma di sostegno alla mobilità degli artisti italiani nel mondo
Il bando
Movin’Up è rivolto ai giovani creativi tra i 18 e i 35 anni di età che operano con obiettivi professionali e che sono stati ammessi o invitati ufficialmente all'estero da istituzioni culturali, festival, enti pubblici e privati a concorsi, residenze, seminari, workshop, stage o iniziative analoghe o che abbiano in progetto produzioni artistiche da realizzare presso centri e istituzioni straniere.
Il concorso è promosso in partnership da
DG PaBAAC Direzione Generale per il Paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee - Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal
GAI - Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani. Nell'ambito del progetto
DE.MO. – sostegno al nuovo design per art shop e bookshop e alla mobilità internazionale dei giovani artisti italiani.
Il programma, nato nel 1999, ha permesso di sostenere ad oggi
480 su 1.323 progetti presentati, per un totale di
941 artisti.
Per l'anno 2011 il concorso ha previsto 2 sessioni di candidatura. Ecco i
risultati della prima sessione di Movin'up 2011
La scadenza per iscriversi alla
seconda sessione di Movin'up 2011 è
venerdì 11 novembre 2011, ore 12.00. Il bando è online sul
sito internet del GAI
Per informazioni: segreteria nazionale GAI
Tel. +39 011.4430020/34 - Numero verde 800807082 -
info@giovaniartisti.it