Attraversare le contingenze allargando le prospettive

04/11/2011
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La tempra di Yerevan II

Due settimane di residenza intensiva a Yerevan insieme ad un gruppo di giovani curatori, hanno permesso a tre italiane di comprendere al meglio lo stato dell'arte contemporanea in Armenia. Eleonora Farina, Marianna Liosi ed Elisa Tosoni raccontano ora la loro esperienza e propongono tre interviste che rappresentano tre diversi approcci alla situazione, critica ma stimolante, nella giovane repubblica caucasica.



Performance musicali con Tsomak, Hamlet e Harut nel sottopassaggio della metropolitana, Yerevan. Foto di Vaghinak Ghazaryan




Performance musicali con Tsomak, Hamlet e Harut all'uscita della metropolitana, Yerevan. Foto di Vaghinak Ghazaryan




Irena Pascali, For our own good, Women's Dialogue. Mostra in occasione dell’International Women’s Festival, a cura di Eva Khachatrian, ACCEA, 8 marzo 2005




City in Use, 2011. Panel discussion, Scuola d'Arte presso il Mekhitar Sebastatsi Educational Complex (nel quartiere Bangladesh), Yerevan. Foto di Vaghinak Ghazaryan




Media Center (esterno), Mekhitar Sebastatsi Educational Complex, nel quartiere Bangladesh, Yerevan. Foto di Aya Bach




Karin Grigoryan, Vahram Aghasyan, Eva Khachatryan a 'Intersection of Parallels'. Seminario Internazionale coordinato da Eva Khachatryan, Mekhitar Sebastatsi Educational Complex, Yerevan, 14-16 ottobre 2011. Foto di Aya Bach




Bangladesh, quartiere alla periferia di Yerevan. Foto di Aya Bach




Laps Intensions, Laps Collective, nel contesto di City in Use, 2011. Foto di Vaghinak Ghazaryan




City in Use, 2011 Manifestazione di AJZ, performance nella città, Yerevan. Foto di Karin Grigoryan




City in Use, 2011 Manifestazione di AJZ, performance nella città, Yerevan. Foto di Karin Grigoryan




Workshop di Wibke Behrens, NGBK - New Society for Visual Arts, Berlino




Mostra di Sahak Poghosyan, nel contesto di City in Use, 2011, Northern Avenue, Yerevan. Foto di Vaghinak Ghazaryan




Visita al Cafesjian - Centro per le Arti, con Eva Khachatryan, Nazaterh Karoyan, Vahram Aghasyan. Foto di Aya Bach




Simposio 'Women's Dialogue': Il ruolo della donna nell'arte, nella cultura e nella società, Yerevan. Foto di Vahram Aghasyan




Produzione di una fanzine, durante il workshop con OvaryAction, in occasione del Simposio 'Women's Dialogue', Yerevan. Foto di Eva Khachatryan




Locandina di 'Intersection of Parallels'. Seminario Internazionale coordinato da Eva Khachatryan, Media Center, Mekhitar Sebastatsi Educational Complex, Yerevan, 14-16 ottobre 2011. Foto di Aya Bach




In questa seconda puntata parla Eva Khachatryan, curatrice indipendente, membro di AICA Armenia (International Association of Art Critics).
Intervista a cura di Eleonora Farina, Marianna Liosi ed Elisa Tosoni, recentemente a Yerevan in occasione dei 6th Summer Seminars for Art Curators


Hai lavorato come curatrice presso l'ACCEA - Armenian Center for Contemporary Experimental Art, il più importante centro d'arte contemporanea dell'Armenia, e da qualche anno hai deciso di intraprendere la carriera da free-lance e hai fondato il Suburb Cultural Center. Ci puoi raccontare qualcosa della tua esperienza nell'ACCEA e del perché hai deciso di lasciarla? In che modo il Suburb è inserito nel contesto attuale dell'arte contemporanea a Yerevan?

Eva Khachatryan: Allora, iniziamo dicendo che mi sono laureata al Conservatorio e non ho quindi avuto un'educazione specifica nel campo dell'arte. Però sono cresciuta in una famiglia di artisti e quindi è stato naturale 'catapultarmi' nella scena e nella situazione artistica contemporanea. Nel 2000 sono stata invitata all’ACCEA come coordinatrice per il settore della musica d'avanguardia; lì ho organizzato una serie di performance e alcuni piccoli concerti collaborando con giovani compositori e musicisti rock (per esempio la band Incest).
Qualche tempo dopo - non ricordo esattamente se nel 2001 o nel 2002 - ho curato la mia prima esposizione intitolata “Sound and Space”, la quale presentava soprattutto installazioni audio o video in cui il suono era parte fondamentale. Feci questa mostra perché me lo suggerì un amico, l'artista David Kareyan, dicendomi: “Abbiamo bisogno di giovani curatori. Dai, prova!”. Provai quindi e, per essere la prima volta, fu un successo; ero veramente emozionata! Così iniziò la mia carriera.
Durante il periodo di lavoro presso il Centro ho realizzato quasi esclusivamente mostre personali, tra queste la prima di David nel 2003; fu una sua idea e a quel tempo non lavorava ancora all'ACCEA (vi arrivò solo tre anni più tardi).

Al Centro ho lavorato molto su tematiche legate alla donna. Il primo progetto, e il più significativo a riguardo, venne realizzato nel 2005 e fu un festival internazionale con una mostra, un simposio e diversi workshop. Si intitolava “Women's Dialogue” e nasceva in un contesto fortemente femminista. Fu come tornare indietro ai tempi sovietici e ricordarne alcuni aspetti positivi, quale ad esempio il vero significato dell'8 Marzo: in Armenia, come in altri paesi post-sovietici, viene vissuto come un giorno di regali e di fiori piuttosto che di diritti per le donne.
Questo mio progetto, portato avanti fino al 2010, divenne annuale anche se le edizioni seguenti non furono festival bensì mostre internazionali o piccoli progetti locali. Ultimamente inoltre non era più incentrato solo sull'8 Marzo ma era stato sviluppato in riferimento alle tematiche di genere. Io personalmente continuo a lavorare con artiste con cui ho già collaborato in passato.

L’ACCEA - come giustamente sottolineate voi - è una delle istituzioni principali per l’arte contemporanea in Armenia ma in questo momento è abbastanza isolata, non ha relazioni esterne con altre organizzazioni e preferisce al contrario invitare persone a lavorare per loro. Le altre istituzioni, come l'AICA Armenia (International Association of Art Critics), Utopiana, il Suburb Cultural Center o il Gyumri Center of Contemporary Art (fondatori della Biennale di Gyumri, ndr) hanno invece capito che non possono esistere e sopravvivere senza collaborare!
Comunque, tornando alla vostra domanda... Ho cominciato in un'istituzione quale l'ACCEA e ci ho lavorato per un lungo periodo, fino al 2008. Da quell'anno sono quindi diventata free-lance e ora porto avanti parallelamente la mia carriera da indipendente e il Suburb Cultural Center nel quartiere periferico di Bangladesh. Il Suburb è certamente importante per me ma - ribadisco - tengo molto a definirmi curatrice indipendente, poiché l'SCC è un'istituzione 'utopica' nonostante le sue molte attività in corso. Non ha uno spazio proprio ma può essere utilizzato quello del Mekhitar Sebastatsi Educational Complex a Bangladesh.

L'idea del Suburb nasce nel 2005, quando il critico d'arte Nazareth Karoyan (direttore dell'AICA Armenia, ndr), l’artista Grigor Khachatryan (in mostra al Padiglione Armenia dell'attuale Biennale di Venezia, ndr), che in quell'anno divenne direttore della scuola d'arte di Bangladesh, e Ashot Bleyan, direttore dell'intero complesso, decisero di modificare questo 'suburb' in un 'center' invitando artisti, scrittori e molti altri pensatori per discussioni e incontri. Tutto ciò divenne più visibile e concreto quando ho iniziato a organizzare personalmente delle mostre, coadiuvandomi con l'artista Vahram Aghasyan e più tardi con alcuni altri amici e colleghi quali Karin Grigoryan e Gor Yengoyan.
Gli ultimi due progetti che sono stati realizzati nel contesto del Suburb sono “City in Use” nello spazio pubblico e il seminario “Intersection of Parallels” dedicato all'esistenza istituzionale auto-organizzata dell'arte contemporanea.

L'Armenia si trova a metà strada tra l'Europa e l'Asia; è quasi un ponte di passaggio tra i due continenti e, se da un punto di vista geo-politico è chiaramente asiatica, da un punto di vista culturale è invece prettamente europea. Come si contestualizza la scena dell'arte contemporanea nel sistema artistico internazionale? Noti un interesse crescente da parte di curatori e istituzioni internazionali nei confronti degli artisti locali?

E.K.: Spostarsi dall'Armenia può non essere facile ma, se hai già contatti o sei conosciuto all’estero e ottieni quindi un invito, allora viaggi sempre avanti e indietro - come nel mio caso. Io ho iniziato partecipando a un seminario curatoriale a Belgrado presso il Museo d’Arte Contemporanea nel 2002 con più di venti curatori dall’Est Europa; nel 2003 abbiamo poi realizzato la mostra conclusiva, “Last East European Show”.
Questo è stato il primo progetto attraverso il quale ho incontrato tante persone che lavoravano nel mio campo. Se hai questo database di contatti, quando vai all'estero già ti conoscono. In quell'occasione proposi tre artisti armeni: Vahram Aghasyan, Diana Hakobyan e David Kareyan. Grazie a questa mostra e a numerose altre presentazioni e talk che ho tenuto, sono quindi diventata una sorta di 'ambasciatrice' dell'Armenia fuori da questi confini e mi viene quindi chiesto molto spesso di presentare l'arte contemporanea armena in un contesto più ampio.

Non è così semplice realizzare progetti internazionali all'estero, quindi tutti i miei progetti internazionali si sono finora svolti in Armenia.
Alla fine i curatori sono come dei mediatori, perché aiutano gli artisti locali a prender parte alla scena internazionale dell'arte. Fino a qualche anno fa i curatori internazionali erano più privilegiati e avevano più possibilità di proporre l'arte contemporanea armena, ma ora nella maggior parte dei casi preferiscono collaborare con curatori locali.

Ultimamente noto che stanno nascendo diversi progetti di ricerca su quest'area geografica, soprattutto in Austria e in Germania, ad esempio “Critique and Crisis. Art in Europe since 1945” (la mostra che il Museo di Storia Tedesca di Berlino sta realizzando ora, in calendario per ottobre 2012 - ndr) ma anche Sweet 60s (il curatore Ruben Arevshatyan ne è uno degli iniziatori) e Gender Check – Femininity and Masculinity in the Art of Eastern Europe. Grazie a quest'ultimo progetto la Erste Foundation di Vienna ha creato un archivio, che probabilmente sarà visitabile al MUMOK di Vienna. Ho preso parte alla sua realizzazione e, dopo la mostra, si tenne anche un simposio e con il gruppo di lavoro ci incontrammo per decidere cosa fare di questa raccolta abbastanza grande che colleziona immagini e opere provenienti da più di venti paesi diversi.

Qui in Armenia, al contrario, non abbiamo un archivio istituzionale di arte contemporanea e questo è proprio il punto debole sul quale stiamo ragionando e lavorando ora. Tutti i curatori hanno dei loro archivi personali ma il problema è che non esiste una biblioteca dove si può liberamente andare e consultare il materiale presente. Utopiana è un'istituzione con una biblioteca, ma non è pubblica; hanno un archivio, ma non è specializzato in arte contemporanea. Comunque è una delle organizzazioni che sta certamente lavorando in questa direzione.
In Georgia, a Tbilisi presso la residenza per artisti GeoAir Archidrome co-fondata da Nini Palavandishvili, c'è un interessante archivio e anche io (durante il mio periodo di residenza da loro a maggio del 2010) ho contribuito personalmente con del materiale sull’Armenia.

Sembra che il sistema dell'arte armeno si sia sviluppato molto velocemente negli ultimi anni. Pensi che, oltre all'assenza di un archivio (della quale ci hai appena parlato) ci sia ancora qualche aspetto mancante in termini sia di possibilità di mostre, di fondi, di mercato etc., soprattutto per gli artisti più giovani?

E.K.: Per quanto riguarda la mia attività personale, avrei bisogno di tempo per 'focalizzare'. E’ qualcosa che è veramente difficile da fare, quando sei coinvolto in così tanti progetti sia qui che all’estero; non hai veramente il tempo necessario per concentrarti su una cosa. Vorrei condurre il Suburb in maniera più organizzata; vorrei rimanere a Yerevan per più tempo e non viaggiare sempre, o almeno farlo per periodi più lunghi e non solo per pochi giorni.

Per quanto riguarda aspetti più ampi, ritengo che una cosa fondamentale da fare sia quella di cercare delle risorse economiche in loco; è un qualcosa di difficile realizzazione e non è mai avvenuto finora. Non riceviamo alcun finanziamento dal governo e forse dovremmo tentare con il settore privato. In genere realizzo i miei progetti con fondi internazionali e anche quando lavoravo presso l'ACCEA i finanziamenti provenivano dalla Diaspora e non dai locali. Questo è - secondo me - una delle questioni fondamentali su cui discutere; bisogna assolutamente lavorare su questo punto altrimenti non avremo mai nulla di stabile: viviamo e produciamo giorno per giorno senza sapere cosa succederà domani. La stabilità finanziaria è uno dei problemi più urgenti.

Come ci hai accennato, per anni sei stata attiva a livello internazionale e hai portato avanti le tue ricerche e i tuoi progetti nel campo dei new media e delle questioni di genere. In che direzione ti stai muovendo ora? Quali sono i tuoi nuovi focus e interessi e a cosa stai lavorando in questo momento?

E.K.: Sì, infatti. Le tematiche di genere mi sono state sempre care. Come infatti ho detto prima, nel 2009 sono stata invitata come ricercatrice per il progetto “Gender Check” (curatrice Bojana Pejic) per lavorare sull’Armenia dagli anni Sessanta agli anni Novanta. E' stato il mio primo progetto di ricerca e per me è stata un'esperienza fondamentale, perché non avevo mai svolto tali approfondimenti su quel periodo storico. “Gender Check” ha voluto rivisitare la storia, e specialmente il Realismo Socialista degli anni Sessanta durante il quale già si evidenziano elementi di femminismo latente e di tematiche di genere.
Al momento sto pianificando un altro progetto su queste stesse problematiche - una specie di continuazione di “Gender Check” - con le mie colleghe in Georgia (Nini Palavandishvili) e in Azerbaijan (Sabina Shikhlinskaya). Questa volta ci vorremmo focalizzare più su un ambito regionale.

Recentemente ho iniziato a collaborare con il Goethe Institute; la sede responsabile per l'Armenia (e per l'Azerbaijan) in realtà non si trova qui ma a Tbilisi. Mi hanno infatti invitato a prender parte a dei corsi di cultural management, tenutisi in Germania. Sono stata quindi a Berlino per due mesi e poi all’NGBK – New Society for Visual Arts per un altro mese.
Il risultato di tutto questo è il seminario internazionale Intersection of Parallels, che si svolgerà in autunno (tenutosi dal 14 al 16 ottobre scorsi, ndr), con una serie di talk, discussioni, workshop e presentazioni dedicati al tema dell'auto-organizzazione e alla creazione di network di organizzazioni simili in questa regione geografica e oltre. Lo stimolo è stato il progetto Other Possible Worlds presso l’NGBK (2010) appunto, attraverso il quale ho conosciuto diversi curatori con cui si è in quell’occasione deciso di collaborare, e credo la collaborazione continuerà anche in futuro.
Al momento inoltre sto lavorando a una pubblicazione relativa a un progetto nel quale sono stata coinvolta a Tbilisi nel 2010: Frozen Moments: Architecture Speaks Back, curato dalla polacca Joanna Warsza.


Link utili:
ACCEA
Suburb Cultural Center
Utopiana
GeoAir Archidrome, Tbilisi
Seminario internazionale “Intersection of Parallels”


Nella puntata precedente, l'intervista all'artista e curatore Harutyun Alpetyan, fondatore dello spazio indipendente AJZ space


Eva Khachatryan (1977, Yerevan – Armenia) vive e lavora a Yerevan. E' una curatrice indipendente, membro di AICA Armenia (International Association of Art Critics). Tra il 2003 e il 2008 ha lavorato come curatrice presso l'Armenian Center for Contemporary Experimental Art (ACCEA) e tra il 2006 e il 2008 ha ricoperto la carica di co-direttrice del Dipartimento di Belle Arti dell'ACCEA stessa. Al momento sta realizzando i suoi progetti presso il Suburb Cultural Center. Dal 2005 ha organizzato diversi progetti quali “Women’s Dialogue” International Festival (ACCEA, Yerevan), “Art in the Age of New Technologies” International Media Festival (ACCEA, Yerevan), le mostre collettive “Alternative Vision” (Art Point Gallery - KulturKontakt, Vienna) e “Memory and Identity” (nell'ambito del festival “Culturescapes”, Basilea), la mostra internazionale di artiste “All and Now!” (Media Center, Yerevan) e "Every Day, Everywhere" (Suburb Cultural Center, Yerevan). Dal 2007 è co-organizzatrice del festival “Transkaukazja“ ideato da „The Other Space Foundation“ (Varsavia). E' stata ricercatrice per il progetto e per la mostra “Gender Check – Femininity and Masculinity in the Art of Eastern Europe” curata da Bojana Pejic e ideata dalla ERSTE Foundation, MUMOK, Vienna. I suoi ultimi progetti sono „City in Use“ (2011) nello spazio pubblico e il seminario internazionale „Intersection of Parallels“ (2011, partner principale il Goethe Institute).

Eleonora Farina è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in storia dell'arte contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte sul Meno (al tempo diretta dal Prof. Daniel Birnbaum). Dopo un anno di lavoro a Bucarest presso il dipartimento curatoriale del Museo Nazionale d'Arte Contemporanea, al momento vive a Berlino dove ha iniziato un dottorato di ricerca presso la "Freie Universität" (Prof. Gregor Stemmrich) sulla Video Arte in Romania ai tempi della dittatura di Ceauşescu. E' su questa tematica che ha inoltre realizzato diversi progetti curatoriali, ha partecipato a lecture e ha scritto articoli specialistici. Collabora regolarmente con UnDo.Net e con la rivista "Arte e Critica".

Marianna Liosi è laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Dopo diverse esperienze presso istituzioni internazionali, tra cui il Centre Pompidou, Gasworks Londra e la Biennale di Venezia, è stata nel 2008 assistente alla produzione per Manifesta7 e dal 2009 lavora come curatrice indipendente in Italia e all’estero. Nell’agosto 2011 ha partecipato a una residenza presso Labor, spazio non profit a Budapest, dove ha svolto una ricerca a lungo termine sul tema del lavoro e su come la figura del lavoratore viene affrontata dagli artisti. Predilige la pratica collaborative ed è interessata a indagare il ruolo del curatore come mediatore tra l’arte e la società e come l’arte può veicolare una diversa lettura di determinate dinamiche sociali. Collabora con “Drome magazine”. Tra le ultime mostre ed eventi, “Mandragora” (co-curato con Alessandra Saviotti), Museo Internazionale delle Ceramiche – Faenza (2011); “The Workplace in the Financial District, This Is Not A Gateway Festival”, Londra (2010).

Elisa Tosoni vive a Stoccolma, dove è in forza allo Iaspis e lavora a una ricerca sulla temporalità nelle pratiche curatoriali, un progetto sotto la supervisione di Maria Lind, parte del master internazionale in Curating Art presso la Stockholm University. Laureatasi in scultura presso la UEL di Londra nel 2007 con una tesi su Manifesta, dal 2006 è attiva come curatrice indipendente e talvolta critica. La sua mostra più recente è la solo presentation di Eva Frapiccini intitolata “Museo Caneira | la fisica del possibile”, presso la Galleria Alberto Peola, Torino (visitabile fino al 12.11.2011). Dal 2010 è membro fondatore del collettivo curatoriale Alois, insieme a Barbara Meneghel e Guia Cortassa. Ha curato svariati progetti espositivi ed eventi con artisti emergenti a Londra, dove ha contribuito alla creazione dell’artist-run space Elevator Gallery, per il quale ha co-curato “Relocating Absence” (2008). E’ stata inoltre assistente curatrice di Raqs Media Collective e D. Isaia a “Manifesta 7” per Tabula Rasa (2008); ha collaborato con BB3 (3° Biennale di Bucarest, 2008) ed è stata coordinatrice e assistente curatoriale di Cardi Black Box (2008-2009). Suoi testi, interviste e traduzioni sono apparsi su UnDo.Net, “Arte e Critica” e “Around Photography”.



La residenza di Marianna Liosi è stata finanziata dal progetto Step Beyond Travel Grants, mentre Eleonora Farina ed Elisa Tosoni hanno partecipato al sesto Summer Seminars for Art Curators di Yerevan con il supporto della 13a edizione di Movin'up - Programma di sostegno alla mobilità degli artisti e curatori italiani nel mondo