Attraversare le contingenze allargando le prospettive

23/11/2011
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Oasi nel deserto

Una città e una nazione ancora fortemente conservatrici e che faticano a staccarsi da un impianto di stampo sovietico. Eppure a Yerevan sono nati spazi e network che contribuiscono allo sviluppo di pratiche artistiche sperimentali, programmi di residenza, scambi internazionali ed anche l'Armenian Open University.
Susanna Gyulamiryan, curatrice internazionale e direttrice di Art and Cultural Studies Laboratory, racconta la scena artistica armena dagli anni '90 in poi, il contesto culturale e i progetti che ha seguito e sviluppato.
Un'intervista a cura di Eleonora Farina, Marianna Liosi ed Elisa Tosoni, terza parte di un'inchiesta che le tre giovani curatrici hanno realizzato in occasione della loro partecipazione al 6th Summer Seminars for Art Curators.



Fluid Ground. Simposio a bordo di una nave cargo che attraversa il Mar Nero, nel contesto di “HEICO- Heritage, Identity and Communication in European Contemporary Art Practices”, 2011




"Diagnosis-Inter (diagnosis)" Forum Internazionale di Arte Contemporanea (workshop/mostra/interventi pubblici/seminari), Yerevan, 2008. A cura di Susanna Gyulamiryan




“Fragile Safety”, performance di Susu Shuling Shih (Taiwan) e Raffie Davtian (Armenia-Iran), nel contesto di “Diagnosis-Inter (diagnosis)” Forum Internazionale di Arte Contemporanea (workshop/mostra/interventi pubblici/seminari), Yerevan, 2


“Fragile Safety”, performance di Susu Shuling Shih (Taiwan) e Raffie Davtian (Armenia-Iran), Yerevan, 2008




“Women Class” di Verena Kyselka (Germania) nel contesto di “Gender Trouble. Amor Fati?”, Annuale Mostra e Simposio Internazionale, ACSL, Naregatsi Art Institute, Yerevan, 2011. A cura di Susanna Gyulamiryan




“By Identifying” di Narine Zolyan (Armenia), nel contesto di “Gender Trouble. Amor Fati?”, Annuale Mostra e Simposio Internazionale, ACSL, Naregatsi Art Institute, Yerevan, 2011. A cura di Susanna Gyulamiryan




“Don’t dismember” di Mels Gevorgyan (Armenia), nel contesto di “Gender Trouble. Amor Fati?”, Yerevan, 2011. A cura di Susanna Gyulamiryan




“Possibility of the Angel” (The Rule of Low) di Raffie Davtian (Armenia-Iran) nel contesto della Biennale di Sharjah, Plot for a Biennial, UAE, 2011. Progetto a cura di Susanna Gyulamiryan




Tavola rotonda “Imaginative Geographies”, nel contesto di Atlantis’11, 54° Biennale di Venezia, 2011




Atlantis’11, mostra parte di “HEICO - Heritage, Identity and Communication in European Contemporary Art Practices”, 54° Biennale di Venezia, 2011




Atlantis’11, 54° Biennale di Venezia, 2011




Performance “Undecidable Identity” di Christelle Fucoulanche (Francia), nel contesto di “Art Commune” - Artist-in-Residence Program di ACSL, The Club Café-Art space, Yerevan, 2011




Performance “Undecidable Identity” di Christelle Fucoulanche (Francia), nel contesto di “Art Commune” - Artist-in-Residence Program di ACSL, “The Club” Café-Art space, Yerevan, 2011




Susanna Gyulamiryan a “Gender Trouble”, Annuale Mostra e Simposio Internazionale, Galleria “Akademia”, ACSL, Yerevan, 2008. A cura di Susanna Gyulamiryan




Susanna, sei direttrice e curatrice di un’istituzione molto importante, l'Art and Cultural Studies Laboratory, che ha sede a Yerevan ed è unica in tutta l’Armenia per le sue attività. Ci puoi raccontare qualcosa della sua storia: com’è nata, per iniziativa di chi, quando e con quali obiettivi?

Susanna Gyulamiryan: Innanzitutto occorre fare una premessa: nel processo di istituzionalizzazione dell’arte contemporanea in Armenia - avvenuto all’inizio degli anni Novanta - furono coinvolti protagonisti stranieri, principalmente rappresentanti della Diaspora armena nei paesi occidentali, i quali avevano disponibilità di fondi, spazi espositivi, supporto tecnico e, in generale, erano in grado di investire.
In quel contesto di riassetto ideologico tornò in gioco la questione del 'centrismo', puntando ancora una volta l’attenzione su quelle idee tutte occidentali riguardo ‘istituzioni artistiche simili’.
Da un lato ebbe inizio una tanto ovvia quanto inevitabile universalizzazione di certe strutture, come le istituzioni per l’arte contemporanea, mentre dall’altro la scena artistica locale veniva definita 'orientalizzata'. Le istituzioni d'arte contemporanea del cosiddetto 'Est' stavano (e stanno ancora) perdendo la loro singolare definizione geografica, trasformate in una sorta di simboli generali e sociali che contribuiscono all’affermazione delle posizioni dell’Occidente, il quale – in gran contrasto con l’altro 'orientalizzato' – è molto più determinato nei confronti del proprio orientamento e molto più assertivo anche nel dettare nuove prassi di orientamento per i paesi post-sovietici, in modo da collocarli in una posizione di espropriazione.

Inoltre non c’è mai stato un budget statale per l’arte contemporanea, e anche ora è veramente esiguo se non inesistente. Si era aperta la questione se potesse essere possibile considerare le istituzioni locali statali (governative) come potenziali risorse, come fondi/fondazioni che assistono e supportano l'arte. Bisogna notare che la stragrande maggioranza dei fondi è destinata all’arte 'tradizionale', e non solo perché l’arte contemporanea è 'tabula rasa' per le istituzioni culturali statali ma soprattutto perché si situa al di fuori della 'grande narrativa', significando con questo 'valori nazionali', 'tesori culturali intoccabili' e altri concetti collegati al pensiero nazionalista.
Quindi rimanere fuori da quella retorica per l’arte contemporanea significa essere relegata ai margini della storiografia culturale dello stato-nazione e dei discorsi culturali dominanti (in questo caso la metafora della marginalità è usata con una connotazione negativa).
In realtà quello che è ovvio riguardo la politica culturale dello stato e il personale effettivamente assunto è l’assenza di esperti che abbiano conoscenze anche basilari dell’ambito artistico e dei discorsi a questo collegati, nonché la volontà di acquisire queste conoscenze. Il caos 'intellettuale' che esiste in questo campo non ha niente a che vedere con la scena artistica contemporanea. In questa situazione di sospensione tra 'nazionale' e 'occidentale' torna in gioco il centrismo, appunto con le idee occidentali riguardo ‘istituzioni artistiche simili’.
In tale contesto fu ovvia la necessità di sviluppare una posizione più autonoma e una crescita sul piano istituzionale. In particolare dal Duemila è apparso un certo numero di organizzazioni locali indipendenti, di istituzioni non governative. C’era comunque una mancanza di 'risorse vitali', di attrezzatura tecnica e di spazi e il problema non è stato ancora risolto.

Per quel che riguarda nello specifico l’Art and Cultural Studies Laboratory - ACSL (un’istituzione non governativa), che io rappresento, durante il processo di discussione precedente il lancio fu sollevata la questione di come sia possibile essere indipendenti, come legittimare e parlare della scena artistica contemporanea armena con un ruolo di rilievo, e come essere uno spazio nato per creare dibattito.
L'ACSL venne fondato nel 2007 con l’obiettivo di creare una piattaforma stabile per l’analisi critica, lo scambio di informazioni e la comunicazione interattiva che contribuiscano allo sviluppo di pratiche artistiche contemporanee alternative e sperimentali, programmi di residenza e scambi internazionali. Altro scopo dell’istituzione è l’organizzazione di workshop, seminari e programmi educativi per giovani professionisti dell’arte e studenti così come la costituzione di un archivio/database che presenti artisti armeni contemporanei nonché le attività di quelli internazionali.
Altro motivo alla base dell’istituzione è stato il ruolo secondario ricoperto dalle donne in ambito socio-culturale e politico a livello locale, oltre che nella scena artistica: le attività delle donne e le loro posizioni di leadership sono particolarmente importanti in una situazione di totale predominanza maschile.

L'ACSL rappresenta dunque una sorta di 'oasi' nel deserto di una città e di una nazione ancora fortemente conservatrici, tradizionaliste e che faticano a staccarsi da un impianto di stampo sovietico. Hai citato tra le attività promosse e gestite anche un programma di residenza. Dove ha luogo, a chi è rivolto e come avvengono le selezioni?

S.G.: L’ACSL è l’iniziatore del programma “Art Commune” International Artist-In-Residence a Yerevan e nella piccola cittadina di Garni, sempre in Armenia, dall’agosto del 2008. “Art Commune” è un membro generale del network mondiale di residenze d’artista Res Artis e può essere considerato uno dei fulcri delle attività dell'ACSL. Operando per la creazione di uno spazio artistico intellettuale, “Art Commune” offe ai residenti la possibilità di condurre una ricerca sull’Armenia e sulla sua situazione culturale, politica, sociale e ideologica.
Oltre a quanto sopra menzionato, uno degli obiettivi del programma è di veicolare la conoscenza di arte e cultura armene contemporanee.
Per questo invitiamo artisti, curatori e altri professionisti a condividere i loro punti di vista e il rispettivo bagaglio culturale con ulteriori collaborazioni e scambi di conoscenze. Non ci sono limiti di età, genere, identità, religione e incoraggiamo anche la partecipazione di artisti emergenti: accettiamo candidature da artisti contemporanei, non tradizionali, ed è importante escludere il turismo culturale che è spesso presente nella mobilità degli artisti contemporanei.
La durata delle residenze dipende dal progetto proposto dall’artista per la residenza stessa. Lavoriamo attraverso open call senza alcuna deadline.
“Art Commune” dà l’opportunità unica di sviluppare un programma educativo: molti artisti in residenza, con i loro diversi background artistici, sono pronti a lavorare con entusiasmo insieme agli studenti armeni. In genere coinvolgiamo studenti dell’Armenian Open University/ Dipartimento di Belle Arti e della scuola d'arte del centro educativo Mkhitar Sebastatsi. Lo staff di queste istituzioni è formato principalmente da artisti contemporanei armeni e altri professionisti del mondo dell’arte.

“Art Commune” è un esempio unico in tutta l’Armenia ed è un’importante possibilità di apertura e scambio sia per i residenti che per la scena locale. Come viene gestito il programma di residenza, in termini economici e organizzativi? Hai un team con il quale collabori e quali facilitazioni vengono offerte agli artisti durante la residenza? Sarebbe interessante capire anche come questa attività dell'ACSL viene riconosciuta e valorizzata a livello statale o dalla municipalità locale.

S.G.: Siamo un’organizzazione not-for-profit e non abbiamo nessun tipo di assistenza strutturale governativa, né tantomeno riceviamo fondi non-governativi internazionali, il che significa che è difficile avere lo staff necessario per prendersi cura degli artisti in residenza in modo costante. Lavoriamo quindi a regime molto limitato, una o due persone, anche se a volte riusciamo a coinvolgere studenti e volontari. I primi provengono dai dipartimenti di arte e sono fortemente impegnati nel processo di comunicazione e nel lavoro pratico con gli artisti internazionali. Ugualmente non abbiamo un supporto strutturale per coprire le produzioni artistiche anche se, di tanto in tanto, riceviamo sponsorizzazioni private e a volte richiediamo finanziamenti alle ambasciate di diversi paesi che hanno sede in Armenia. Aiutiamo gli artisti con lettere d'invito ufficiali, approvando i loro preventivi e piani di lavoro; inoltre li assistiamo nella compilazione delle domande per accedere a fondi internazionali. Offriamo inoltre un costante accesso a spazi gratuiti ove possono organizzare mostre, presentazioni pubbliche e discussioni, e ovviamente gli open studio. Supporto curatoriale, assistenza e traduzioni/interpreti sono gratuiti.
Gli spazi espositivi che possono essere utilizzati si trovano in diversi luoghi di Yerevan, dal project space del Dipartimento di Belle Arti della Open University al Museo d’Arte Moderna a diverse gallerie, così come anche in altri spazi a Yerevan e a Garni, dove la villa utilizzata come residenza può ospitare qualsiasi tipo di evento ed essere usata sia come atelier che per mostre.

Hai citato l’Armenian Open University dove tu, tra gli altri ruoli che ricopri, insegni. Che tipo di università è e qual è la differenza rispetto all’Università Statale? Questo per avere una panoramica del sistema educativo in Armenia, anche in relazione allo studio e all’approfondimento dell’arte contemporanea e dei discorsi a essa collegati.

S.G.: Il Dipartimento di Belle Arti dell’Open University (la quale ha sette diversi dipartimenti) è una piattaforma aperta per l’insegnamento, con l'opportunità di inglobare nuove discipline nel programma educativo quali ad esempio l’arte contemporanea, gli studi culturali, quelli di genere eccetera. I docenti sono per lo più professionisti attivi e coinvolti nel discorso dell’arte contemporanea. C’è un grande lacuna nel sistema educativo a causa delle politiche delle attuali strutture governative: in Armenia è lo stesso sistema educativo a essere ormai in degrado. Alcune iniziative che rompono con l’eredità sovietica del sistema educativo e coinvolgono nuove pratiche di insegnamento e programmi sembrano 'oasi' nel deserto dell’assenza di nuove discipline e programmi. I mass media locali offrono un disservizio. Nell’antica Grecia esisteva una chiara separazione tra la 'prassi' e la 'teoria'. Secondo Platone il salto dall’una all’altra era la “metànoia”, il percorso necessario per uscire dalla caverna e raggiungere la visione del mondo simile a quello di una divinità. La “metànoia” contemporanea, secondo Boris Groys, è basata sull’opposto: l’individuo contemporaneo forma immagini del mondo attraverso i mass media; è lo stesso processo che porta alla formazione della visione del mondo.
Oggi siamo testimoni della crescente visualizzazione nella società, della diffusione di varie tecnologie dell’immagine, della comprensione di modi di presentazione, di politiche governative locali: un certo tipo di strategie di presentazione mediate attraverso i mass media che producono una conoscenza mediata in cui è ovvia la mancanza di conoscenze.

Durante i Summer Seminars ci è stata presentata l’attività di Act, un collettivo di giovani artisti nato a Yerevan negli anni Novanta che, pur avendo avuto vita breve, ha lasciato un segno molto forte nella storia artistica armena. Da cosa è scaturita l’azione pubblica di Act e che effetti ha avuto questo attivismo sul piano sociale? Quanto si può affermare che nel tempo abbia influenzato altri artisti locali?

S.G.: Negli ultimi anni del comunismo gli artisti sognavano di essere liberi e indipendenti da ogni tipo di obiettivo esterno riguardante l’arte. Il collettivo di artisti chiamato Act sviluppò un’azione artistica localizzata: era composto da artisti piuttosto giovani e non mirava al coinvolgimento critico negli eventi della vita sociale. Il desiderio dei suoi membri di essere coloro che esprimevano il paradigma di una nuova epoca e di concetti topici fu piuttosto ridotto a degli statement generali di natura libertaria, ad esempio: un artista libero è un atto artistico senza le limitazioni imposta da partiti, controllo e censura, eccetera.
Act ripeteva più che altro le idee delle avanguardie storiche, il cui obiettivo era - come nota Boris Groys - “eliminare la spaccatura tra il singolo 'spazio vitale' in uno spazio museale di contemplazione limpida, non-utilitaria e lo spazio reale della pratica utilitaria oltre l''arte'. Il risultato sarebbe la creazione di un spazio unico e totale di vita, in cui la pratica quotidiana coinciderebbe con l’arte.” All’inizio degli anni Novanta, con l’emergere di Act nella scena artistica armena, divenne cruciale evadere dai ristretti spazi artistici 'sacralizzati' e appropriarsi delle strade. Per un lungo periodo l’iniziativa artistica del collettivo rimase un esempio di intervento pubblico senza precedenti in Armenia. In seguito tendenze più individualiste presero il posto di quest’unità di gruppo: le ambizioni individualistiche degli artisti, la domanda a livello artistico locale e internazionale. Queste inclinazioni sono rimaste dominanti fino a poco tempo fa.

Nel 2008 sono apparse nuove forme di comunità artistiche e un attivismo artistico articolato politicamente. Questo periodo può essere considerato come l’inizio di un grande movimento sociale e civile in Armenia, stimolato dalle elezioni presidenziali truccate. Non un movimento di portata nazionale, ma un movimento sociale e civile: una lotta tra due fazioni della società da una parte e una disputa per i valori democratici dall’altra. La maggior parte degli armeni non prese parte a questa dimostrazione di attivismo. Una spiegazione paradossale data da molti fu che, vivendo in condizioni sociali talmente drammatiche, non poterono lasciare le proprie attività per garantirsi la sopravvivenza quotidiana.
I mass media non hanno connesso l’ideologia del movimento con la coscienza sociale e civile: per loro si tratta di una lotta organizzata per soddisfare le ambizioni politiche di un singolo. Da allora alcuni gruppi di artisti armeni hanno proclamato adesione a quel movimento e impegno nell’attivismo politico, come ad esempio DVD Revolution o l’iniziativa artistica Art Laboratory. Parallelamente a questo la nostra istituzione ha organizzato molti interventi pubblici carichi di significati politici e con una posizione molto articolata.

A proposito del tuo background, invece, puoi descrivere il tuo percorso di studi e come hai iniziato a occuparsi di arte contemporanea in un contesto così ostico? Quali sono state le tue precedenti esperienze, i progetti che stai curando e quelli futuri?

S.G.: Sono una critica d’arte e curatrice attiva sia in Armenia che all’estero. Mi sono laureata in linguistica presso il Dipartimento di Slavistica dell’Università Statale di Yerevan e per molti anni ho lavorato come giornalista televisiva nel Dipartimento per le Relazioni Internazionali del comitato per le trasmissioni radiotelevisive armene. In quel periodo fui invitata a Mosca per girare dei documentari su diverse tematiche culturali e il mio primo approccio con l’arte contemporanea ebbe luogo lì: ho prodotto un documentario sul fenomeno dell’arte concettuale nella capitale russa.
Ebbi la folle idea di invitare artisti concettuali moscoviti in Armenia; idea che è poi stata abbandonata a causa della guerra in Karabakh: l’Armenia stava sopravvivendo in una condizione di blocco. Comunque una mostra dal titolo “The Arc’s issue” inaugurò nel 1994, con la partecipazione di importanti artisti concettuali moscoviti e anche della scena artistica contemporanea armena.
Ho vissuto a Mosca per circa cinque anni ed è stato un punto di svolta nella mia vita, poiché là ho deciso di prendere parte all’arte contemporanea: una decisione ispirata dalla scena artistica moscovita degli anni Novanta, così radicale e discorsiva allora e ormai così cambiata. Attualmente la Russia adotta un modello di cultura post-moderna estremamente conservatore e non-riflessivo. Numerose iniziative nel campo dell’arte contemporanea vengono immediatamente etichettate come ideologia 'ortodossa, autocratica, nazionalista', atteggiamento che è vicino all’attuale dottrina culturale statale armena.

Tornando ad oggi, invece, tra le varie attività in cui sono coinvolta c’è un corso di Studi Culturali presso l’Armenian Open University/Dipartimento di Belle Arti (International Academy of Education). In generale c’è una mancanza di professionisti che insegnano arte contemporanea; la materia qui è appena agli inizi e l’insegnamento nei dipartimenti di arte è in linea con la percezione specifica e conservativa di 'bellezza' e di quelli che sono gli 'intoccabili tesori nazionali'. Uno dei miei importanti risultati nell’insegnamento è l’inserimento nei programmi di argomenti quali gli studi di genere e le teorie femministe. Inoltre curo un progetto a cadenza annuale dal titolo “Gender Trouble”, parte delle attività di ACSL, dove altri progetti annuali sono ancora in fase di sviluppo.
Dal 2006 sono membro del consiglio di AICA Armenia (International Association of Art Critics) e i miei recenti progetti curatoriali includono: “Imaginative Geographies – Atlantis 11, HEICO” alla 54a Biennale di Venezia, “Gender Trouble” (annuale, Yerevan), “Possibility of the Angel” alla 10° Biennale dell’Arte Contemporanea (Sharjah, UAE), “Subjects-Objects of History and their stories” (PROEKT FABRIKA, Mosca), “Interdiagnosis – Forum of Contemporary Art” (Yerevan).

A Yerevan, e forse possiamo estendere il concetto all’intera Armenia, il network tra organizzazioni locali per l’arte contemporanea appare piuttosto debole, forse anche a causa delle poche istituzioni presenti. Che relazioni è riuscito a stabilire l'ACSL sul piano internazionale? Hai mai lavorato all’interno di o in collaborazione con altre istituzioni straniere? Se sì, quali progetti stai sviluppando a tal senso?

S.G.: Di recente siamo stati coinvolti in HEICO (Heritage Identities and Communications in European Art Practices), una grande collaborazione tra sette istituzioni di sei diversi paesi: Bulgaria, Georgia, Moldavia, Repubblica Slovacca, Germania e Armenia. E’ un progetto a lungo termine fondato sul già esistente Atlantis Network di istituzioni d’arte europee. Il progetto HEICO incoraggia lo scambio culturale transfrontaliero così come l’analisi della propria identità in aggiunta alle identità dei paesi partner e del loro patrimonio politico e culturale.
Terre ed esperienze di confine e di guerra, patrimoni culturali differenti accomunati dallo stesso sistema politico, i concetti di appartenenza, alterità e identità, le mappe mentali: questi i termini chiave e gli elementi comuni alle regioni delle istituzioni partner, l’Europa Orientale e Meridionale. Tali esperienze hanno un impatto sulla pratica dell’arte contemporanea, ambito in cui vengono analizzate o continuate, creando qualcosa di nuovo e condiviso.
Il progetto promuove scambi tra artisti attraverso i programmi di residenza a Plovdiv (Bulgaria), Yerevan (Armenia), Tbilisi (Georgia) e Bratislava (Repubblica Slovacca). I risultati dei programmi vengono rappresentati in mostre nei diversi paesi. Inoltre i partner realizzano cinque mostre strettamente correlate l’una con l’altra. Il progetto include: una presentazione e un intervento pubblico nel periodo che precede la Biennale di Venezia (realizzati dal 1 al 5 giugno scorsi, ndr) e un simposio dal titolo “Fluid ground” durante un viaggio in nave tra Varna e Batumi sul Mar Nero (tenutosi dal 20 al 26 luglio scorsi, ndr). Inoltre una serie di seminari dal titolo “Dimensioni dell’identità culturale e metodi post-sovietici di modernizzazione dell’Armenia”, che saranno organizzati dall'ACSL e avranno luogo a Yerevan nel 2012. Infine a Potsdam si terrà una conferenza per integrare il workshop iniziale e quello conclusivo.

L’obiettivo delle conferenze, delle mostre e dei laboratori è di contribuire allo scambio tra curatori e artisti. Durante l’evento in ciascun paese partner, i partner stranieri presenteranno e discuteranno la loro pratica curatoriale. Inoltre, i partner che fanno parte del network e altri curatori verranno invitati come ospiti o relatori.
Le attività del progetto saranno documentate in un libro per garantire l’accesso a un pubblico internazionale. Il network verrà presentato in una piattaforma web interattiva e partecipativa. Il progetto è stato finanziato dal Programma di Cultura ed Educazione della Commissione Europea. Non c’è mai stata una rete di collaborazione così ampia tra istituzioni d’arte locali finora, per via dell’assenza di qualsiasi supporto finanziario o tecnico per questo tipo di iniziative. Nonostante ogni tentativo di connettersi e collaborare gli uni con gli altri sia incoraggiato dalle istituzioni locali, questo tipo di collaborazioni si concretizza perlopiù sotto forma di piccole iniziative isolate e di attività basate sull’entusiasmo di singoli individui.


Links utili:

Due video con interviste ai due curatori che hanno partecipato all'iniziativa Atlantis '11 organizzata presso il Collegio Armeno: una mostra e una serie di incontri pubblici sul tema "Potere e arte contemporanea". Una piattaforma di discussione dei progetti originati dalla collaborazione tra 7 città europee - da Berlino a Yerevan - e dal lavoro sviluppato in 7 relative istituzioni che si occupano d'arte contemporanea.

Art and Cultural Studies Laboratory
Atlantis 11


Nelle due puntate precedenti, l'intervista all'artista e curatore Harutyun Alpetyan, fondatore dello spazio indipendente AJZ space e a Eva Khachatryan, curatrice indipendente, membro di AICA Armenia (International Association of Art Critics).


Susanna Gyulamiryan (nata a Yerevan, Armenia) è una critica d'arte e curatrice che lavora sia in Armenia che all'estero. Il suo attuale campo di interesse copre la tematica epistemologico-filosofica dell'altro, l'esame della biopolitica e le tematiche femministe e di genere nelle pratiche artistiche contemporanee. Alcuni dei suoi articoli critici affrontano i problemi emergenti delle relazioni nelle attuali pratiche artistiche connesse all'affermazione delle relazioni di mercato. E' co-fondatrice e direttrice dell'Art and Cultural Studies Laboratory (ACSL) e fondatrice del programma “Art Commune” International Artist-in-Residence in Armenia. Tiene corsi di Cultural Studies presso l'Armenian Open University/Dipartimento di Belle Arti (International Academy of Education). Dal 2006 è membro di AICA Armenia (International Association of Art Critics). Recenti progetti curatoriali includono: “Imaginative Geographies – Atlantis 11, HEICO” (54a Biennale di Venezia), “Gender Trouble” (annuale, Yerevan), “Possibility of the Angel” alla 10th Biennale of Contemporary Art (Sharjah, UAE), “Subjects-Objects of History and their stories” (PROEKT FABRIKA, Mosca), “Interdiagnosis – Forum of Contemporary Art” (Yerevan).

Eleonora Farina è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in storia dell'arte contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte sul Meno (al tempo diretta dal Prof. Daniel Birnbaum). Dopo un anno di lavoro a Bucarest presso il dipartimento curatoriale del Museo Nazionale d'Arte Contemporanea, al momento vive a Berlino dove ha iniziato un dottorato di ricerca presso la "Freie Universität" (Prof. Gregor Stemmrich) sulla Video Arte in Romania ai tempi della dittatura di Ceauşescu. E' su questa tematica che ha inoltre realizzato diversi progetti curatoriali, ha partecipato a lecture e ha scritto articoli specialistici. Collabora regolarmente con UnDo.Net e con la rivista "Arte e Critica".

Marianna Liosi è laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive presso lo IUAV di Venezia. Dopo diverse esperienze presso istituzioni internazionali, tra cui il Centre Pompidou, Gasworks Londra e la Biennale di Venezia, è stata nel 2008 assistente alla produzione per Manifesta7 e dal 2009 lavora come curatrice indipendente in Italia e all’estero. Nell’agosto 2011 ha partecipato a una residenza presso Labor, spazio non profit a Budapest, dove ha svolto una ricerca a lungo termine sul tema del lavoro e su come la figura del lavoratore viene affrontata dagli artisti. Predilige la pratica collaborative ed è interessata a indagare il ruolo del curatore come mediatore tra l’arte e la società e come l’arte può veicolare una diversa lettura di determinate dinamiche sociali. Collabora con “Drome magazine”. Tra le ultime mostre ed eventi, “Mandragora” (co-curato con Alessandra Saviotti), Museo Internazionale delle Ceramiche – Faenza (2011); “The Workplace in the Financial District, This Is Not A Gateway Festival”, Londra (2010).

Elisa Tosoni vive a Stoccolma, dove è in forza allo Iaspis e lavora a una ricerca sulla temporalità nelle pratiche curatoriali, un progetto sotto la supervisione di Maria Lind, parte del master internazionale in Curating Art presso la Stockholm University. Laureatasi in scultura presso la UEL di Londra nel 2007 con una tesi su Manifesta, dal 2006 è attiva come curatrice indipendente e talvolta critica. La sua mostra più recente è la solo presentation di Eva Frapiccini intitolata “Museo Caneira | la fisica del possibile”, presso la Galleria Alberto Peola, Torino (visitabile fino al 12.11.2011). Dal 2010 è membro fondatore del collettivo curatoriale Alois, insieme a Barbara Meneghel e Guia Cortassa. Ha curato svariati progetti espositivi ed eventi con artisti emergenti a Londra, dove ha contribuito alla creazione dell’artist-run space Elevator Gallery, per il quale ha co-curato “Relocating Absence” (2008). E’ stata inoltre assistente curatrice di Raqs Media Collective e D. Isaia a “Manifesta 7” per Tabula Rasa (2008); ha collaborato con BB3 (3° Biennale di Bucarest, 2008) ed è stata coordinatrice e assistente curatoriale di Cardi Black Box (2008-2009). Suoi testi, interviste e traduzioni sono apparsi su UnDo.Net, “Arte e Critica” e “Around Photography”.



La residenza di Marianna Liosi è stata finanziata dal progetto Step Beyond Travel Grants, mentre Eleonora Farina ed Elisa Tosoni hanno partecipato al sesto Summer Seminars for Art Curators di Yerevan con il supporto della 13a edizione di Movin'up - Programma di sostegno alla mobilità degli artisti e curatori italiani nel mondo