Cecilia Guida: Giunta alla sua sesta edizione, Videoart Yearbook ha campionato e selezionato più di 300 opere di videoarte presenti nel territorio italiano e non solo. Quali considerazioni si possono trarre dopo sei anni di ricognizione?
Silvia Grandi: Le considerazioni da trarre sarebbero tante, non saprei da dove cominciare. Forse potrebbe essere interessante parlare delle potenzialità dell’archivio di VYB che negli anni abbiamo implementato e che attualmente ha occasioni di visibilità ridotte, soltanto in eventi dedicati o su richiesta degli studenti del nostro Dipartimento Arti visive, presso il nostro Laboratorio multimediale, mentre ciò che ci piacerebbe fare sarebbe di renderlo pubblico. A questo proposito si è avviata una partnership culturale con l’Archivio Storico della Video arte di Bologna dell’Associazione Boart, che da anni sta catalogando migliaia di video e di materiale filmico d’artista dalle Avanguardie primo-novecentesche ad oggi, al quale abbiamo ceduto in toto il materiale di Videoart Yearbook. Prossimamente, quindi, i video saranno disponibili per la consultazione a un pubblico più vasto dei soli studenti del nostro Dipartimento di Arti visive.
Un'altra considerazione potrebbe essere invece quella relativa alla nostra costante volontà di far conoscere e far circolare la videoarte anche in contesti diversi da quelli delle tradizionali gallerie, portandola ad una fruizione allargata anche ad un pubblico di non addetti ai lavori, in spazi pubblici, biblioteche, fiere, convegni, eccetera. Il video, oltretutto, è comodo da spedire, inviare, occupa poco spazio, non necessita di grossi contenitori e imballi, quindi facilmente veicolabile in luoghi inaccessibili ad altre opere d’arte e, inoltre, può essere visto su un banale portatile. Per questo penso che possa essere definito il mezzo più democratico e popolare dell’arte degli ultimi decenni.
C.G.: Recentemente, in occasione dell'apertura di 'B.go Loreto SP/CRAC othervision', nuovo spazio espositivo consociato al CRAC di Cremona, hai presentato una selezione di 40 video dalla rassegna annuale di Videoart Yearbook. Esiste una relazione tra il progetto e il contesto espositivo e territoriale nel quale viene ospitato di volta in volta. Se sì, in che modo si sviluppa?
S.G.: Dopo la presentazione estiva dell’edizione annuale presso la nostra sede del Dipartimento Arti visive, la Rassegna ogni anno comincia un “tour” vero e proprio, e viene così ospitata in altri luoghi, come Fondazioni, Festival, gallerie o spazi pubblici. Di solito non cambiamo nulla rispetto alla selezione che presentiamo annualmente e la proponiamo integralmente, ovvero con gli stessi artisti e gli stessi video. Così è successo ad esempio con lo
Spina Festival di Spina (Fe), prima tappa del tour 2011 nel settembre scorso, e con il Borgo Loreto SP/CRAC othervision,
terza tappa appena conclusa. Però talvolta siamo invitati a proporre una selezione di minor durata (al massimo 2 ore), introdotta da una presentazione-conferenza di qualcuno di noi curatori, pertanto operiamo di volta in volta delle scelte tematiche, che ci consentono di dare visibilità a tutti gli artisti partecipanti. Un esempio in tal senso è la selezione per
Videolandia all’ALT-Arte Lavoro Territorio di Alzano Lombardo, in cui, assieme alla Fondazione Sandretto Re Reabaudengo e al DOCVA Care/of Via Farini di Milano, abbiamo selezionato un’ora di video ciascuno, che sono stati proiettati a rotazione secondo un calendario preciso. Un altro esempio è invece la selezione proposta dal mio collega Paolo Granata nel prestigioso spazio espositivo dell’archivio video VTape, presso il centro multimediale 401 Richmond Street West di Toronto, in Canada. Granata ha tenuto una conferenza di presentazione intitolata
Video-type: Archetypes in Contemporary Italian Video Art, accompagnata da una selezione di venti video, scelti per dare risalto ad alcuni archetipi ricorrenti nella produzione videografica italiana.
C.G.: Attraverso un programma di promozione e di valorizzazione delle opere di videoarte, l'intento del progetto è sia quello di attivare un focus su una vasta produzione legata al medium del video, sia quello di individuare e di far emergere quella produzione con un valore artistico che si distingue, all'interno del macro contenitore 'video', da tutti i prodotti commerciali e 'user-generated content' (videoclip musicali, documentazioni, video amatoriali, ecc.). Quali sono i criteri con i quali la commissione sceglie le opere da inserire nell'annuario?
S.G.: Non abbiamo criteri stabiliti rigidamente, a parte quelli qualitativi, ma teniamo conto delle varie tipologie del linguaggio espressivo adottato dai video artisti negli ultimi anni. In pratica ci interessa seguire alcuni filoni tematici della ricerca, che si possono sintetizzare in neoconcettualismo, sonorità, produzione filmico-cinematografica, animazione digitale, aspetti performativi e corporei. A seconda degli anni, inoltre, nel call for artist , che inviamo a tutti gli artisti che hanno già partecipato alle edizioni precedenti della rassegna e che pubblichiamo sul sito o pubblicizziamo anche attraverso vari social network, indichiamo una durata massima richiesta ai video che raccogliamo. Questo perché mediamente selezioniamo una quarantina di video per un tempo complessivo di circa due ore e mezza, poi proiettati in sequenza su uno schermo gigante, ad un pubblico seduto come in una tradizionale sala cinematografica. Ma prima di arrivare a questa fase finale, raccogliamo nel corso di quattro-cinque mesi all’incirca dai 200 ai 250 video che vengono poi visualizzati integralmente dal comitato curatoriale in varie giornate, per poi fare una prima scelta e in seguito decidere, talvolta non senza discussioni animate, i nomi definitivi da inserire in Rassegna. Questa è la parte del lavoro più interessante, che a me piace particolarmente, perché ci permette di avere un quadro molto ampio delle produzioni video dell’ultimo anno, e spesso la scelta definitiva è abbastanza difficile: siamo spesso costretti a eliminare lavori molto interessanti ma più adatti a una fruizione installativa.
C.G.: Secondo te, le nuove tecnologie elettroniche e le pratiche di raccolta e di elaborazione digitale delle immagini (mash-up, remix, video editing, ecc.) stanno influenzando le modalità di sperimentazione linguistica nella videoarte? Se sì, in che modo?
S.G.: E’ indubbio che i nuovi software elettronici stiano influenzando la sperimentazione, non solo video ma artistica in generale. Non è più possibile prescindere dalle nuove possibilità digitali, anche se in parallelo è presente anche una ricerca video che va a recuperare la bassa definizione o effetti dal sapore antico, come lo stop motion, ad esempio. Il fatto interessante è che anche in questi due casi si ripropongono a fini “artistico-poetici” effetti legati a tecnologie obsolete, però usando programmi e metodologie di produzione attuali, che simulano soltanto la prassi di lavoro del passato. Credo che la scelta estetica di ripristinare lo stile o l’aspetto di tecniche datate derivi dalla volontà da parte degli artisti di differenziare le loro opere dalle mirabolanti soluzioni delle produzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, piene di effetti speciali e con grandi budget alle spalle. Questa scelta non prescinde comunque dall’adozione di passaggi in post produzione, come il montaggio serrato o il remix delle immagini, come pure l’editing video o la “correzione” del girato in fase di montaggio, e tutto questo proprio grazie all’adozione dei più comodi e ormai diffusi software. La cosiddetta “normalizzazione” delle tecnologie, del resto, ha fatto sì che anche la qualità dei video si sia molto alzata, non tanto in termini di “bellezza” o ricercatezza dei filmati, ma di contenuti, significati sottesi, con un crescente aumento, a mio avviso, della creatività del linguaggio: spesso soluzioni tecnicamente povere, ma sostenute da un’idea insolita, sortiscono migliori risultati di una grande produzione video. Non dobbiamo inoltre dimenticare che in tempi recenti ci si trova di fronte a “simulazioni” dello stile amatoriale, povero e apparentemente fatto in casa, da parte di molti artisti, ragione per cui talvolta risulta molto difficile distinguere la vera amatorialità, quella di Youtube per intenderci, da quella mascherata, creata ad hoc da qualche creativo di professione.
C.G.: Considerando la crescita di archivi dedicati alle opere di videoarte (lo stesso Art Hub funziona come un archivio in progress, un vero e proprio network di relazioni, dove insieme ai 600 video presenti sono raccolte le schede personali, una sorta di cv digitali, di più di 300 artisti), quali rapporti Videoart Yearbook stabilisce con essi? La vostra iniziativa cosa offre di particolare rispetto agli altri archivi, anche non specificamente legati alla videoarte?
S.G.: Videoart Yearbook pesca anche da questi archivi, soprattutto per conoscere nomi nuovi, per essere aggiornati anche sulle proposte di giovani che mettono “in vetrina” i loro video. Il lavoro dei curatori di VYB parte proprio da questa ricerca di preselezione: molto nomi li scopriamo sui siti o sugli archivi video come Art Hub. Credo che il loro ruolo sia molto importante proprio per raggruppare alcune produzioni che altrimenti sarebbero poco conoscibili, oppure frammentate e disperse nella rete su siti come Vimeo. Il ruolo di
Art Hub - e non è per farvi complimenti - è molto importante, soprattutto perché propone video in genere di ottima qualità, garantendo un servizio d’informazione scevro da intenti commerciali e pubblicitari, come invece fanno altri siti o portali per la promozione degli artisti. Noi non offriamo un servizio agli artisti, ma peschiamo da archivi come il vostro o quello del DOCVA di Milano per proporre la nostra scelta, la selezione dettata dal nostro punto di vista. Per questo credo che la politica che abbiamo adottato negli ultimi tre anni sia stata essenziale alla vitalità di VYB: ci siamo aperti alle collaborazioni con altre strutture, istituzioni, fondazioni e associazioni no profit, avviando nel contempo anche una rete di collaborazioni in Europa e in Nord America.
C.G.: Sono in programma sviluppi futuri del progetto in termini di archiviazione e di eventi?
S.G.: Per l’archiviazione demandiamo il compito all’Archivio Storico della Video Arte di Bologna a cui abbiamo ceduto il nostro materiale dal 2006 al 2011, che a breve aprirà uno spazio dedicato per la consultazione del pubblico, e in futuro un sistema di archiviazione online consultabile entrando nel portale del CIB, Centro Interbibliotecario Bolognese, a cui sono collegate le biblioteche cittadine e della provincia di Bologna. Per quanto riguarda, invece, i prossimi eventi, stiamo perfezionando un accordo di scambio molto importante con il Centro di Archiviazione VTape di Toronto, che raccoglie migliaia di records di video storici e attuali di artisti americani e canadesi. Nei loro spazi hanno ospitato una trentina di video di Videoart Yearbook dal 2006 al 2011, ma l’anno prossimo ospiteremo noi a Bologna una loro selezione. Ciò ci consentirà di importare video artisti poco conosciuti in Italia, ma anche di esportare i nostri artisti italiani in Canada e farli conoscere a una platea più ampia e internazionale. Stiamo cercando inoltre di avviare lo stesso tipo di scambio anche con il NIMK di Amsterdam, ma siamo ancora in trattative.
Cultural Partner di Videoart Yearbook è Art Hub
Media partner è UnDo.Net
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Silvia Grandi vive a Bologna ed è ricercatore confermato presso il Dipartimento delle Arti visive dell'Università di Bologna, dove attualmente è Docente del corso in Fenomenologia dell’Arte Contemporanea. Si occupa di New Media ed è membro del Comitato curatoriale della Rassegna annuale Videoart Yearbook; per l'Università di Bologna cura l’evento annuale DRAFT. Performing Videoart and Music (Palazzo del Podestà, Bologna, 2010), oltre a partecipare alla curatela di altri eventi quali Let’s Play. Venticinque videoartisti italiani (Cittadella di Padova, ottobre 2010), Incontro con Marina Abramovic. Lady Performance (Bologna, gennaio 2011).
Cecilia Guida è Dottore in Comunicazione e Nuove Tecnologie all’Università IULM di Milano. Si occupa delle relazioni tra pratiche artistiche, nuove tecnologie e spazio pubblico. Ha curato progetti espositivi in spazi pubblici e non in Italia e all’estero, e nel 2010 è stata ricercatrice presso l'Institute of Network Cultures di Amsterdam. E' membro della commissione di Art Hub.