Ha preso il via il flusso di immagini, testi e video del progetto
UnDocumenta(13).
Molti giovani artisti e curatori prendono parte ad una serie di workshop all'interno della rassegna e saranno completamente immersi nel corso degli eventi dall'inizio alla fine di dOCUMENTA (13).
Per tutta la sua durata ci offriranno una panoramica trasversale e allo stesso tempo intima di situazioni e personaggi partecipando attivamente al progetto.
Le prime immagini dalla preview di Kassel le ha scattate
Linda Jasmin Mayer il 6 giugno 2012
Nel frattempo
Claudia Antelli
e
Chiara Tognacci
hanno iniziato il loro diario di viaggio.
Giulia Mengozzi racconta invece la situazione nel testo che segue:
KASSEL TODAY, REVOLUTION TOMORROW
Non è un diario personale, non è un report, non è un articolo, non è un servizio informativo
1. | 6.6.12 |
Immagino sia il caso di parlare di coincidenze. O forse no. Comincio a sospettare che le declinazioni sul tema dell'ospitalità siano uno dei punti nodali di dOCUMENTA(13). Specialmente laddove con il verbo ospitare s'intende l'atto di condividere i propri spazi, il proprio tempo e, nondimeno, con il sostantivo ospitalità si vuole alludere alla situazione che si crea nel momento in cui ci si trova a condividere un sofà, la metratura di una stanza o, putacaso, il rito del tè. Comincio a sospettare che sia proprio questo l'intento finale dell'entusiasta Carolyn Christov-Bakargiev. Creare una situazione, non un'esposizione.
Temo che il rischio che tutto si riduca ad un mero atto simulativo, venendo spogliato dall'urgenza (che tutto sommato contraddistingue la vita), caricato di una progettualità più o meno puntuale. Temo che questo rischio sia costantemente sul punto di rovesciare la percezione delle cose. Che persino il più incoraggiante degli esperimenti possa rivelarsi nient'altro che la pantomima di se stesso. In tal senso, dOCUMENTA(13) ha cento giorni per entrare nella mia testa e polverizzare qualsiasi dubbio possa annidarvisi.
Il progetto nel quale sono coinvolta è, sostanzialmente, l'elevarsi al quadrato di quanto espresso sin'ora. Ospitalità, condivisione, crearsi spontaneo di situazioni conviviali all'insegna della resistenza alle dinamiche insite alla società capitalista, che tutto ingloba, tutto consuma e tutto induce a consumare. Dietro al moniker AND AND AND ci sono le menti di... no, perchè dovrei dirvelo? Questo progetto è sulla bocca di tutti qui a Kassel, sicchè probabilmente sapete già a quali artisti stavo per fare riferimento. E anche se così non fosse, perchè esplicitarne l'identità (che brutta parola), dal momento in cui "AND …AND …AND is not a person or a thing, irreducible to an origin, in the middle of actions, occurrences, figures, gestures. AND in language is first and foremost a conjunction: together with, along with, with, as well as, in addition to, also; besides, furthermore; informally, it is a plus"?
AND AND AND, al momento, sono innumerevoli teste pensanti che convivono in uno spazio, sono innumerevoli mani che costruiscono tavoli, piattaforme, che affettano verdure, che mischiano saporiti risotti in immensi pentoloni, che condividono cene, pranzi. AND AND AND, al momento, sono tavolate di teste pensanti che raramente già si conoscevano, teste che pensano in lingue diverse, teste cariche dei trascorsi più svariati.
Teste direttamente connesse alle innumerevoli mani di cui sopra: le mani si stringono in un'infinita teoria di nice to meet you deformati dai diversi accenti. Poi magari le stesse mani lavano le stoviglie, sollevano tazze di caffè, stringono una sigaretta.
Le conversazioni fluiscono per mezzo di teste e mani - giacchè gli italiani sono parecchi e, è risaputo, gli italiani non vogliono certo liberarsi del vizio di parlare con le mani. Le conversazioni fluiscono e la situazione è lì, vissuta e in fieri. Si muove. AND AND AND si muove.
Non chiedetemi dove voglia andare a finire, per cortesia. Venite a dare un'occhiata, lasciatevi ospitare così come la situazione medesima sta ospitando me - per meglio dire, noi.
E' con questa consapevolezza che, assistendo alla proiezione del film di Mario Garcia Torres, éTea, sento urgentemente il bisogno di sussurrare, tra me e me, "déjà-vu".
Non ho la benchè minima intenzione di dilungarmi rispetto alla sinossi: vi basti sapere che l'artista, partendo dal Messico, si reca a Kabul, ospite in un edificio dal passato carismatico. L'edificio medesimo, infatti, ospitò il One Hotel, aperto da un Alighiero Boetti temporaneamente in fuga dall'Italia. Lì, Boetti riceveva i suoi ospiti. E' quel che fa anche Mario Garcia Torres. Riceve ospiti, è il primo tra gli ospiti.
O forse l'ultimo, dipende solo in quale secolo vogliamo collocare l'inizio della storia. Ma quale storia? Della situazione, già. La situazione nella quale, in quello che fu l'hotel di Boetti, Mario Garcia Torres mette a bollire l'acqua per il tè.
Giulia Mengozzi
ps. E' quasi superfluo aggiungere che, tra le diverse situazioni nelle quali si articola il progetto AND AND AND, c'è anche un tea garden. Lì, ai piedi del Fridericianum, stanno coltivando il necessario a produrre innumerevoli tazze di tè. Da consumarsi in loco, rigorosamente non alle cinque.
pps. Comunque se proprio volete chiarirvi un attimo le idee rispetto ad AND AND AND, aprite google e digitate Rene Gabri ed Ayreen Anastas. Poi ne riparliamo, eh.
Per maggiori informazioni su dOCUMENTA 13:
Lettera di risposta, con molte domande, alla curatrice Carolyn Christov-Bakargiev; per cercare di chiarire cosa succederà a Kassel...
E qui il
comunicato stampa dell'evento