Attraversare le contingenze allargando le prospettive

28/10/2012
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Oggetti sconfortevoli


Un'analisi del lavoro e un dialogo con l'artista messicana onnipresente alle mostre internazionali degli ultimi anni. Mariana Castillo Deball inventa un ingegnoso sistema nel quale scienza e arte si trovano imbrigliate. Di Barbara Fässler.



Mariana Castillo Deball, There are no spaces in words as people speak them, 2012 e Mathematical distortions, 2012. Foto Stefan Altenburger


Foto Stefan Altenburger


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Foto Barbara Fässler


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Mariana Castillo Deball, Uncomfortable Objects, 2012 Foto Stefan Altenburger


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Foto Barbara Fässler


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Foto Stefan Altenburger


Mariana Castillo Deball


Confronti scomodi e proiezioni memorabili

Chi decide in questi giorni di visitare la mostra Uncomfortable Objects al Museo di Arte Costruttiva di Zurigo, rimarrà stupito.
Al posto della solita pittura monocroma purista o delle abituali composizioni geometriche, si contorcono delle forme organiche in maniera incontrollabile e caotica attorno ad una griglia di metallo tridimensionale che attraversa lo spazio espositivo.
Mariana Castillo Deball opera da anni interfacciando scienza e arte, alla ricerca di nuove possibilità di conoscenza nell'interstizio che sta tra finzione e fatti reali, tra mito e storia.
L’artista classe 1975, nata in Messico, ha vinto nel 2012 lo Zürich Art Prize del Haus für Konstruktive Kunst, che le ha procurato questa mostra personale con un budget di 80.000 franchi, catalogo incluso.
Figlia di una cantante lirica e di uno stampatore, ha studiato filosofia e arte a Mexico City e a Maastricht e oggi vive tra Amsterdam e Berlino.
Nonostante sia relativamente giovane, Castillo Deball ha alle spalle una carriera impressionante. Non sembra esistere Biennale oppure mostra internazionale alla quale non abbia partecipato: Shanghai 2007, Atene 2009, Saõ Paolo 2010 e Venezia 2011, ma anche Manifesta 7 (2008) e dOCUMENTA (13) a Kassel appena conclusa.

L’energica artista sudamericana crea, tramite l'innesto di metodi scientifici e artistici, una nuova realtà estremamente fertile, che sembra ubbidire a leggi proprie e svilupparsi nelle direzioni più inaspettate.
L’approccio classico delle scienze - raccogliere, scegliere e ordinare secondo categorie - porta Mariana a sviluppare installazioni apparentemente illimitate che si diramano nello spazio. Per la sua ricerca transdisciplinare, che chiama “approccio diagonale”, s’incontra non di rado con persone che lavorano nel mondo della scienza le quali talvolta possono stimolare indirizzi e spunti inattesi.
Come un’artista del circo, Castillo Deball fa il giocoliere con ingredienti estranei tra loro e riesce a collegare, in maniera sorprendentemente “rilassata”, elementi apparentemente contraddittori esprimendosi nelle forme artistiche più disparate: dall’installazione alla scultura, dal disegno alla pittura su muro.
In maniera quasi ossessiva, Mariana perlustra biblioteche, musei e archivi di tutto il mondo alla ricerca di nuovi materiali. Perché non esiste mai soltanto una via verso la conoscenza, ma sempre innumerevoli strade.

Durante la nostra conversazione l’artista precisa: “Lavoro con esperti di diverse discipline e prendo sempre spunto da una domanda specifica. Non posso quindi dire che sono interessata al rapporto tra arte e scienza in sé, ma parto da domande precise e per trovare delle risposte utilizzo varie risorse o supporti scientifici. La scelta di collaborare con archeologi o altri scienziati è quindi strettamente legata alla problematica iniziale. I miei progetti durano sempre tantissimo tempo, a volte anche cinque anni. Avanzo passo per passo e il progetto cresce e cresce.”
Con il suo modus operandi pluridisciplinare, l’artista messicana indaga come poesia e ricerca, oppure finzione e produzione di conoscenza, siano collegati.
Un esempio è il lavoro “The Where I am is Vanishing” esposto all’ultima Biennale di Venezia. Si tratta di una banda di carta lunga dodici metri con disegni al pennarello che s’ispirano ai soggetti del “Codice Borgia”, un calendario azteco che si trova oggi nella Biblioteca Vaticana e che prende il nome dal suo primo proprietario, il cardinale Borgia.

Mariana Castillo Deball: “Negli ultimi anni mi sono concentrata su oggetti che chiamerei scomodi e ho cercato di osservarli da vari punti di vista, come ad esempio da una prospettiva storica piuttosto che archeologica. Inseguo allora l’oggetto e cerco di capire in che modo è stato utilizzato durante i secoli. Si tratta di esaminare i significati e le funzioni di questi oggetti per vedere in quali spazi siano esistiti.
Nel caso del “Codice Borgia” ho cercato di ripercorrere la storia di come il libro è stato scritto, di quando è stato quasi bruciato dagli spagnoli che poi l’hanno portato in Italia dove nessuno capiva di che cosa si trattasse. Mi interessa come un oggetto sia stato interpretato, capito o no, durante gli anni e rispetto al contesto nel quale si è trovato. In questo libro i fatti reali sono fortemente mescolati con la fantasia. È il libro che mi racconta la sua storia. Nella serie degli Uncomfortable Objects provo a parlare dal punto di vista dell’oggetto. Finzione e realtà sono molto vicine”.

Anche nella versione attuale gli Uncomfortable Objects al pianoterra della Haus Konstruktiv a Zurigo sono cose difficilmente collocabili. All'interno di una griglia quadrata di metallo che attraversa lo spazio, si arrampica una scultura che contrasta formalmente la struttura angolare e fredda che la sostiene.
Come se dovessimo sempre ricordarci della contraddizione tra natura e cultura, tra intuizione e razionalità. La costruzione selvatica che si contorce nello spazio è costituita da forme organiche di Papier-Maché arricchite di immagini digitali.
Alla domanda su che cosa ci sia di scomodo nel suo lavoro Mariana Castillo Deball risponde: “La serie Uncomfortable Objects è iniziata tre anni fa con una storia di André Breton e Roger Caillois, i due scrittori e pensatori surrealisti, che hanno scoperto i favi saltanti in Messico.
Queste piante saltellano di propria iniziativa e questo fatto ha scatenato un violento dibattito tra i due amici circa il contrasto tra magia e scienza. Così è nata l’idea di cercare altri esempi che non si lasciano ridurre in nessuna categoria. Oggetti ai quali è possibile guardare da diversi punti di vista e che lasciano aperte le questioni.
Esistono molti fenomeni scientifici che mutano la propria apparenza e per i quali si usano diverse definizioni a seconda dell'approccio con cui li si avvicina”

Un punto di vista cangiante ci porta al problema dell’ambivalenza percettiva e interpretativa. Con le sue volute di spirale la scultura rampicante ricorda la forma del DNA, anche se chiaramente potrebbe solo essere una struttura genetica completamente impazzita. Forse l’artista riflette sulle origini della nostra cultura? Guardando meglio si trovano altri indizi in questa direzione, come ad esempio i tre colori primari - rosso, giallo e blu - con i quali è costruita tutta l’installazione e da cui si possono ottenere tutti gli altri colori.
Un altro indizio sono le immagini integrate negli elementi in Papier-Maché che sono riferite alla mineralogia, all’archeologia e alla storia.

Mariana: “È già successo altre volte che delle persone abbiano pensato al DNA vedendo questo lavoro e penso che, in effetti, vi si possa trovare una qualche similitudine. In realtà ho ottenuto queste strutture partendo da una collezione di modelli matematici e da alcune piante che esistono soltanto nelle zone tropicali, gli epifiti, dei quali fanno parte ad esempio le orchidee e l’ananas. Questi vegetali si chiamano anche piante aeree perché si arrampicano su altri alberi senza però essere parassiti o piante simbiotiche.
Si fanno ospitare dagli alberi ma si nutrono di aria o di acqua e non succhiano sostanze nutritive dall’ospite. Mi interessa vedere come questi diversi vegetali possano avere un’esistenza autonoma e convivere allo stesso tempo.
In questa installazione ho giocato con elementi molto semplici come i colori primari o la griglia quadrata e ho cercato progressivamente di renderli più complessi e di caricare lo spazio con elementi via via più raffinati. Ai singoli colori sono stati abbinati dei temi specifici. Nella zona gialla archeologia ed etnologia, la parte rossa tratta di epifiti, modelli matematici ed elementi architettonici del Brasile, mentre nel reparto blu si trovano rappresentazioni di minerali, pietre e creature ibride di fantasia.

Salendo al primo piano si ritrovano una parte degli elementi che nell'installazione al pianterreno erano appena accennati: stavolta districati dagli intrecci del serpente in Papier-Maché, sono esposti in maniera ordinata, come in un museo di scienze naturali. Sembra che l’artista metta in scena un “Museo nel Museo” tematizzando l’esporre in sé.
La funzione del museo appare in tutta la sua ambivalenza e contraddittorietà: da un lato gli elementi esposti sono valorizzati e ottengono una rinnovata visibilità, dall’altro sono mummificati perché sono stati estratti dal loro contesto abituale. Ogni museo rispecchia, tramite la scelta delle opere e attraverso il display espositivo, una propria interpretazione di un estratto della realtà e con ciò il punto di vista dei curatori. Il museo è quindi tutt’altro che una scatola passiva piena di contenuti neutrali, ma piuttosto un produttore attivo di significati sociali e culturali.

In questo “Museo nel Museo” dell'artista messicana troviamo ad esempio dei modelli matematici che provengono dalla collezione dell’Università di Göttingen, questa ha costruito il suo patrimonio a partire dal famoso matematico di inizio Novecento Felix Klein. I modelli storici rappresentano lo sforzo, le possibilità e le difficoltà di tradurre visualmente concetti astratti e idee in tre dimensioni: un interesse primordiale dell’artista sudamericana.
Castillo-Deball: “Felix Klein era un pioniere della matematica e della geometria non-euclidea e non aveva costruito questi modelli per la ricerca, bensì come strumenti didattici per l’insegnamento. La collezione ha preso il via con modelli che si riferiscono alla geometria euclidea, come ad esempio i coni. Solo dopo i primi tentativi tradizionali Klein iniziò a sviluppare modelli per altri tipi di superfici.
Il matematico tedesco ha inventato ad esempio la bottiglia di Klein, una sorta di banda di Moebius in quattro dimensioni per la quale, essendo impossibile rappresentarla solo in tre dimensioni, ha creato un’approssimazione. Ciò che mi pare stimolante in questi modelli è che non rappresentano direttamente le equazioni in un rapporto uno a uno, ma si avvicinano all’idea. I contenuti della matematica non si lasciano veramente rappresentare in nessuna dimensione; al massimo si possono approssimare aspetti ipotetici.”

Gli impressionanti modelli della collezione di Göttingen hanno ispirato Mariana nella creazione di una serie di piccole sculture dal titolo Mathematical Distortions che sono state prodotte in stucco nel “Sitterwerk” di San Gallo. La tecnica tradizionale dello stucco imita il marmo con gesso e pigmenti colorati ed è stata usata per decorare le chiese barocche nel Seicento.
Queste maneggevoli sculture sembrano provenire da uno scavo archeologico e ricordano con ciò il motore di tutte le scienze: approdare a nuove conoscenze attraverso la scoperta (lo scavo) e l’interpretazione.
Mariana Castillo Deball: “Sono originaria del Messico e ho realizzato opere che hanno a che fare con l’archeologia messicana, ma si concentrano di più su fatti storici che sull’archeologia in sé. Nel caso di questa mostra la questione è come si possa trovare o creare un’immagine. Uso spesso il termine “immagini potenziali” per dire di immagini che non sono state fabbricate dall’uomo ma che sono nate da un processo percettivo.
La pittura murale dietro i modelli matematici e le piccole sculture, prende spunto da un minerale, ma somiglia lontanamente al “Test di Rorschach”. Ho visitato moltissime caverne in Brasile e spesso succedeva che la guida dicesse, guarda qui si vede la faccia di Gesù (piuttosto che un pezzo di prosciutto).
Sei quindi invitato a vedere un’immagine dove non c’è alcuna immagine. Uno dei temi principali di questa mostra è quindi la proiezione umana. Che cosa di ciò che vediamo esiste effettivamente e che cosa è proiezione di ciò che avevamo deciso prima di vedere? La questione è che non si abbandonano le aspettative e si proiettano conoscenze o idee preesistenti sul mondo. Vediamo ciò che vogliamo vedere e non esiste alcun rapporto “neutrale” con il mondo esteriore.”
La pittura murale in toni azzurri sfumati dal titolo There are no Spaces in Words as People Speak to Them è stata sviluppata ed eseguita per Haus Konstruktiv. Prende spunto dalla fotografia di una pietra, di un “Achat”, della collezione geologica del Museo di Scienze Naturali di Parigi.
Anche questo lavoro è un omaggio al filosofo e collezionista appassionato di pietre Roger Caillois, che fu affascinato dal caos e dall’ordine nei disegni dei sassi.

Ogni meccanismo di svelamento, ogni archiviazione di materiali estratti, è allo stesso tempo un processo interpretativo al quale partecipano proiezioni di conoscenze e immagini preesistenti.
L’artista invita gli spettatori a partecipare al suo ingegnoso sistema nel quale scienza e arte si trovano imbrigliati: il gioco tra proiezione e creazione fittizia da un lato e osservazione e collezione di fatti dall’altro. Il soggetto che osserva è quindi – in maniera fenomenologica classica – sempre coinvolto nel processo conoscitivo.
L’artista spiega l’effetto di retrovisore fenomenologico con la sua esperienza con manoscritti alchemici trovati nella biblioteca di Kassel: “Quando stavo preparando la mia opera per dOCUMENTA (13), trovai in una biblioteca una collezione importante di manoscritti del Cinquecento e Seicento.
Cominciai a leggere e ciò che mi affascinò enormemente fu come gli alchimisti, provando a trasformare un metallo in oro, trasformarono sé stessi allo stesso tempo. Il mio è un gioco di finzione nel quale provo ad attivare degli 'Oggetti scomodi' per indagare in che modo cerchiamo di trasformare il mondo, e pensiamo di farlo standone fuori, in una posizione “neutrale”, cosa che si rivela assolutamente impossibile.”
Mariana Castillo Deball ci dimostra attraverso le sue messe in scena, come meccanismi creativi e punti di vista soggettivi partecipino alle scoperte epistemiche e come - d'altra parte - i metodi scientifici fertilizzino i processi artistici. La pianta rampicante continua a crescere senza sosta in direzioni non prevedibili avvolgendo la scaffalatura positivista della nostra cultura, come gli Oggetti sconfortevoli di Mariana Castillo Deball.

Barbara Fässler
Ottobre 2012

Maggiori informazioni sulla mostra di Mariana Castillo Deball “Zurich Art Prize” 2012

Barbara Fässler, artista zurighese, formatasi alla Villa Arson a Nizza, opera prevalentemente con i linguaggi della fotografia, del video e dell'installazione. Dagli anni '90 cura mostre per varie instituzioni (ProjektRaum a Zurigo, Istituto Svizzero a Roma, Belvedere Onlus a Milano). Scrive regolarmente per la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga e insegna 'Arti visive' al liceo della Scuola Svizzera di Milano.


Questo articolo sarà pubblicato anche sul prossimo numero della rivista Studija in inglese e lettone