Attraversare le contingenze allargando le prospettive

13/01/2013
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Leone d'Oro alla carriera della Biennale di Venezia 2011, negli anni '60 firmava come Sturtevant le opere di Warhol e Duchamp da lei ripetute pari pari. Barbara Fässler e Beatrix Ruf ci parlano dell'artista americana.



Sturtevant in un ritratto di Loren Muzzey





Beatrix Ruf. Foto di Lukas Wassmann, 2010





Gonzalez-Torres Untitled (America), 2004. Collezione dell'artista





Dark Threat of Absence Fragmented and Sliced, 2003. Video installazione MMK Museum Moderne Kunst, Frankfurt am Main





Elastic Tango, 2010. Video installazione, suono





Finite Infinite, 2010. Video installazione, suono





Vedute e installazioni della mostra presso Kunsthalle di Zurigo


















Di Barbara Fässler

"Il mio lavoro non ha nulla a che fare con l'appropriazione, con la nuova focalizzazione sulla Storia, con la morte dell'arte, la messa in questione negativa dell’originale. Piuttosto il contrario, poiché involve il potere e l’autonomia dell’Originalità e la forza pervasiva dell’arte" Elaine Sturtevant (1)

Elaine Sturtevant, oggi ottantaseienne, corre sempre un passo avanti agli altri. Anni prima della filosofia della ripetizione di Deleuze, che indaga le nozioni di ripetizione e differenza in rapporto alla Storia delle teorie della conoscenza e che vede l'ente come attualizzazione di un campo virtuale d’idee, l’artista americana rompe, all’inizio degli anni Sessanta, con il tabù dell’autorialità.
Decine di anni prima che la cosiddetta "Picture Generation" problematizzi "originale" e "copia" nell’arte (Sherrie Levine, Cindy Sherman, Richard Prince oppure Barbara Kruger), Elaine mette in questione la "sacra" originalità e verità dell’arte e comincia a imitare le opere dei suoi colleghi maschili una a una.
Un’eternità prima che si realizzino viaggi virtuali dei Cyborgs e Internauti nel Cyberspace e che Internet diventi cultura di massa, l’artista americana anticipa l’era digitale nell’arte.
Ciò che potrebbe sembrare superficialmente come copia banale e come provocazione trasgressiva e ciò che ha fatto infuriare gli artisti della sua generazione (così tanto che si è vista costretta a dismettere la sua produzione dal 1974 al 1986), è in realtà da considerare reverenza e profondo rispetto nei confronti dell’arte e della sua capacità di generare processi riflessivi.

La Storia le ha dato ragione. Con il discorso postmoderno negli anni Ottanta che ha santificato la citazione, Sturtevant non è soltanto stata riabilitata, ma è stata riconosciuta come artista visionaria, capace di anticipare le problematiche culturali delle generazioni future. La vincitrice del Leone d’Oro alla carriera della Biennale di Venezia 2011 "cerca di aprire lo spazio dietro le opere e di provocare una discussione critica sulla superficie, il copyright, l’autonomia e il potere silenzioso dell’arte" (2)

Beatrix Ruf, direttrice e curatrice della Kunsthalle Zurigo dove si svolge attualmente - in concomitanza con il Moderna Museet di Stoccolma - una enorme retrospettiva dell’artista americana, risponde alla domanda su che cosa, secondo lei, renda la Sturtevant una delle artiste più importanti del presente: «penso, il fatto che lei abbia analizzato negli anni Sessanta, prima di tutti gli altri, il significato e le conseguenze della Cibernetica e della realtà digitale e che si sia confrontata intensamente con le questioni filosofiche annesse. Ciò che lei ha pensato rispetto al mondo digitale determina oggi la nostra realtà.
La sua analisi l’ha portata all’opera che conosciamo oggi della Sturtevant.
Quando si raggiunge la consapevolezza di cosa sia la realtà digitale, i concetti di "copia" e "appropriazione" mutano completamente. Questa scoperta fu stupefacente e incredibilmente visionaria, e lo fu addirittura prima che Deleuze formulasse la sua filosofia della ripetizione. Lei dice "ciò che ci aspettiamo dall’arte – di muovere soprattutto il pensiero – è possibile anche se ripeto opere che già esistono e se do un significato a questa ripetizione".

Le opere ricostituite di Elaine Sturtevant si possono quindi definire come sviluppo dei Ready-Made di Marcel Duchamp, soprattutto di L.H.O.O.Q., che cita e interroga direttamente un’opera d’arte, la «Gioconda» di Leonardo.
D'altro canto l’opera dell’artista americana può essere considerata una continuazione dell’indagine di Andy Warhol, che riprende elementi popolari, li elabora in immagini stampate in serie e quindi già lavora con l’idea della ripetizione (industriale) mettendo in forse il concetto di unicità nell’arte. Duchamp e Warhol sono stati per molto tempo gli unici artisti a capire l’opera di Sturtevant e a sostenerne le intenzioni. Warhol, ad esempio, le ha prestato i suoi telai serigrafici per farle ristampare i "Flowers" che, un anno più tardi, lei ha esposto come "Sturtevants" due strade più in là della Factory, nella galleria Bianchini a New York.

Sturtevant non definisce i suoi lavori né appropriazioni, né copie, ma piuttosto come ripetizioni. Il concetto di ripetizione ricorda l’idea di "Mimesis", imitazione, che fin dall’antichità fu considerato negativamente.
Alla spirale della condanna universale di Platone, si potrebbe dare un giro ulteriore: trattasi di una copia di una copia (opera d’arte), di una copia (oggetto del mondo sensibile), di un originale (dell’idea nel cielo delle idee).
Contro Platone, invece, la "Mimesis" gioca un ruolo importante nel processo conoscitivo: imitare qualcosa per poterlo comprendere in maniera precisa dall'interno. Si tratta, nel lavoro di Sturtevant, ugualmente di questo profondo confronto con la cultura, la sua espressione come immagine, il suo carattere di modello, la sua funzione di paradigma, ad esempio quando percepiamo un paesaggio come se fosse un "Caspar David Friedrich" piuttosto che un "Turner"

Questo rovesciamento si rinforza tramite l’installazione seriale delle opere nello spazio. Entrando nella sala della mostra di Zurigo che ospita gli otto "Fresh Widows" ricostruiti a partire dall’opera Duchampiana, essi sembranono affermare che mai nessuna opera d’arte potrà essere un originale, che tutto è sempre riproduzione che ha subito una qualche influenza da qualcosa che esisteva dapprima.
E' davvero interessante, che "Fresh Widow" sia uno dei pochi Ready-made "falsi", nel senso che è stato fabbricato su incarico di Marcel Duchamp da un falegname di New York, in formato ridotto e quindi non si tratta di un prodotto industriale seriale che è stato rinominato e ricontestualizzato come opera d’arte unica e originale.
Beatrix Ruf spiega: "I ‘Fresh Widows’ sono davvero stati prodotti in questa versione per la mostra a Stoccolma e a Zurigo, perché prima ne esisteva solo un esemplare.
Sturtevant tratta Duchamp e Warhol come figure artistiche e iconiche, ma opera anche con il loro atteggiamento intellettuale e filosofico rispetto la serialità e il multiplo. Con questa riproduzione in serie di "Fresh Widow", Sturtevant un’altra volta sviluppa temi centrali sia di Duchamp, che di Warhol.
Trovo questi lavori estremamente importanti all'interno della mostra, proprio perché sono installati nello stesso spazio degli Sturtevant-Warhol. Nelle sue mostre il rapporto tra i lavori è sempre molto importante, anche per via di un'energia supplementare che estende i temi su cui riflettono le singole opere – in questo caso sicuramente la serialità, ma anche meccanismi di produzione e il rapporto tra Pop Art e Minimal Art."

Quando Baudrillard afferma, che "realtà" è ciò di cui si può fare una riproduzione adeguata e quindi avvicina la riproduzione al reale, allora ci si chiede se Sturtevant, attraverso la problematica del vero e del falso, metta in questione il concetto di "verità" in quanto tale, confrontandolo con l’idea di molteplice. Tante verità al posto di una unica e assoluta. Beatrix Ruf: "Sì, forse nel senso della rilevanza di opere specifiche nella produzione di senso... Oltre alle sue analisi davvero grandiose di Warhol e Duchamp, il grande merito di Sturtevant è che svela formulazioni e atteggiamenti centrali nell’arte concettuale e li tematizza in maniera completamente diversa rispetto agli artisti concettuali stessi negli anni Sessanta.
Essi riflettevano sullo statuto dell’opera d’arte e sulla rilevanza della materializzazione fisica di un oggetto – si pensi all’atteggiamento di Lawrence Weiner, John Baldessari e Joseph Kosuth – o su come avvenga la materializzazione di un pensiero in un oggetto. Si chiedevano, se la pura formulazione linguistica o intellettuale bastasse per determinare l’opera e se di conseguenza la materializzazione in opera non servisse più.
All’atteggiamento puramente mentale, Sturtevant contrappone in maniera molto decisa l’affermazione che la riconoscibilità stilistica sia essenziale e che la realizzazione materiale sia rilevante e cruciale. Proprio perché si è svolta la mutazione dal pensiero alla materia. È fondamentale che le opere da lei ripetute, siano state ripetute anche fisicamente e materialmente."
Al contrario degli artisti concettuali che danno più rilevanza all’idea rispetto all’opera e che considerano l’esecuzione materiale e l’effetto sensuale delle opere meno importanti, Sturtevant compie uno sforzo e un investimento estremi: a livello temporale, fisico e materiale.
Che cosa muove Sturtevant a ricostruire proprio queste opere e ad attraversarle sia fisicamente che intellettualmente? Si tratta forse di opere alle quali è particolarmente legata? Forse intende i pezzi selezionati come icone della nostra cultura che quindi hanno uno statuto simbolico? Oppure si può dire che l’artista agisca come filtro, che «scopre» le opere d’arte che poi si mette faticosamente a rifare?
Sturtevant ha spesso ripetuto artisti che erano ancora sconosciuti, ma che a posteriori sono diventati mega-star nel sistema dell’arte. Potrebbe darsi che Sturtevant con l’atto della scelta interroghi anche il ruolo dell’artista stesso? Beatrix Ruf: "E' importante chiedersi se quest’opera che è stata ripetuta sia così rilevante nei suoi diversi aspetti che anche nella sua seconda versione il suo spirito continua ad esistere"
Come dice Duchamp, è l’artista che definisce tramite la sua scelta, che cosa sia arte e che cosa no, e non il critico oppure il curatore…
Per Beatrix Ruf bisogna essere cauti con questa citazione di Duchamp, come con l’affermazione di Beuys che ogni essere umano è un artista, perché "non ognuno è un artista e non tutto diventa arte quando lo dice un artista, ma naturalmente è importante, che cosa si dice e che cosa si sceglie, e che ciò si attui nell’opera."
Quale valore hanno le opere selezionate e rifatte per Elaine Sturtevant?
Beatrix Ruf: "Decisamente lei agisce come filtro, perché come dicevi, ha recepito e ripetuto altri artisti – purtroppo soltanto maschi – in una fase della loro carriera nella quale non vi era ancora nessun "label" sulle loro opere. Nella sua strategia artistica, direi che è logico ripetere opere d’arte prima di un loro effetto evidente sulla storia dell’arte, ma Sturtevant ripete anche il pubblico, perché tratta il presente in permanenza analiticamente e filosoficamente."

Girando e osservando la mostra, è difficile evitare la sensazione che Sturtevant si muova su un meta-livello e discuta contemporaneamente il ruolo del museo, dell’istituzione o della cultura in generale. Il museo è visto come una sorta di Arche Noah della cultura…
Beatrix Ruf: "Sturtevant crede assolutamente al movimento mentale che le opere d’arte sono in grado di provocare e per lei il museo è uno spazio in cui questo si genera. Nondimeno mi sono chiesta se scegliere le opere da ripetere si tratti per lei di un atto curatoriale, ma a questo punto bisogna considerare che tutti gli artisti si confrontano con altri artisti. L’arte si riferisce sempre a sé stessa e continua a scrivere la propria Storia."

I visitatori e le visitatrici che non conoscono l’artista e che non hanno letto nessuna spiegazione sulla mostra pensano, entrando nella Kunsthalle, che si tratti di una mostra collettiva di artisti che vanno dal dopoguerra ad oggi: Sturtevant crea una grande confusione nel pubblico.
Proprio per colpa di quest’ambiguità, la mostra sembra riprodurre e problematizzare la situazione di museo come contenitore, catalizzatore o archivio della cultura attuale. Ciò nonostante si tratta di una mostra personale di Elaine Sturtevant, che ha prodotto tutte le opere da sé.
Vien da chiedersi allora, se si tratti di un’appropriazione e di un rispecchiamento dei meccanismi di potere nel sistema d’arte. Possibile che Sturtevant si appropri del ruolo della curatrice, mediante mezzi artistici?
Beatrix Ruf: "Io penso, se vogliamo tornare al tema della mostra di gruppo, che i suoi temi artistici siano la creatività collettiva e la realtà digitale. In questa mostra l'opera video di Sturtevant è visibile nella sua totalità ed è messa in relazione con le sue opere ripetute. In questa mostra si tematizza il valore delle opere d’arte sia nella realtà che in una situazione istituzionale. Questa indagine va oltre grazie alla realizzazione digitale dei suoi video in cui avviene effettivamente un atto di appropriazione, poiché Sturtevant combina proprie riprese con materiali presi da Internet e da "database" fotografici.
Quindi in questi lavori attuali lei produce di nuovo autorialità partendo dallo spazio collettivo e questo è molto interessante rispetto agli Sturtevant-Warhol, agli Sturtevant-Haring e agli Sturtevant-Jasper-Johns."

Sembra che Elaine Sturtevant, nei lavori realizzati dal 2000 in poi, si riavvicini alla Pop-art, visto che riprende elementi popolari che poi sviluppa. Questa tendenza non si nota solo nei video, ma anche nell’installazione con le bambole porno, immagini stereotipate di una società nella quale tutto è sostituibile e vendibile. Che cosa ci vuole dire l’artista? Ci vuole dire forse che la cultura "alta" e quella "bassa" sono da mettere sullo stesso livello, oppure ci parla di gerarchie?
Beatrix Ruf: "Credo che convergano diversi elementi. Da un lato si tratta naturalmente dell’analisi del mondo digitale da parte di qualcuno che ha vissuto quasi un secolo e che non è nato nel 1980 con internet e la televisione in tasca. D’altra parte però è una logica continuazione di ciò che faceva nella ripetizione delle opere, cioè guardare da vicino che cosa sia lo specifico di questa realtà.
La videotorre "Elastic Tango", ricorda nella sua forma Nam June Paik, ma evoca ugualmente lavori di Beuys o di Dieter Roth e tematizza la simultaneità delle immagini. In questo getto d’immagini sul mondo, si trova tutto ciò che Sturtevant ha prodotto con il video digitale e che qui mischia di nuovo. È un miscuglio ritmato di materiali trovati e prodotti da lei. Qui, in effetti, si dovrebbe trovare un nuovo concetto per la nozione "appropriazione".

Da cinquant’anni, Elaine Sturtevant si confronta intensamente con il presente e il suo sviluppo culturale, tecnologico e filosofico, è capace di riconoscere con forza visionaria i fenomeni alla radice del loro generarsi e di tradurre questa conoscenza nella sua opera. Per Beatrix Ruf, che la conosce da tantissimo tempo, Sturtevant rappresenta una posizione incredibilmente radicale e giovane, il movimento permanente del pensiero.

(1) Elaine Sturtevant: "My work has nothing to do with appropriation, the refocusing of history, or the death of art, or the negative questioning or originality. Rather just the opposite, as it involves the power and autonomy of originality and the force and pervasiveness of art.", citato in Doris von Drathen,Der Dialog mit dem Gleichen. Enteignen der Appropriation, Kunstforum 111, 1991

(2) Comunicato stampa della mostra "Image over Image"



Maggiori informazioni sulla mostra Sturtevant Image over Image alla Kunsthalle Zurigo fino 20 gennaio 2013

Barbara Fässler, artista zurighese, formatasi alla Villa Arson a Nizza, opera prevalentemente con i linguaggi della fotografia, del video e dell'installazione. Dagli anni '90 cura mostre per varie instituzioni (ProjektRaum a Zurigo, Istituto Svizzero a Roma, Belvedere Onlus a Milano). Scrive regolarmente per la rivista d'arte contemporanea "Studija" di Riga e insegna 'Arti visive' al liceo della Scuola Svizzera di Milano.

Questo articolo sarà pubblicato anche sul prossimo numero della rivista Studija in inglese e lettone