Attraversare le contingenze allargando le prospettive

17/01/2014
stampa   ::  




Etant donnés


Una conversazione tra Alessandro Castiglioni e Jacopo Rinaldi nell'ambito del dibattito "Voglia di '68?" avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net a cui stanno progressivamente contribuendo diversi artisti e curatori.



Rita Canarezza & Pier Paolo Coro, Little Constellation. Small States on Un-Certain Stereotypes, 2012. Still da video




Nina Danino, Stabat Mater, 1990. Still da video




Dustin Cauchi, Lost Epigraph Trilogy, 2013. Still da video




Marcel Duchamp, Étant donnés, 1946 – 1966. Installazione




Jacopo Rinaldi, Firenze, acqua rossa nelle fontane del centro, 2013. Disegni su carta, 21 x 22 cm. Fotografia di Francesco Niccolai




Alessandro Castiglioni: Questa attitudine legata al 1968 significa, dal mio punto di vista, non ridurre la pratica artistica ad un'esclusiva produzione oggettuale. Intendo con ciò concedere all'arte (nella sua produzione e nella sua fruizione) il proprio tempo, indagare e soffermarsi sulla complessa rete di relazioni, legami, discorsi che investono anche la sua nascita o sviluppo.
Se dovessi fare un esempio credo che oggi la produzione documentaristica e filmica, a cavallo tra arti visive e cinema, metta spesso a fuoco la questione in oggetto. Alcune caratteristiche, come per esempio la necessità di rigorosi percorsi di ricerca, il dispiegamento, soprattutto nel tempo, dello sviluppo e della costruzione dell'opera stessa, la necessità di un equilibrio tra componente tecnica e risultante estetica, e la fondamentale questione del display finale, risultano fatti centrali all'interno della questione.

Alcuni esempi di produzioni di questo tipo a cui ho lavorato direttamente o che ho seguito molto da vicino mi aiuteranno ad essere più chiaro.
Per esempio gli artisti sammarinesi Rita Canarezza e Pier Paolo Coro hanno impiegato grossomodo otto anni e un considerevole numero di viaggi, interviste ed esplorazioni dirette, dall'Islanda a Cipro, da Gibilterra al Montenegro, per realizzare l'opera Little Constellation, small states on un-certain stereotypes (2012), un complesso lavoro documentario che racconta lo stato dell'arte contemporanea in quattordici diversi piccoli stati e micro – aree geopolitiche d'Europa.

Oppure penso al film sperimentale di Nina Danino, Stabat Mater (1990), in cui l'artista inglese (originaria di Gibilterra) ricostruisce nella sua terra natale il percorso di Molly Bloom raccontato da Joyce nel diciottesimo capitolo dell'Ulisse, tra la città antica e il celebre Alameda Garden, mescolando ricostruzione filologica, la propria esperienza biografica e specifici elementi e movimenti di carattere geografico e spaziale.

Un ultimo esempio potrebbe essere legato all'opera dell'artista e regista maltese Dustin Cauchi il quale, nel suo recente lavoro The Lost Epigraph Trilogy (2013), ricostruisce la storia ma sopratutto l'identità culturale della propria isola attraverso tre cortometraggi che disegnano il profilo, attraverso un sottile equilibrio tra storia e fiction, di tre controversi personaggi della storia maltese: il musicista punk-wave Jody Fiteni, la cantante lirica Miriam Gauci e il letterato e politico Alfred Sant.

Jacopo Rinaldi: Ho tentato di trarre alcune conclusioni a partire dalla tua tesi sui processi di produzione artistica e credo di condividere il tuo pensiero.
L’esempio del documentario può esserci utile per capire l’importanza di un contesto di produzione. Nel genere documentaristico è infatti possibile mettere in oggetto il prodursi stesso di un’opera non lasciando sommersa la sua componente processuale, ma rendendola visibile, o almeno percepibile.

Questa corrispondenza tra il processo e la formalizzazione non è sempre possibile, per questo motivo credo sia necessario fare un passo indietro e smettere di guardare l’arte attraverso la costruzione di oggetti e immagini che garantiscono la sua testimonianza formale. Non si tratta di eliminare la componente visiva, che emerge ai nostri occhi, ma di cogliere il sommerso: la più ampia mole di dati e informazioni che alimentano il lavoro, e allo stesso modo, lo tengono a galla. Il principio non è diverso dal galleggiamento degli iceberg: non è l’isolamento a garantire al ghiaccio di emergere, ma la relazione tra la sua densità e quella dell’acqua in cui è immerso. Applicando questo principio alla produzione artistica si potrebbe dire che l’opera viene alimentata dalla densità del contesto da cui trae origine.

Credo che l’attitudine di una pratica artistica vada ricercata nell’ambito generativo che è all’origine della sua produzione. Spostare la nostra attenzione verso questa fase ci permette di ritardare un’ansia produttiva e di mettere a fuoco la ricerca che ne è alla base.
L’intuizione di essere immersi in un contesto di dati e informazioni è ben sintetizzata dal lavoro postumo di Marcel Duchamp, dal titolo Etant donnés, traducibile in italiano come Essendo dati: 1) la cascata d’acqua; 2) il gas d’illuminazione etc. Duchamp decide di intitolare l’opera utilizzando l’elenco dei componenti del proprio progetto come se si trattasse della definizione di un teorema. In che modo la gestione e la selezione di dati precostituiti (essendo dati), di informazioni e di documenti, possono generare nuove produzioni di senso?

Alessandro Castiglioni: Trovo il riferimento a Etant donnés estremamente interessante. L'opera infatti pone, in termini visivi, un problema di “profondità” e di relazione tra realtà e immagine. Attraverso la piccola frattura nella porta di legno che apre alla visione ci chiediamo se quella che stiamo vedendo sia un'immagine o qualcos'altro.
Molte posizioni oggi vedono nell'interesse per la materia informativa, una sorta di feticismo per il dato, o per la storia. Io credo, in questo senso, che artisti e curatori cerchino di inserirsi in quel qualcos'altro che è dato e che, come presenta Duchamp, è estremamente reale.
Questo accade, di fatto, anche nel tuo lavoro.

Jacopo Rinaldi: Il mio interesse per la materia informativa è rivolto ai meccanismi che permettono o negano il funzionamento di tali dati.
Grazie ad alcuni progetti recenti ho iniziato ad interessarmi all’archivio e al suo passaggio dal privato al pubblico. Ho visitato l’archivio di Lara Vinca Masini a Firenze, la quale ha iniziato un enorme lavoro di manutenzione, spostamento e riclassificazione dei volumi in previsione della futura donazione al Centro Pecci di Prato. Dal dialogo con Lara Vinca Masini è nata l’idea per il lavoro dal titolo “Firenze, acqua rossa nelle fontane del centro”, nel quale ho elaborato la memoria orale del nostro incontro in tre ordini di dati: la cartografia di Firenze, le angiografie di un aneurisma cerebrale e un articolo di cronaca. Ho scelto di non utilizzare dei documenti originali e di creare delle riproduzioni a matita in modo tale da mettere in discussione il documento nel suo statuto.
Credo che la materia informativa, o più in generale la storia, non siano elementi acquisiti una volta per tutte. Grazie alla fotografia ho imparato a dubitare della nozione di documento e lentamente mi sono reso conto che i dati non sono sempre validi, ma subiscono le alterazioni di chi decide di elaborarli, anche semplicemente selezionandoli.

Alessandro Castiglioni: Questo punto di vista porta con sé una conseguenza, anch'essa eredità degli anni sessanta, il dubbio della dicotomia tra soggetto e oggetto: ma quando guardiamo dal buco che Duchamp apre nella porta, cosa stiamo vedendo davvero?


Questo testo è parte del dibattito Voglia di '68? avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net a cui stanno contribuendo artisti e curatori.

La prima puntata con Ermanno Cristini

La seconda puntata con Chiara Pergola

La quarta puntata con Francesca Mangion

La quinta puntata con Lorenzo Baldi

La sesta puntata con Andrea Nacciarriti


Jacopo Rinaldi, vive tra Roma e Milano, dove sta concludendo i suoi studi. Lavora principalmente attraverso la fotoricerca, il video e l’installazione. La sua indagine riguarda i media e le relazioni che instaurano con l’esperienza e la memoria. È stato assistente presso la cattedra di Pittura dei corsi di Arti Visive della Naba e collabora con diversi spazi per l’arte e progetti editoriali.

Alessandro Castiglioni è uno storico dell'arte e ricercatore culturale. Dal 2009 collabora con Rita Canarezza e Pier Paolo Coro per la cura del network di Little Constellation e dal 2008 lavora con Ermanno Cristini allo sviluppo del progetto Roaming. Dal 2004 lavora per il Dipartimento educativo del Museo MA*GA di Gallarate dove è anche Co-Segretario Generale del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate. E' curatore di Mediterranea 16 - XVI Young Artists Biennale e tra le istituzioni con cui ha collaborato si ricordano:Viafarini DOCVA, Milano, National Gallery of Iceland, Reykjavik; Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce, Genova; Musée Cantonal, Lausanne; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Tra le più recenti pubblicazioni si ricordano: Errors Allowed - Mediterranea 16, Quodlibet; Subjective Maps/Disappearances, Mousse Publishing; Roaming, Postmediabooks; LONG PLAY, MoussePublishing.

Come per tutti gli artisti e i curatori, su UnDo.Net trovi lo storico di tutte le mostre di Jacopo Rinaldi e di Alessandro Castiglioni