Attraversare le contingenze allargando le prospettive

02/05/2014
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E sono viva


Uno slancio vitale che si eleva sugli orrori e l'infamia della storia soprattutto nei confronti delle donne. In questa intervista, a cura di Annalisa Cattani, Eugenio Viola ci parla di Regina José Galindo e di quelle performer che trasformano il proprio corpo in un luogo di resistenza...



Regina José Galindo, Hientras ellos siguen libres, 2007. Foto David Perez


Regina José Galindo, Peso, 2006. Foto di Georges Delgado



Regina José Galindo, Limpieza social, 2006, Galleria Civica di Trento, Italy. Courtesy Prometeo gallery



Regina José Galindo, Tierra, 2013. Foto Betrand Huet



Regina José Galindo, Installazione nella mostra "Estoy viva" Padiglione d'Arte Contemporanea - PAC di Milano



Regina José Galindo, Piedra, 2013. Sao Paolo, Brasil. Courtesy Prometeo gallery



Regina José Galindo, No perdemos nada con nacer, 2000. Courtesy Prometeo gallery



Maria José Arjona, Right at the center, 2011, single channel video, 5'42'', Biennial of Rijeka.Courtesy Prometeo gallery



Maria José Arjona, Agent/Encoding/Flow, 2014. Courtesy Prometeo gallery



Teresa Margolles, Muro Baleado, 2009, dettaglio dalla mostra a Museum di Bolzano



Teresa Margolles: carne muerta como alegoria a lo fallido



Tania Bruguera, performance Biennale di Venezia 2009


Tania Bruguera, El Peso de la Culpa, 1997-1999. Re-enactment of a historical event



Marina Abramovic, Carrying Elvira facing down, 2006. Courtesy Lia Rumma



Marina Abramovic, Balkan Erotic Epic, video nell'ambito della monografica presso Hangar Bicocca, 2006


Regina José Galindo, pur essendo un'artista molto giovane (è del '74) arriva in Italia con una mostra molto importante. Non si può parlare di retrospettiva, però si tratta senz'altro di una mostra di grande ricchezza e rilievo: "Estoy Viva", a cura di Eugenio Viola e Diego Sileo, presso il PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano.

Molti di noi conoscono quest'artista per la performance "La Verdad", realizzata nel 2003 a Guatemala City, in cui questa giovane donna cammina dalla sede della Corte Costituzionale fino al Palazzo Nazionale, lasciando una scia di impronte di sangue con cui si era sporcata i piedi poco prima. Qui compie un'azione fortissima, un atto linguistico, in memoria delle vittime del conflitto armato in Guatemala.

Regina José Galindo è oggi tra le artiste più rappresentative del continente latino americano e del contesto internazionale, premiata con il Leone d'Oro alla 51ma Biennale di Venezia come migliore artista under 35.
Indaga la dimensione soppressa e rimossa della sofferenza e utilizza il proprio corpo in chiave politica, riattiva i traumi e rende il corpo una soglia di resistenza. Nonostante il suo sia molto minuto e fragile, comunica un'energia particolare che riesce coinvolgere lo spettatore facendolo sentire parte di un vero e proprio rituale.

Annalisa Cattani: Partirei subito chiedendo a Eugenio Viola di parlarci dell'articolazione di questa mostra che è molto interessante proprio dal punto di vista della struttura e che qualcuno vede come un atto coraggioso perchè quelle di Galindo non sono opere facili. E io mi permetto di aggiungere: un atto anche doveroso; cosa ne pensi?

Eugenio Viola: Assolutamente sì anche perché, come dici tu, il lavoro di Galindo non è per niente accomodante, o estetico, almeno in senso tradizionale. E' un'opera scomoda, che non compiace né l'artista né il pubblico.
Soprattutto è un atto doveroso e necessario perché richiama una serie di lacerazioni e contraddizioni che purtroppo caratterizzano ancora i nostri tempi, infatti il lavoro di Galindo parte dal particolare e arriva per induzione al generale. Parte sempre dal suo microcosmo d'appartenenza, il Guatemala appunto, si concentra sulla vergognosa pratica del femminicidio, e rimanda a sensazioni inquietanti e sgradevoli che riguardano tutta la nostra società.
Non dobbiamo dimenticare che in Italia non c'è ancora una legge che tuteli le donne contro la violenza...

Regina fa del proprio corpo un testo del conflitto ma anche un luogo di resistenza, che tu chiami in un modo che trovo molto interessante e affascinante: un'estetica sacrificale. Cosa intendi?

Ho preso in prestito il termine da Eric Gans, che si è occupato di estetica sacrificale, poiché il sacrificio è il passaggio di un oggetto inanimato o di un essere vivente da uno stato all'altro. Quello che fa Galindo in tutti i suoi lavori è per l'appunto quello di mettersi al centro, nella fragranza dell'opera, in prima persona, soggetto e oggetto dell'azione performativa.
E' sempre una sorta di vittima sacrificale di un rituale crudele e cruento, dove però lei non si immola evangelicamente per "mondare" il mondo dei suoi peccati, ma essenzialmente per protestare. E' un corpo che dissente e che protesta innanzitutto contro la violenza sulle donne e più in generale contro ogni tipo di abuso e sopruso presente nella nostra società.

Infatti tu parli di "impulso bergsoniano" dell'artista che si oppone agli orrori, all'infamia del mondo nei confronti delle donne. Quindi è forte l'impulso di morte che però non è un impulso nichilistico ma piuttosto catartico...

Vuole anche essere una pulsione reattiva, è proprio questo il senso di "Estoy viva", il lavoro che abbiamo presentato in anteprima e che ha dato il titolo alla mostra.
"Estoy viva" è un'azione durissima in cui l'artista legge le testimonianze di donne sopravvissute al genocidio e agli stupri di massa avvenuti durante la guerra civile in Guatemala.
L'artista ha seguito tutto il processo al dittatore Efrain Rios Montt, che è stato condannato ad 80 anni di carcere per crimini contro l'umanità e genocidio, anche se poi l'intero processo è stato invalidato.
Regina ha seguito tutte le fasi di questo processo e mi raccontava che una volta è scoppiata in lacrime ascoltando alcune di queste testimonianze, che sono relamente agghiaccianti, e una di queste donne le disse "Non piangere, non ti disperare, perché nonostante tutto siamo vive" ed è lì che è nato appunto "Estoy viva".
Mi sembrava un messaggio così positivo appunto, "malgrado tutto", che mi è sembrato valesse la pena intitolare questa prima "antologica" di Regina José Galindo in questo modo. Un impulso bergsoniano, uno slancio vitale dell'artista che si eleva su tutti gli orrori che mette in campo nella sua pratica e nella sua ricerca.

La Galindo ha preparato una nuova performance per questa mostra...

La performance si chiama "Exalatión (Estoy viva)" e si è trattato di un'azione caratterizzata da una composta pacatezza metaforica: l'artista era distesa su una sorta di pietra tombale in una stanza appositamente costruita ed era anestetizzata. I visitatori, uno alla volta, avevano la possibilità di avvicinarsi muniti di uno specchietto e potevano avvicinarlo alle narici dell'artista per imprimere la condensa, unica traccia che contraddiceva tutti i sintomi di una morte apparente.
Il riferimento ironico era innanziutto a Piero Manzoni, che ha inaugurato il giorno dopo negli spazi di Palazzo Reale a Milano. Dall'altro lato c'era ancora una vis polemica nei confronti della pratica dei conquistadores spagnoli che regalavano agli indigeni - ricordiamo che Regina è di origine etnica indigena, maya - specchietti e perline in cambio di pietre preziose e monili.
Ma ancora una volta c'è un riferimento alla contemporaneità: allo sfruttamento delle risorse della foresta amazzonica e delle popolazioni indigene che ancora oggi continua ad opera delle multinazionali.
C'era infine anche una motivazione filosofica di fondo: sappiamo che sia lo Pneuma greco che lo stesso libro della Genesi parlano dell'insufflazione della vita attraverso il soffio, quindi il soffio come principio della vita. Ancora quindi, ci si ricollega all'Estoy viva.

Come si articola la mostra?

Tecnicamente si potrebbe definire una retrospettiva "middle career", ma come dicevi giustamente tu essendo un'artista appena quarantenne - nonostante abbia un corpus sostanzioso di lavori e soprattutto sia in piena attività - abbiamo pensato di costruire la scrittura espositiva della mostra per immersione, vale a dire attraverso 5 macro emergenze tematiche permeabili e interdipendenti tra di loro. Queste 5 sezioni fanno il punto sui motivi di continuità e divergenza nei temi dell'artista e sono: donna, politica, violenza, morte e organico.

Nonostante tu sia un curatore giovane hai un'esperienza comprovata con la performance. Puoi parlarci del tuo percorso, delle artiste principali con cui hai lavorato, e dirci se hai notato un'evoluzione in questa pratica...

Il mio interesse per la performance risale ai tempi dell'Università, la mia tesi di laurea verteva sul lavoro di Orlan, con la quale poi ho fatto 6 mostre nel corso della mia carriera. Ho poi lavorato con altri artisti storicizzati di quella che una volta veniva chiamata la "body art", quindi ho curato la mostra di Marina Abramovic sempre al PAC di Milano e sempre con Diego Sileo due anni fa.
Ho lavorato con Hermann Nitsch, con Ron Athey e Franco B. e con una serie di artisti del continente latino americano dove attualmente la performance vive una certa vivacità.
Ho invitato per la prima volta Regina al museo Madre di Napoli (dove lavoro) nell'ambito di un Festival che si chiamava "Corpus. Arte in Azione" e che ogni anno aveva un focus curatoriale specifico (co-curato con Adriana Rispoli), nel 2010 l'avevo dedicato al femminino nell'arte latino americana, invitando anche Teresa Margolles, Tania Bruguera e Maria José Arjona, un'artista colombiana meno conosciuta ma bravissima...

In questo tuo percorso hai avuto problemi di censura? Oggi provoca ancora dibattito o addirittura censura il corpo resistente dell'artista?

Dipende dai contesti nei quali viene presentato. Qualche settimana fa mi ha fatto molto sorridere la notizia dell'arresto in una discoteca di Riccione dei performer della compagnia teatrale Fanny&Alexander che avevano riproposto un omaggio a "Imponderabilia" di Marina Abramovic e Ulay. Questo tra l'altro era stato proposto proprio a Bologna da Renato Barilli nell'ambito della Settimana Internazionale delle Performance nel 1977, e fra l'altro anche l'azione di Bologna fu interrotta dalla polizia...
In realtà quando la performance viene presentata nella cornice rassicurante di un museo o di uno spazio preposto ad accoglierla non ci sono particolari problemi.
Invece, quando si fanno le azioni in strada o che in qualche modo queste escono dal sistema protetto dell'arte per diluirsi nelle criticità e nelle contraddizioni della vita quotidiana, allora il corpo nudo fa ancora specie.

Avrei piacere che parlassimo di un altro lavoro, proprio perchè tu riesci veramente a farci entrare in questo percorso...

Sì volevo parlare di un'opera a cui ho accennato prima e che è stata ideata dall'artista proprio prima di venire a Milano per la mostra: è il resoconto, agghiacciante, delle testimonianze di alcune donne sopravvissute alla vergogna dello stupro etnico.
E' un'azione molto minimale: l'artista è seduta a un tavolino e legge, ad intervalli regolari si alza una persona che le mette un'anestetico in bocca come nel tentativo di bloccare questo flusso inarrestabile di parole. Nel video che la riprende, della durata di un'ora, lei continua a leggere biascicando sempre più, ha sempre piu' difficoltà a parlare. Questo è un lavoro intitolato (in italiano) "Si possono cancellare queste tracce" e si ricollega all'azione di cui parlavi all'inizio quando nel 2003 Regina protestava contro la ricandidatura dell'ex generale e dittatore Efrain Rios Montt in "La Verdad". Chiude infatti questo ciclo perché i testi sono parte degli atti del processo contro questa persona ormai ottuagenaria.
Tra l'altro da questa performance sono tratte alcune frasi che formano diverse sculture in mostra, oltre alle azioni e alle loro tracce, infatti, il lavoro di Regina è accompagnato da sempre da un aspetto grafico, i suoi disegni hanno un segno leggero e ironico, a volte naif, oppure sembrano la materializzazione grafica delle sue ossessioni.

Maggiori informazioni sulla mostra "Estoy Viva" di Regina José Galindo a Milano

Guarda le immagini della mostra

Sulla rassegna "Corpus - Arte in azione" puoi leggere anche quest'intervista ad Adriana Rispoli e Eugenio Viola

Il videofocus di UnDo.Net sulla mostra Frontera, di Teresa Margolles al Museion di Bolzano

In questo video la sintesi dell'incontro con Marina Abramovic a Bologna nel gennaio 2011


Quest'intervista fa parte del ciclo Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto UnDo.Net in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo.


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Annalisa Cattani è artista-curatrice, Ricercatrice di Pubblicità e Arte vs Retorica, insegna all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, al LABA di Rimini e allo IULM di Milano.