Attraversare le contingenze allargando le prospettive

20/06/2014
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I dilettanti del miracolo



Grafiche Isia Urbino




Eunjung Shin, Someone saw it, pen, digital


Pratiche di formazione non frontale,
pedagogie innovative,
ridefinizioni di senso
sistemi di pensiero che
determinano il cambiamento


I DILETTANTI DEL MIRACOLO (prima parte)
di Francesca Marianna Consonni

«Ne convengo,la ragione rende ogni cosa facile,
concentra ma distrugge troppo, rende troppe cose
ridicole e proprio le più grandi.
Si deve osservare l'impossibile
così a lungo che finisce per
apparirci una facile occasione.
Il miracolo è una questione di
allenamento.
Oh Eufemia, a voi manca un
culto.»

Carl Einstein, Bebuquin o I dilettanti del miracolo


Formazione: una premessa

Ci sono concetti che scompaiono appena pronunciati. Dignità e Umiltà sono tra questi. Se si afferma “io sono molto umile” o “lui è molto dignitoso”, accade qualcosa nel linguaggio che deturpa la realtà e la priva della sua naturalità. Il sentimento che si crea reclama una distanza o una mancanza, che imbrattano l'umile di alterigia e il dignitoso di una pezzenteria pietosa. Quando si parla di riforma dal basso, a che alto si allude? Si penserebbe logicamente all'alto delle istituzioni, all'alto del potere o delle funzioni ordinate. Invece quando si dice riforma dal basso, l'alto è, come nel caso di dignità e umiltà, il semplice dire. Ogni riforma è dal basso; forse è proprio nominarla così che fa scomparire questa sua comunissima vitalità. Ogni cosa accade nel suo accadere, per volontà, circostanza e tempo. Ogni cosa che sta mutando si riforma. Gli atti che non sono dal basso sono innaturali, forzosi, violenti e deturpanti. Per questo non bisogna mai dimenticare di essere i detentori e non i destinatari di ogni cambiamento.

«Vorrei fare un piccolo elogio del conflitto, perché trovo che sia una dimensione ineliminabile nella vita ma che sia anche il principio fondamentale dentro le istituzioni educative e l'unico realmente ancora valido, sebbene in un clima di normalizzazione e l'incanalamento della funzione formativa verso fini prevalentemente produttivi, una dimensione come quella del conflitto sia generalmente evitata o soppressa. (...)Credo che il conflitto sia una delle poche cose che serve davvero all'interno della scuola. La scuola è del tutto invalidata come sistema di trasmissione dei contenuti: questi sono ormai ovunque e sono diffusi da mezzi ben più efficaci attraverso la rete, i testi immagine, i tutorial; i corsi tradizionali che pretendono di insegnare qualcosa di specifico non contano più. Ancora meno conta l'obiettivo di fornire uno stile di vita, un insieme di parametri, di condizioni, di componenti, per dare un valore o un senso alla vita. L'esperienza prevale su ogni orientamento. (...) Credo invece nella risorsa delle esperienze di conflitto all'interno della scuola poiché attraverso l'esperienza del conflitto si fa esperienza di una multidimensionalità della vita, di una ricchezza di punti di vista. Si impara inoltre a confrontarsi, si impara che esistono conflitti che si possono risolvere ed altri che non devono essere risolti perché hanno degli adattamenti successivi, perché si devono sviluppare altrimenti, dando luce a nuovi aspetti dell'esperienza. Il mondo contemporaneo ha una tale complessità di dimensioni, consente così tante esperienze e relazioni nuove e diverse, che è per se stesso contrario un approccio univoco, categoriale. Io credo che la cosa più interessante sia che questa ricchezza di dimensioni rimanga tale, che l'esperienza rimanga complessa, che l'esperienza rimanga molteplice, che le esperienze rimangano irriducibili e quindi che si sviluppino dei conflitti. Se si impara a vivere all'interno del conflitto, che in nessun modo vuol dire violenza, ci si predispone a vivere in una reale molteplicità. »
Antonio Caronia, intervista di Alessandro Guerriero per NABA Nuova Accademia Belle Arti di Milano

Uno dei luoghi in cui si è perpetrato con maggior ipocrisia il reato della fissità è la formazione. Spesso la formazione prevale sui saperi e questo comporta che noi che impariamo abbiamo la sensazione di accedere a un discorso di cui non facciamo inizialmente parte e che necessitiamo di un codice e di un giusto comportamento. Ma questo è l'effetto di tutte le istituzionalizzazioni. I saperi si raggiungono invece per desiderio, per contingenza, per volontà e per la forza di incontri fortuiti che hanno per noi una forza impressiva. La formazione sta mutando, in maniera radicale e il mutamento nasce da un esigenza effettiva, che un tempo avremmo detto “dal basso”, dal bisogno e dalla circostanza e non da alcuna riforma o normalizzazione. Ci sono molte verità sulla formazione che non compaiono, sono taciute o considerate accessorie rispetto all'esperienza dell'apprendimento. Sono dei ridicoli rimossi: il fatto che la scuola si giochi sugli individui riuniti in quel luogo e in quel tempo e che da essi non possa prescindere, che ogni docente riemetta nel gioco dell'educazione e della formazione la propria esperienza educativa e formativa, rigenerandola, che ogni insegnante attraverso i suoi studenti forma se stesso, p­eriodicamente. Se si desse più valore a questi accidenti non si potrebbe più facilmente negare la natura sentimentale della formazione e molte delle certezze di ruolo e di metodo della scuola verrebbero meno. Come stanno naturalmente venendo meno.

I dilettanti del miracolo di Carl Einstein

I dilettanti del miracolo è un romanzo del 1912 di un interessantissimo intellettuale tedesco di nome Carl Einstein, dissidente, dada, anarchico, ebreo non praticante, politico, militante, combattente e per molti di questi motivi, suicida nel 1940, mentre cercava il riparo dai suoi persecutori nella Francia dei Bassi Pirenei. Il romanzo narra del grottesco percorso di ricerca di Giorgio Bebuquin, protagonista di un viaggio che inizia da un bar, passa per un circo e finisce in un letto. Il libro è in un certo modo incomprensibile, se ci si appresta a leggerlo con quella razionalità che è contestata e invalidata dall'intero testo, programmaticamente. La confusione è uno strumento del romanzo. Il suo interesse è propriamente quello di andare “contro la letteratura e contro il lettore”, dando voce al movimento discontinuo e alogico della vita psichica, pur strozzando il suono fasullo di quello che l'autore definisce “il preistorico io”, ovvero quel vicolo cieco, quella forma teorica, funzionale e nevrotica, a cui ci siamo in breve assuefatti attraverso la psicanalisi. In tutto il romanzo il protagonista si imbatte in luoghi e personaggi sospesi, pure visioni o facce parziali di una visione, com'era l'arte cubista di cui Einstein era un capace studioso. Tutta la narrazione, gli accadimenti e i personaggi, sono orientati sulla linea della ricerca e del rinvenimento del miracolo, un luogo di reale incomprensione in cui sentirsi parte di un compimento. Carl Einstein elabora una riflessione sulla possibilità di approdo a nuovi paradigmi estetici, esistenziali, conoscitivi. La conoscenza, il sapere ed in particolare l'intuizione sono per Einstein di origine allucinatoria. Il miracolo e l'inconciliabile, nonché una forma di militanza grave e resistente contro tutte le forme di logica esaustiva, sono le dimensioni naturali della ricerca artistica.

I dilettanti del miracolo oggi

Il motivo per cui questa intera rubrica si intitola come il libro di Carl Einstein, oltre alle suggestioni espresse nel precedente paragrafo, è l'omaggio ad un procedere alogico e non conveniente che chi vi scrive ritiene di importanza fondamentale sia nella ricerca artistica che nella più generale pratica di esperienze e conoscenze. Il comportamento dilettante indica, in senso allargato, un bisogno sempre in essere, nonché una bonaria indifferenza alla professionalizzazione. Porsi l'obiettivo del miracolo, al di là dell'immaginario religioso, è fare parte di un'evidenza inspiegabile e poterne godere appieno. In senso più generale si vuole segnalare la fiducia in una tendenza, che riscontriamo nell'arte e nei processi di formazione tangenti ad essa, ad includere nella discussione del mondo aspetti ipotetici, irrilevati, irrilevanti, minori, rimossi, contraddittori, che permettano di salvaguardare una realtà plurale e plurigenerativa. Per Carl Einsten il compito dell'arte è quello di “infrangere la standardizzazione causale del mondo e la suggestione del dato”. Molte delle esperienze e delle persone raccontate in questo spazio si confrontano con questa linea di pensiero.

In noi, mio caro, ci sono molte logiche in lotta tra loro e da questo conflitto scaturisce l'alogico. Non si lasci illudere da alcuni filosofi difettosi, che ciarlano continuamente sull'unità e sulle interrelazioni tra le varie parti, sul connettersi al tutto. Non siamo più così poveri di fantasia, da affermare l'esistenza di un Dio. Ogni vergognoso piegarsi ad una unità è soltanto un appello alla pigrizia dei nostri simili. Faccia attenzione Bebuquin. Innanzitutto la gente non sa niente sulla costituzione del corpo. Si ricordi gli ampi mantelli luminosi dei santi negli antichi dipinti e abbia la compiacenza di prenderli alla lettera. Ma questi sono luoghi comuni. Il miracolo, mio caro è ciò che le manca. Si rende conto ora perché scivola via da ogni genere di cosa? Lei è un visionario senza i mezzi adeguati. Anche io cercavo il miracolo. (…) Dopo la mia felice dipartita ho capito una cosa. Lei è un visionario; lei infatti non ha capacità sufficienti. Il fantastico è certamente una questione sia di contenuto che di forma. Ma non dimentichi una cosa. I visionari sono gente che non giungono alla definizione di un triangolo. Non si può dire siano simbolisti. Ma in nome di Dio, a loro questo dilettantismo è necessario. Non hanno mai visto due esseri umani, mai una foglia. Pensi ad una donna sotto a un lampione; un naso, un ventre illuminato, null'altro.

Carl Einstein, Bebuquin o I dilettanti del miracolo


Near Future Education Lab

Un caso è quello dell'ISIA – Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Firenze, in cui, in seguito ai tagli e alla minaccia di chiusura della scuola, gli studenti e i docenti, hanno trasformato la loro vocazione allo studio del Design, nell'esperimento di una una forma radicale di apprendimento, paritario, orizzontale, militante, che ha l'apprendimento stesso come materia d'indagine. Attraverso le fonti messe a disposizione da questo gruppo di lavoro e pubblicate sul blog e alimentato sulle pagine Facebook Near Future Education Lab e su un board in Pinterest, veniamo a conoscenza di una molteplicità di casi d'innovazione, di ridiscussione, di reinvenzione delle modalità educative. Il senso di questo progetto mette in evidenza, nei modi e nelle informazioni raggiunte, che la riforma dal basso di cui si è parlato all'inizio è un sistema già molto avanzato che produce soluzioni e che persino valuta sé stesso. Un sistema complesso sul piano formativo, non sminuisce ne' trasfigura le competenze di un docente, ma anzi le potenzia: il caso di Firenze non sarebbe stato possibile se, a porre il seme della discussione, non fosse stato presente un artista come Salvatore Iaconesi. Di questo attivissimo ricercatore fa gioco qui ricordare il suo discorso iniziato nel 2012 con l'apertura del progetto di Cura Open Source, contemporanea alla diagnosi di tumore al cervello. Da qui si è generata una piattaforma digitale in cui sono indicizzati tutti gli argomenti riferibili alla cura, condivisi con tutti gli utenti che spontaneamente hanno aderito alla piattaforma o scritto per partecipare al concetto di cura, per consigliare, per interpretare il male, per definire le strade possibili del bene, per dire qualcosa che sanno. E' la cura stessa a dover essere ridefinita. Come recita il sito infatti occorre: “cambiare il significato della parola "cura". Possiamo trasformare il ruolo della conoscenza. Possiamo essere umani”. Questo è un altro processo, coerente con quanto detto sinora, di resistenza all'istituzionalizzazione dei saperi, ai suoi specialismi, un altro tentativo di aprire un varco alle competenze della sfera umana, fatte di sensibilità, di saperi rituali, liturgie, familiarità, di credenze, di domande che non hanno alcuna possibilità di risposta, di bisogni con la caratteristica dell'immediatezza che non sono riducibili a protocolli o gerarchizzazioni imposte.

Francesca Marianna Consonni ha diretto il dipartimento educativo della Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate, oggi MAGA. E' curatrice di mostre e workshop, co-direttrice di IN-Deposito Malpensa dedicato alla parte non funzionale degli archivi degli artisti contemporanei. Nel 2010 è entrata in PhoebeZeitgeistTeatro come curatrice e dramaturg.