Coltivare l’eccezione e non la regola
Questo intervento è in forma di dialogo tra Lisa Mara Batacchi e Lapo Binazzi , una giovane artista e un esponente di spicco dell’architettura radicale fiorentina degli anni ’60; due figure che da qualche tempo si incontrano quasi quotidianamente, e casualmente, a Firenze nello stesso bar nei pressi dei loro rispettivi studi, alla stessa ora, lei per fare colazione e lui per l’aperitivo.
Ne è nato un ponte ideale tra due generazioni, un rapporto di mutuo scambio e di collaborazione intorno al tema dell’oggetto e del progetto nel tentativo di riportare un equilibrio tra noi e le cose. Una questione di lungo corso, questa, che rimanda all’utopia di cinquant’anni fa, quando il primato della funzione e dell’economia furono sconvolti dall’irruzione festosa dello “sperpero”: un bisogno di immaginazione come esperienza politica.
Dietro al nichilismo progettuale dei “radicali” stava il marcusiano bisogno di riscatto del “principio di piacere” su quello di “prestazione”, in un disegno di rivoluzione globale. Al centro una trasversalità dei ruoli, delle discipline, delle professioni, dei linguaggi, come già Andrea Nacciarriti ricordava nel suo
intervento.
“Eravamo specialisti in binari morti”, dice Lapo Binazzi in questa conversazione e la domanda che la attraversa è: se l’utopia è una bottiglia girovaga è arrivata a noi? E in che modo chi la raccoglie oggi può restituirla al mare affinchè essa non cessi di esercitare la sua spinta propulsiva?
Ermanno Cristini
Lisa Batacchi: poi quando torno da Milano dovremo iniziare a pensare al testo da scrivere per Voglia di ’68…
Lapo Binazzi: così come è impostato mi sembra una bellissima biografia. In pratica è come se io ti avessi affidato un messaggio nella bottiglia che dopo tanto peregrinare è approdata sulla spiaggia ‘after the bomb’ e tu, nuova rappresentante giovane del genere umano, dotata del culto della memoria propria della tua specie, ti sia autoincaricata di una ricostruzione affascinante e improbabile. Perché bisogna “oggettivarsi” come diceva Flaubert che in fin dei conti “Madame Bovary c’est moi”.
Lisa: quindi senti una certa identificazione fra me e te? Anch’io in effetti l’ho sentita… Una sorta di anima gemella ritrovata.
Lapo: naturalmente, è ovvio.
Lisa: sorrido perché tutto con te accade così spontaneamente (e credo che il nostro testo sia già iniziato)!
Ma come facevi a sapere nel ’68 che sarei arrivata?
Lapo: perché questo rientra nel supremo ordine delle cose passate, presenti e future.
Lisa: in effetti sei entrato nella mia vita inaspettatamente… Proprio al momento in cui dovevo prendere delle scelte importanti e non sapevo cosa avrei fatto da ‘grande’ di tutti i miei ideali.
Ho sentito una forte vicinanza con te per la moltitutide di attività parallele, di architetto, designer, artista, che hai sempre portato avanti con molta tenacia.
Lapo: e forse soprattutto perché sono sopravvissuto a tutti i fallimenti per ritrasformarli qualche volta a mio favore.
Lisa: per questo mi sono sentita confortata e stimolata da te a continuare a sognare il mio futuro in qualsiasi forma si possa evolvere senza pormi dei limiti.
Avevo una forte necessità di riprendere in mano alcune mie predisposizioni pratiche, come la maglieria o la moda, ma viste attraverso il mio sguardo d’artista.
Lapo: invece io non aspettavo altro che una gentile fanciulla come te mi copiasse l’anima a futura memoria. L’anima è la carta carbone. Sempre ammesso che l’anima esista!
Lisa: mi sembra che sia importante per entrambi cercare di riportare un nuovo equilibrio fra noi e le cose osando e senza avere paura di tenere insieme funzionalità e utopia, politica e poetica.
Lapo: bisogna avere la forza di pensare i contrari e di tenerli insieme.
Lisa: sei anche tu taoista come me!
Lapo: io sono proprio affascinato da questa espressione!
Lisa: mi viene da ripensare al tempo trascorso insieme ancora più intenso a partire dal momento che ti ho proposto di realizzare un capo in maglia ispirato dai nostri incontri, discussioni e infine da un tuo disegno che mi ha permesso di entrare in sintonia con il tuo mondo colorato. Colori che adesso sento anche come miei e che percepisco intorno a noi quando siamo allegramente insieme, magari davanti a un panino e a un bicchiere di vino.
Lapo: mi fa venire in mente che ricevo telefonate o mi vien voglia di telefonare stranamente quando suonano le campane di Santa Croce, a mezzo giorno, come se fossero due eventi inscindibili e il campanaro sapesse che mi rompe i coglioni!
Lisa: mi fai ridere! I giovani si sono davvero ingrigiti oggi… Pensare che mi sento più coetanea con te che con tanti altri ragazzi/e della mia generazione. Come è stato possibile tutto questo? Dove sono finite le vostre utopie?
Mi domando, ripensando alla metafora della bottiglia girovaga, come questa sia arrivata a voi… Si è tanto sbattuta fra le onde e si è poi liberata spontaneamente... E’ così? Intendo dire se, oltre al contesto di fine anni ’60 primi anni ‘70, ci sono stati altri motivi, incontri, come nel nostro caso generazionali, o riferimenti?
Lapo: non lo so, so per certo che era un momento che raccoglieva lo sviluppo delle nostre personalità con il nostro il vissuto, con gli stessi ideali che ci portavano a condividere il bisogno di immaginazione come esperienza politica.
Tutto questo in noi nasceva già dai gruppi di studio al liceo, prime forme di lavoro in equipe, e poi dal ’61 alla facoltà di architettura con i gruppi omogenei. Quindi gli anni ’60 sono stati in definitiva un gigantesco laboratorio collettivo, allietato dalla musica dei Beatles, Rolling Stones e di altri, confortati anche dallo sbarco della pop art e prima ancora dei beatniks. E’ da questa situazione, molto favorevole, che nascono i gruppi dell’architettura radicale.
Lisa: un clima allegro, molto colorato come del resto lo erano i vostri lavori anche se affrontavate tematiche molto importanti e tutt’ora attuali. Partendo dal vostro quotidiano avete dato una nuova lettura ai luoghi a voi familiari con interventi collettivi invadendo strade, piazze, e trasformando la realtà anche se solo per la durata di un happening. Sembra incredibile che tutto questo sia successo a Firenze!
Lapo: eppure è accaduto e sembra che, come ha detto Isozaki ( 1 ) sia potuto accadere a partire dall’alluvione di Firenze che fece una tabula rasa.
Tieni presente che nascevano anche in quel periodo l’arte concettuale, l’arte povera, la land art, gli happening, il design e tutto era così maledettamente interessante. Saltavamo da una forma all’altra senza porci limiti.
Oggi tutto questo è acquisito e ci sembra che la multimedialità sia un fatto naturale. E’ all’interno di questa rete globale e infinita che diventa possibile, anzi indispensabile, definire l’identità del proprio lavoro e della propria identità come artisti.
Lisa: mi rendo conto che la bellezza di questo tipo di esperienza collettiva che avete messo in atto è davvero un regalo che avete fatto a voi stessi e agli altri, una coincidenza astrale le cui tracce sembrano proiettarsi ancora fino ad oggi…
Ma chi sa il futuro cosa ci riserverà e cosa faranno le prossime generazioni per proteggere la centralità dell’essere in un mondo in preda all’industrializzazione e a sistemi di potere che cercano di portare l’individuo a spersonificarsi e a standardizzarsi?
Lapo: è importante dare valore al vissuto. Una sorta di preparazione a certi fenomeni che se uno non li enuclea, il mondo non li registra.
Lisa: sento forse per questo un forte desidero di tornare alla manualità, al fare artigiano continuando con questi mezzi ad esplorare i rapporti e gli equilibri fra le persone piuttosto che orientare la mia creatività al prodotto massificato.
Lapo: l’utopia radicale ha funzionato per un lunghissimo tempo, perché forse dalla nostra generazione, quella del dopo guerra, la società si aspettava una palingenesi.
L’arte oggi non ha più bisogno di giustificazioni. È una ricerca pura, che non ha bisogno di funzionalità. Penso che sia bellissimo che l’arte si sia conquistata questi spazi e territori ma noi abbiamo sempre sentito la necessità di entrare all’interno di essa per sconvolgerla scoprendo nuove funzioni e dando vita ad oggetti strani e improbabili. E così siamo diventati degli specialisti dei binari morti e questa si è rivelata dopo anni la nostra fortuna. Il futuro ora è vostro, adesso sta a voi.
(1) A. Branzi, La casa calda, ed. Idea Books, Firenze, 1984
Lisa Batacchi, nata a Firenze nel 1980. Artista italoamericana, si forma all’Istituto Polimoda con una specializzazione in maglieria. Lavora come designer per varie aziende di moda fra cui, esperienza più significativa, Vivienne Westwood Ltd. a Londra (2003-2004). In quel periodo, dopo un viaggio in Cambogia, decide di dedicarsi completamente a progetti che privilegiano la relazione e il valore sociale dell’esperienza artistica. Studia in seguito pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze e partecipa a workshop tenuti da Tania Ostojic, Belgrado (2007), Grzegorz Kowalski, XIV Biennale Internazionale di scultura di Carrara (2010), Liliana Moro, Summer Academy, Salisburgo (2010) e a residenze ‘Incontri ad Eèa’, Isola di Ponza (2013), ‘Come vogliamo vivere’ con Lu Cafausu, Free Home University (2014). Il suo fare creativo si dipana fra storie dove il privato diventa pubblico e viceversa passando dal disegno, video, fotografia a performance, interventi di arte pubblica e collettivi. In parallelo dal 2012 gestisce SomethingLikeThis, un artist run space a Firenze dove cerca di attivare dialogo e interazione con personalità affini per coincidenze di ideali e valori.
Lapo Binazzi, nato a Firenze nel 1943, si laurea in architettura a Firenze nel 1971. Con la fondazione degli UFO (1967), è tra gli iniziatori della sperimentazione ‘radical’ italiana. Mente creativa e figura guida del gruppo, oltre alle numerose performance e interni realizzati, nel 1973 è con gli UFO tra i fondatori della Global Tools. Nel 1975 fonda l’atelièr-laboratorio di nuovo artigianato Casa ANAS, in cui vengono create piccole serie e pezzi unici di lampade ora presenti nelle collezioni di design dei più importanti musei. Come designer partecipa nel 1979 alla fondazione di Alchimia a Milano. Con il gruppo UFO parteciperà a numerose mostre internazionali come La Triennale di Milano (1968) e (1973), la Biennale di Parigi (1971), Design als Postulat di Berlino (1973), la Biennale di Venezia (1978), Design by Circumstances di New York (1981), Guggenheim Museum New York (1994), Triennale di Milano (1996), Biennale di Venezia (1996). Dopo lo scioglimento degli UFO (1978), Binazzi continuerà a curarne l’immagine, la produzione e gli archivi. Importante, oltre alle produzioni di performance, filmati, libri d’artista, la sua attività critica che si esprime con scritti e architetture. Fra le mostre più recenti, una monografica degli UFO al Museo Pecci di Prato (2011) e una sua performance a Base, Firenze (2014).
Questo testo è parte del dibattito "Voglia di '68?" avviato da Ermanno Cristini sulle pagine di UnDo.Net, a cui stanno contribuendo artisti e curatori...
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