Pietro Pastore
Caterina Sbrana
Giulia Bonora
Domenico Grenci
Lorenzo di Lucido
Matteo Beltrami
Alice Colombo
Luigi Leonidi
Silvia Cicconi
Dominique Vaccaro
Grazia Tassi
2mq e' l'area espositiva destinata a ciascun artista presente. L'obiettivo e' quello di riunire 10 giovani artisti in un'unica mostra che ha come comune denominatore soltanto le dimensioni dello spazio.
a cura di Grazia Tassi
Sabato 10 aprile, alle ore 17.30, Amphisbæna Studio d’Arte Contemporanea inaugura la mostra
collettiva 2mq x uno.
Il titolo gioca sul tema stesso della mostra: 2mq. è infatti l’area espositiva destinata a ciascun
artista presente. L’obiettivo di questo progetto, è quello di riunire dieci giovani artisti che
collaborano con la galleria, in un’unica mostra che ha come comune denominatore, per ognuno,
soltanto le dimensioni dello spazio fisico a disposizione.
Questo, dunque, il fil rouge capace di affiancare, attraverso opere realizzate appositamente per
l’evento, espressioni visive assolutamente diverse tra loro, permettendo comunque a ciascuna di
mantenere la propria individualità ed identità.
Così Pietro Pastore, nell’impiego di tecniche differenti quali l’esercizio dell’acquerello su tela
di cotone, analizza le forme della natura, spesso ingigantendone i particolari. In questa osservazione
interna, dilatata e inusuale, una mela spaccata a metà, una foglia adagiata o un anemone
spampanato, perdendo la propria misura e la propria struttura, assumono un’irruenza delicata, una
inaspettata apparenza, quasi antropomorfa, mentre un dettaglio del corpo femminile, si fa segno
indefinito tra altri fluttuanti.
Il lavoro presentato da Caterina Sbrana consiste, invece, nella riproduzione dell’opera “La
grande zolla” di Albrecht Dürer del 1503. Il soggetto, ripreso dalla Sbrana attraverso il proprio
linguaggio artistico, è qui realizzato utilizzando come strumenti le dita, a diretto contatto della tela,
e come colori gli elementi della terra. Così il fango, insieme alla clorofilla estratta dalle foglie, si
trovano a rappresentare, in maniera volutamente tautologica, la natura stessa, e, nell’imitazione
calligrafica del segno di Dürer, a vivificarlo ulteriormente, vestendolo della sua essenza.
Giulia Bonora basa la propria composizione sul concetto di vergogna, “Verecúndia” appunto.
L’espressione visiva di questo sentimento acquisisce, per l’artista, la forma di un’opera composta
musivamente da quaranta lavori. Costituiti da una facciata di carta colorata, stazzonata e vissuta,
provata, come la vergogna stessa, ciascuno di essi cela dietro la superficie un oggetto. Coperto,
nascosto e dissimulato, tuttavia esso rimane, come una pecca, resiste, si intravede, segue ogni
sguardo, segna ogni privato imbarazzo.
Le opere di Domenico Grenci rivelano, aprendosi a libro in una struttura a dittico, due profili
femminili. Legati formalmente ad una superficie di seta e velluto, pare che, come un cofanetto
privato e prezioso, il tessuto pregiato nasconda, protegga e sveli i ritratti, la cui bellezza espressiva è
definita dal bitume. Emergendo liquidamente dal fondo della tela, o ancora più giù, districandosi,
liberandosi dalle trame seriche buie e avviluppate, i volti conquistano la luce e carpiscono lo
sguardo di chi osserva.
Lorenzo di Lucido, elabora, attraverso “Patientia” e “Dromos”, indagini sulla superficie. Le
immagini scelte, ritratti o vanitas, sono quasi pretesti, accadimenti messi insieme, funzionali ad
un’osservazione sperimentale. Di Lucido, ispirato dallo studio di un’opera del Tintoretto
sopravvissuta ad un incendio, agisce sulla tela operando un rischio. Dipingendo le immagini e
ricoprendole con uno strato nero, le oscura e le rivela al tempo stesso: egli uccide così la pittura, per
mezzo della pittura stessa, per poi resuscitarla, accogliendo l’incertezza di un evento quasi luttuoso,
accettando un controllo limitato sul caso.
Matteo Beltrami, in un allestimento composto da tele e disegni, crea un altare dedicato al tema
dell’infanzia. Quella dell’artista stesso, rivissuta nelle immagini dei personaggi camuffati, del
cavallo di legno, dei giochi domestici, ma anche, più lontano, la fragilità puerile di un’adolescenza
mascherata, o quella nascosta ed evidente della società. Sopra a tutto impera il caos rutilante dei
cromatismi accesi e densi, ordinato e ricomposto dai segni netti e decisi, propri dell’alfabeto
iconografico dell’artista.
Anche Alice Colombo descrive l’età dell’infanzia, ma la sua è un’osservazione privata,
solitaria. Nelle sue opere, ambienti apparentemente domestici, familiari, rivestiti di una rassicurante
carta da parati gigliata, sono abitati da una sola bambina. Lontana dal resto, in un silenzio desolato e
in una distanza che sembra possa essere interrotta da un filo, da un telefono per una comunicazione,
l’esterno irrompe nella scena attraverso un ramo d’albero, spezzando, attraverso una forma di vita,
una sospesa attesa malinconica.
Interpreta beffardamente alla lettera il titolo della mostra Luigi Leonidi. Attraverso un duplice
Paperino di disneyana memoria prende, infatti, le misure dello spazio a disposizione. Tuttavia dello
spensierato divertimento fumettistico, l’opera di Leonidi trattiene poco. Si può piuttosto parlare, a
riguardo, di ironia sarcastica, di un’osservazione drammaticamente realistica e complessa della
realtà contemporanea, nella quale la piacevolezza di un’iconografia perfettamente fedele a quella
dei personaggi della nostra infanzia, non fa che acutamente accentuare lo stridore con l’umanità
sofferta delle loro espressioni facciali.
Silvia Cicconi, in “Tempo off”, indaga con la fotografia un momento ed un vissuto passato,
trascorso, appartenuto ad altri. Tuttavia, tramite il recupero di un vecchio fotogramma, l’artista fa
risorgere quel frammento temporale. Con l’intervento di un’aureola, l’elemento più nitido inserito
su un’immagine sgranata o segnata dagli anni, dichiara la scomparsa delle persone che intimamente
abitarono quell’attimo, ma al contempo li riporta alla vita, alla nostra vita, ridando valore a quel
loro momento privato, concedendoli ad un’attenzione visiva nuova e contemporanea.
Infine, i collage di Dominique Vaccaro si possono definire equilibri estetici. Composti da
materiali vari, insetti, carte di recupero, assemblati tra loro, sovrapposti, acquisiscono un’armonia
cromatica, di misure, di sagome. In questa stratificazione controllata, la superficie perde l’identità di
ogni singolo elemento, per divenire un’opera astratta, tuttavia dotata di una sua forma, di un preciso
verso, in cui l’equilibrio asimmetrico ne tiene in bilico l’organica eufonia.
Matteo Beltrami è nato a Reggio Emilia nel 1980. Vive e lavora a Reggio Emilia.
Giulia Bonora è nata a Ferrara nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Silvia Cicconi è nata a Maitland (Australia) nel 1986. Vive e lavora a Bologna.
Alice Colombo è nata a Cassano D’Adda (Mi) nel 1981. Vive e lavora a Milano.
Lorenzo Di Lucido è nato a Penne (Pe) nel 1983. Vive e lavora a Penne.
Domenico Grenci è nato ad Ardore (RC) nel 1981. Vive e lavora a Bologna.
Luigi Leonidi è nato a Bologna nel 1970. Vive e lavora a Bologna.
Pietro Pastore è nato a Barletta (Ba) nel 1983. Vive e lavora a Bologna.
Caterina Sbrana è nata a Pisa nel 1977. Vive e lavora a Pisa.
Dominique Vaccaro è nato a Lungro (Cs) nel 1980. Vive e lavora a Bologna.
Inaugurazione sabato 10 aprile, ore 17.30
Amphisbaena - Studio d'Arte Contemporanea
Via Mascherella, 36 Modena
Lunedì - Sabato 10.30-12.30 / 17.30-19.30; giovedì e domenica chiuso
ingresso libero