Verso Bergamo. Un omaggio dell'artista a Ives Klein attraverso una serie di dipinti, carte, oggetti d'arredo che ripropongono all'osservatore l'idea di Klein che l'analisi dell'esistente si possa affrontare attraverso un'unica lente, quella del blu oltremare.
Specchiarsi in un paesaggio
Di Anna Caterina Bellati
Nel 1992 Mario Paschetta sceglie la pittura come filtro per guardare il mondo. A dire il vero le sue mani non erano nuove a mescolare colori per buttarli sulla tela e ricavarne paesaggi. A 14 anni già gli piaceva giocare alla copia dal vero, di sicuro iniziato da suo padre, collezionista attento che amava frequentare a Milano le ultime propaggini di Corrente i cui figli ideali bazzicavano ancora il Bar Jamaica, a Brera. Ma per tre decenni il piacere di dipingere resta quasi un segreto. Poi il salto di corsia. Paschetta pianta tutto e decide che sarà artista o nient’altro. All’inizio degli anni Novanta comincia dunque la sua indagine sulla materia e i differenti materiali che si possono impiegare nel fare arte. I risultati sono lavori che risentono dell’influenza di artisti come Burri, Crippa, Mattioli. Subito si accende l’interesse intorno alle sue tele organizzate secondo i canoni dell’astrazione, mentre la sua poetica che vortica intorno a un paesaggio primordiale suscita il plauso anche di un artista come Trento Longaretti. I Landscapes di questo periodo contengono intera la struttura di ciò che produrrà negli anni a venire.
Le sue convinzioni artistiche riducono all’osso la rappresentazione che tuttavia risulta a un primo sguardo riconoscibile e se a un vecchio paio di jeans inglobati nella materia pittorica, cui vengono aggiunte sabbia, malta, terra e colla, si affida il compito di raccontare gli anfratti di una collina, un solo albero impervio accennato in cima a una roccia basta a rappresentare un bosco. Riassuntivo e magmatico, il lavoro di Paschetta si nutre del sogno di una pittura capace di collegare il nascere e il morire di una foglia come di un animale, di un uomo come di una pietra. Quel che resta è comunque e sempre la terra. Nel 2001 al Museo Nazionale di Arte Moderna di Gazzoldo degli Ippoliti (Mn) comincia il decennio febbrile che lo vede protagonista in numerose personali e importanti collettive. Un percorso senza soste quasi a voler rimontare il tempo perduto altrove, lontano da pennelli e colori e da quell’inquietudine sottile che obbliga a provare e riprovare un tema fino a conoscerne ogni segreto ritaglio. Anche in questa esposizione a Palazzo Furietti le lande desolate in cui il terreno si spacca in drammatiche fenditure, dove qua e là affiorano le jute grezze dalle quali Paschetta prende l’avvio per costruire i suoi mondi, rappresentano la parte centrale della mostra. La materia addensata in luci e ombre si ammanta di verdi acquei o di marroni rossastri con addosso un barlume di tramonto. Ovunque un silenzio irrequieto fa sentire che niente è immobile e si intuisce come la calma apparente del luogo ritratto nasconda i germi di future esistenze.
Già in altre occasioni mi è sembrato importante sottolineare quanto questa pittura sia espressione del tempo presente, luogo fisico e mentale della nostra razza arrivata a un bivio, continuare a distruggere o riconciliarsi con il proprio pianeta e limitare i danni. Ma per decodificare il mondo desertificato di Paschetta bisogna tornare indietro, fino a Cézanne. L’orizzonte basso che propone le mille possibili varianti del cielo sopra la nostra testa ha a che fare con il modulo del grande francese per il quale la pittura doveva saper dire la sostanza delle cose esistenti, mediata dalla forza della natura. Dopo quasi vent’anni di lavoro senza pause, questa mostra allestita in diverse sale propone una sintesi delle ricerche di Paschetta. E non per caso si chiama Verso Bergamo. Nel titolo fondamentale non è tanto il nome della città, ma quel verso che dice bene lo sviluppo di un percorso in cui si raccontano i paesaggi, l’avvicendarsi di montagne e vallate, di case, strade, umori, incontri e sapori assaggiati per via. Così il visitatore potrà ammirare la morbidezza di certi controluce, la freschezza di certe piane illanguidite dai toni dell’alba, scorci reinventati nei quali è possibile riconoscere un luogo preciso perché un semplice tratto recupera alla memoria quel posto che ci è noto. La mostra propone inoltre i grandi monocromi bianchi e neri. La passione per i monocromi si è venuta formando con il tempo. Paschetta è partito da una pittura materica nella quale convivono molti materiali che una volta inglobati si trasformano in un’altra cosa, la cerniera di un paio di jeans può indicare per esempio un sentiero di montagna, ma oltre alla farragine materica anche il colore nei primi anni variava nella tavolozza appropriandosi della gamma dei rossi o dei verdi o dei blu.
La maturazione dell’artista lo ha condotto a intraprendere un cammino a ritroso. Il tutto bianco o il tutto nero tolgono la riconoscibilità immediata delle cose ma le collocano in un mondo ideale che le rende eterne. Il profilo di certe montagne dipinto nei toni canonici dei marroni, delle terre, dei verdi assume un solo e unico significato, si tratta di quella precisa montagna, ma una volta diventata tutta bianca o tutta nera assumerà una nuova valenza temporale e sarà allora la montagna, con tutte le sue possibili storie geofisiche, morfologiche, filosofiche, religiose. Inoltre proprio l’azzeramento del colore enfatizza due aspetti sostanziali dell’essere nel mondo, la nostra caducità rispetto alla durata della natura e il nostro bisogno di certezze. E se il colore permette di sentirsi a casa perché rispetta ciò che conosciamo di quel che ci circonda, la sua mancanza ci mette di fronte ai grandi temi della teoretica, il pieno il vuoto, la vita la morte, la presenza l’assenza, il bianco il nero. Perciò i monocromi della mostra in questione invitano a riflettere al di là dell’impatto visivo e a specchiarsi dentro quel che sappiamo o non sappiamo di noi stessi e del nostro posto sulla terra. Con in più una sorpresa. La stanza blu dedicata a Yves Klein. Dipinti, carte, oggetti d’arredo ripropongono all’osservatore l’idea di Klein che l’analisi dell’esistente si possa affrontare attraverso un’unica lente, quella del blu oltremare nel quale aveva aggiunto del nero e del rosso fino a ottenere un nuovo blu, che in arte oggi chiamiamo appunto blu Klein. L’omaggio di Paschetta non vuole essere serioso, ma un divertissement che induca il visitatore a inforcare un pio di occhiali speciali per guardare il quotidiano da un nuovo punto di vista. Quando, due anni fa, portammo questa installazione in una grande mostra collettiva a Chiavenna, un giorno un bambino di quattro anni che visitava la mostra con i compagni e la sua maestra mi disse, “Sembra proprio di stare dentro il cielo”.
Anna Caterina Bellati
Venezia, aprile 2010
Inaugurazione: domenica 16 maggio 2010, ore 10.30
Palazzo Furietti Carrara
via Vittorio Veneto - Presezzo (BG)
Orari di apertura: venerdì ore 19 - 21.30, sabato e domenica 9.30 - 12.30 e 15.30 - 19.30
Biglietto: ingresso gratuito