Metascreen e' la prima mostra collettiva della galleria, che apre un dialogo sperimentale neo-analogico tra Andreas Angelidakis, Travess Smalley e Priscilla Tea.
Gloria Maria Gallery è lieta di presentare Metascreen, prima mostra collettiva della galleria, che apre un dialogo
sperimentale neo-analogico tra Andreas Angelidakis, Travess Smalley e Priscilla Tea.
Andreas Angelidakis è un architetto che vive e lavora in Grecia, ad Atene, dove ha uno studio dedicato alla
costruzione, alla progettazione e all’investigazione di una sorta di ecosistema contemporaneo fatto di schermi e
paesaggi. Formatosi come architetto, il suo lavoro si muove in una zona indefinita tra arte e architettura, tra il
mondo fisico e quello del web, tra il reale e l’utopia. Il suo lavoro indaga il rapporto tra l’uomo e l’architettura, sia
questa reale, immaginata o esistente in rete, spesso esplorando i confini incerti tra realtà e fiction.
I medium utilizzati sono i differenti sistemi inseditaivi, gli edifici, gli spazi e gli oggetti. Spesso restituiti attraverso
forme molteplici come il video, computer animation, stampe 3D, ma anche spazi reali, spesso commissionati, e
funzionanti. Negli ultimi anni si è occupato della progettazione di comunità online, spazi espositivi (Biennale di
Atene, MUSAC, Fargfabriken), senza mai abbandonare la scrittura, i blog e l’insegna- mento.
Travess Smalley, artista newyorkese, sperimenta incessantemente formati .jpeg e .gif. Nel suo lavoro la solida
distinzione tra la parte ed il tutto viene meno. Ogni elemento del suo mondo digitale pare essere perpetuamente
catturato nell'attimo del divenire qualcosa d'altro da sè, ed il suo lavoro diventa cosi un movimento dialettico.
Smalley è membro dei collettivi internet Loshadka e Computers Club e, nel 2009, ha fondato assieme a Max
Pitegoff, la Poster Company, un progetto seriale composto da 200 dipinti digitali.
Priscilla Tea è una giovane artista che vive e lavora a Milano. Le sue tele, di grandi dimensioni, sono il risultato di
una collisione tra segni di matrice digitale e gestualità, ed il suo interesse è rivolto all'idea di una pratica pittorica
post-internet. Il lavoro di Priscilla si focalizza sull'utilizzo di layers, stratificazioni asettiche che negano o rivelano,
elementi asintotici e ricorrenti che trovano la loro origine formale nel paesaggio dello screen.
Ogni tela rappresenta una parte del progetto di ricerca continuo e progressivo che conduce la pittrice milanese
ad una personalissima evoluzione pittorica di carattere neo-analogico.
Metascreen
Adesso che tutti sembrano essere assoggettati alla ‘dittatura illuminata’ del digitale, alcuni di noi hanno scelto di
remare contro, voltare pagina scegliere l’alternativa del quasi-analogico.
Tornare del tutto all'analogico è impossibile. La cosa ci richiederebbe di abbandonare la cosiddetta GDR, ovvero
la nostra Descrizione Globale della Realtà che è, appunto basata sull'enorme e ormai inevitabile processo di
digitalizzazione iniziato - due mila anni fa - con la categorizzazione e attribuzione di nomi, diffuso poi ovunque
con l’invenzione della parola scritta.
Le radici del digitale sono racchiuse nella semplice istruzione:
“questa è una porta”
“sì” (1) vs “no” (0)
Accettare questa istruzione richiede di scegliere tra 0 e 1 e poi condividere questo sapere con gli altri. E che si
sia manifestata a noi per intervento divino o per genio umano non c'è dato saperlo, comunque è stata presa sul
serio per secoli. Al giorno d'oggi se ti ostini a nominare le cose con termini “strani”, che non rientrano nella
norma o che vengono di solito utilizzati per indicare altro, vieni preso per matto, o, ancora, nel migliore dei casi,
pensano che stia usando metafore. O magari che tu stia “facendo arte”. L'arte si è, infatti, costruita una nicchia
tutta per sé, proprio per ricordarci che tutte queste definizioni logiche sono relative e irrilevanti.
Oggi abbiamo bisogno di arte più che mai perché con tutti questi computer e network il digitale rischia di
diventare per noi una gabbia, un vicolo cieco.
Bisogna osservare il digitale da un punto di vista alternativo, altro, scoprire ciò che si nasconde dietro alla sua
fredda superficie, perché se ci si ferma a questa ciò che ci aspetta, è solo un futuro miserabile.
“L'estetica della rete non comunica più mediante il soggetto di un'opera d'arte bensì attraverso il metodo che
noi adottiamo nel costruire quest'opera”- ritiene la giovane artista milanese Priscilla Tea, riferendosi agli artisti
della generazione che precede quella cui lei appartiene e che si sono per lo più dedicati alla rappresentazione
dell'ambiente dello schermo del computer.
Ecco, io sono uno di questi, di quelli che hanno creato opere pittoriche nei quali invece di una mela o una
chitarra trovi un sito internet, una finestra Skype o, ancora, un'immagine che risulta chiaramente da una
manipolazione Photoshop.
Le pitture di Priscilla Tea sono ben lontane da quest’ approccio eppure in qualche modo “sanno di computer”.
Priscilla passa molto tempo a disegnare al computer dei primissimi patterns, a volte estratti da fotografie
precedentemente scattate, altre realizzandoli di getto. L'artista, spesso li fa ‘evolvere’ fuori e dentro dal suo
Mac, a volte facendoli ‘sgocciolare’ in un programma di elaborazione grafica per poi recuperarli, ruotarli di 90°
gradi e, infine, trasferirli su tela.
E’ una cosa semplice, e nonostante la loro “origine digitale” e il fatto di essere la risultante di una serie di “calcoli
estetici”, il nostro sguardo è però capace di leggere l'oggetto finale non come una mera “istruzione”- come
spesso accade per la gran parte dei lavori degli artisti contemporanei: buffo/scandaloso/interessante/noioso/già
fatto - ma come un pezzo di “meraviglia analogica”, un'opera di Metascreen.
Con il termine Metascreen, vogliamo parlare di un tempo futuro, in cui non ci saranno più schermi
disseminati ovunque attorno a noi, e accenniamo a tutto quel materiale visivo e sonoro, che contiene
riferimenti (mental tags) al paesaggio dello schermo di un computer.
Pensando proprio a questo materiale, mi viene in mente Travess Smalley mentre naviga per la rete alla
ricerca di tali riferimenti. Quel che trova, lo colleziona con la stessa passione di un giovane Jannis
Kounellis che ha scovato una sbarra arrugginita di un binario ferroviario e impaziente la porta nel suo
studio per poi passare settimane a contemplarla.
Travess, non è affascinato dalle possibilità offerte dai vari new media, che prosperano oggi nel net, come
Kounellis ai suoi tempi, vuole piuttosto marcare la sua posizione sullo stato delle cose.
Travess poi appartiene già al Second Wave, ovvero una generazione di internet artists che si sentono
molto più “artist” che “internet”, a differenza della primissima ed impegnata “network avangard”, degli
inizi del XXI secolo - che include artisti come Rafaël Rozendaal, Angelo Plessas, Harm van den Dorpel e
Nikola Tosic, per citarne alcuni.
Questa prima generazione, sia dimostrando apertamente la sua fede al Net- come Rozendaal che è
arrivato persino a tatuarsi la parola “internet” in bocca - sia cercando di nascondersi e comportandosi
come “comuni artisti concettuali” come Van den Dorpel, resta pur sempre “dalla parte del net”.
Ora, se si analizzano i dati a disposizione in modo più specifico, senza soffermarci sulle ragioni personali
degli artisti, ci accorgiamo che questo movimento all'indietro, dal gusto quasi retrò, non è altro che il
percorso attraverso il quale si sviluppa l’informazione stessa!
L'informazione chiede, più di ogni altra cosa, di essere copiata e non ha nessun tipo di problema nel
passare attraverso canali più tradizionali - come per esempio le strutture educative - per ottenere quello
che desidera.
Non è allora un caso che la maggior parte degli artisti che fanno parte di questa Seconda Ondata
abbiano frequentato Istituti d'Arte, leggano regolarmente riviste di settore e hanno una solida cultura in
materia di storia dell'Arte Moderna e Contemporanea a differenza di quelli della prima generazione le cui
conoscenze artistiche, semmai ne avessero, avevano una matrice puramente autodidatta.
Per “i primi”, infatti, sapere la Storia dell’Arte non era necessario e non interferiva con il loro lavoro perché
Internet era inteso come qualcosa di totalmente autosufficiente, uno “spazio” più che “materiale”.
Ritornando a Metascreen, idealmente, il passaggio dallo schermo a una sua versione meta significa
sfuggire di colpo dall’incubo dagli schermi - nel corso del mio ultimo viaggio mi sono accorto di averne
portati con me quattordici mentre, a casa e in hotel, ce n'erano molti di più ad attendermi – sull’orizzonte
del “Existential Computing”. Existential Computing, che sarebbe una realtà di assoluto esistenzialismo da
computer, non ha nulla a che spartire con l'oltrepassata realtà virtuale, realtà aumentate e simili. E di
cosa si tratta quindi? Cosa s’intende effettivamente per Existential Computing? Non ne ho idea, se
dovessi immaginarmela questa realtà, sarebbe già qui, perché conoscere gli aspetti di qualcosa, è
inventarlo.
Possiamo però cominciare a immaginare come potrebbe essere questo futuro (prossimo) riflettendo su
che cosa cambierebbe se le tre richieste avanzate da Leonard Kleinrock (Il padre dell’Internet, l'uomo
che inviò la prima email nel 1969) venissero soddisfate.
Ecco qui le tre richieste:
I. Ci si dovrebbe poter collegare a Internet da ovunque (sia che ci si trovi al centro della terra o
nell'angolo più remoto dell'universo)
II. Ci si dovrebbe poter connettere con tutti i possibili dispositivi (persino una forchetta o un vecchio paio
di scarpe dovrebbero poter essere utilizzati come “connettori”)
III. I dispositivi di connessione dovrebbero essere invisibili.
Il “Metascreen” di Kleinrock è l'utopia di un’era nella quale i database diventano, finalmente, un ulteriore
strato della Natura! Il Dottor Kleinrock dopotutto inventò Internet semplicemente perché affascinato dalla
radio ricetrasmittente iper-potente di Superman.
Probabilmente siamo ancora molto lontani da questa era (o forse no), ma al di là di questo credo che,
ora come ora, il segreto sia ricominciare a pensare, nuovamente, all'analogico. Non sto certo parlando di
un ritorno alla vecchia fase pre-internet, ma mi riferisco a una successiva nella quale l'analogico dovrà
essere considerato come risultante di tutto ciò che il digitale ha significato sinora.
Quello che non è abbastanza evidente nell’arte, diventa immediatamente più chiaro in architettura. Il
lavoro dell'architetto greco-norvegese Andreas Angelidakis, per esempio, ci trasporta in uno spazio che
è già Metascreen! L'architettura si distingue dall'arte essenzialmente per il fatto di essere, da sempre, più
analogica che digitale, anche perché una volta abitata, cambia forma, “diviene”, e non resta lo stesso
“essere” come nel caso di un'opera d'arte, la quale non cambia mai veramente, seppur interattiva.
Angelidakis costruisce rovine, e lo fa ormai da anni, più precisamente, dalla creazione del NeenWorld nel
2002. Quelle di Angelidakis non sono certo le antiche rovine romane di cui si occupò il Piranesi: queste
provengono dal futuro, non dal passato, e rappresentano le rovine del Digitale!
Volendo riprendere le parole di Priscilla Tea, a proposito del suo lavoro e di quello degli altri artisti che
prendono parte alla mostra “Metascreen”, “ anziché tentare di portare l'”eco della natura” nell'irrealtà
digitale usando degli strumenti digitali, quello che noi intendiamo fare è portare l'eco del digitale nella
cosiddetta realtà, che è già qui, e ci resterà, anche se dovessimo cercare di aumentarla”.
Metascreen, tra le altre cose, è il lamento del digitale prossimo a divenire storia e passato.
Miltos Manetas, Bogotà, Colombia, 2011
Inaugurazione 31 marzo ore 19
Gloria Maria Gallery
via Watt 32 Milan
Orario: 14-19
Ingresso libero