Galleria Mascherino
Roma
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Renato Mambor
dal 22/11/2002 al 7/1/2003
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Segnalato da

mascherino




 
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22/11/2002

Renato Mambor

Galleria Mascherino, Roma

Mambor e' un protagonista della scena artistica sin dagli anni '60, quando a Roma si e' formata una generazione di artisti, amici e compagni di avventura, che ha lasciato un'impronta indelebile nella ricerca culturale italiana. Questa personale e' mirata a una rilettura del lavoro di Mambor in ambito concettuale visivo


comunicato stampa

Inaugura a Roma alla presenza dell'artista, sabato 23 novembre 2002 alle ore 18.30, presso la Galleria d'arte Mascherino, la mostra "Renato Mambor - Progetto per un'Antologica 1957-2002", a cura di Barbara Martusciello.

Durante l'inaugurazione un attore interpreterà un quadro scenico all'interno dell'opera "L'arte è come l'ombra", appositamente realizzata per la mostra.

A 45 anni dalla mostra d'esordio di Renato Mambor (settembre 1957), la galleria Mascherino propone "Renato Mambor - Progetto per un'Antologica 1957-2002", prima di una serie di mostre che la galleria dedicherà all'artista. Mambor è un protagonista della scena artistica sin dagli anni '60, quando a Roma si è formata una generazione di artisti, amici e compagni di avventura, che ha lasciato un'impronta indelebile nella ricerca culturale italiana. Questa personale è mirata a una rilettura del lavoro di Mambor in ambito concettuale visivo, di cui egli è stato un precursore e che è di grande importanza per le ultime generazioni di artisti; da ciò l'interesse per la sua opera da parte della galleria Mascherino, generalmente attenta alle sperimentazioni di artisti giovanissimi. La mostra, strutturata come una sorta di catalogo a parete con schede esplicative delle varie fasi del lavoro di Mambor, si sviluppa in forma antologica per considerare in maniera quanto più completa possibile la lunga sperimentazione dell'artista dal 1957 al 2002. Negli appuntamenti successivi verranno invece approfonditi alcuni momenti e aspetti particolari del suo progetto artistico.

La mostra si apre con un'opera del 1957 di genere surrealista astratto, lavori che Mambor presenta nel gennaio 1959 alla galleria Appia Antica di Roma nella mostra Mambor Schifano Tacchi, che apre idealmente una stagione artistica romana di straordinario successo. Con un quadro di questa serie Mambor vince nel 1960 il premio di incoraggiamento della Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Alla fine del 1959 Mambor apre lo studio a Roma insieme a Tano Festa. In questo periodo realizza dei quadri costruiti come oggetti con legno, chiodi, colla e vernici industriali. Utilizza smalti compatti stesi in campiture monocrome su tutta la superficie per eliminare ogni valore dell'azione, al fine di realizzarne l'azzeramento linguistico e la completa spersonalizzazione. E' quel "togliere l'io dal quadro", postulato di tutta una generazione di artisti romani e non. In mostra è presentato Oggetto Blu del 1960, già esposto al Palazzo delle Esposizioni nel 1993.

Nel 1961 dipinge la serie dei Segnali Stradali, importando nel quadro segni di comunicazione, astratti, geometrici, che hanno funzioni convenzionali, informative. Sono in mostra quattro Trasporto conto terzi del 1961, già esposti al Palazzo delle Esposizioni nel 1993. Nel 1962 la sua attenzione sulla segnaletica stradale viene attirata dall'omino stilizzato del segnale del passaggio pedonale e dall'uomo statistico, una figura umana bidimensionale che trasportata nei suoi quadri simboleggia l'uomo quantitativo, senza volto e caratteristiche individuali, dunque con un carattere di rappresentazione umana oggettiva. In mostra due piccole bellissime tele del 1962. Alla fine del 1962 questa figura statistica assume la forma di timbro, consentendo una moltiplicazione dell'immagine che Mambor utilizza, anche creando allusioni prospettiche attraverso le differenti altezze delle sagome, per realizzare dei quadri che ricostruiscono ambienti o spazi urbani. Espone queste serie per la prima volta alla Galleria La Tartaruga nel febbraio 1963 nella ormai storica mostra 13 pittori a Roma e nell'aprile dello stesso anno nella mostra Lombardo Mambor Tacchi. In mostra Comizio, Folla e Capovolto del 1963, gli ultimi due già esposti al Palazzo delle Esposizioni nel 1993.

Nel 1964 inizia ad interessarsi ai disegni dei rebus enigmistici. Questi hanno la caratteristica di essere disegnati in modo da rappresentare nella maniera più fedele possibile un vocabolo, costituendo quindi una specie di definizione grafica di un nome. Mambor utilizza questi disegni come se attingesse ad una sorta di vocabolario iconico nella serie di quadri che chiama Ricalchi, nei quali il suo interesse non è rivolto alla rappresentazione di realtà oggettuali, bensì al loro essere equivalenti iconici del nome convenzionalmente accettato per quell'immagine, ovvero, per usare le sue parole, "l'immagine non è il nome, il nome non è la cosa, la cosa non è l'essenza". Per chiarire il suo disinteresse verso la rappresentazione oggettiva Mambor appoggia le immagini sulla tela grezza, senza preparazione, per evitare ogni forma di contaminazione espressiva, disegnando solo quei tratti che delineano la morfologia essenziale delle figure e ricoprendole poi con campiture monocromatiche che lasciano trasparire solo le linee fondamentali del segno al fine di realizzarne un completo svuotamento. Anche le sequenze e gli accoppiamenti delle immagini sono utilizzati per chiarire che il suo interesse è solo nel rapporto tra la definizione grafica e il nome che questa rappresenta.

Infatti talvolta utilizza serie di immagini incoerenti tanto nella narrazione quanto nella resa prospettica e dimensionale proprio per evidenziarne la loro unica essenza comune, quella di vocaboli in forma iconica; oppure, al contrario, utilizza sequenze perfettamente coerenti quando il suo interesse è nell'evidenziare la definizione visiva di un gesto o di un verbo come, ad esempio, in Chiudere la porta del 1966, esposto in mostra. Questi lavori, realizzati tra il 1964 e il 1966 ed esposti nel 1964 al Premio La Tartaruga, nel 1965 al Premio Nettuno e sempre nell'aprile dello stesso anno nella personale alla galleria La Tartaruga presentata da Marisa Volpi, evidenziano Mambor come precursore del concettuale che di lì a poco si sarebbe sviluppato e ne chiariscono le distanze con l'arte Pop alla quale era stato assimilato negli anni precedenti. Alla fine del 1965, proseguendo nella sua ricerca di designificazione della rappresentazione oggettiva, realizza una serie di cubi sulle cui facce dipinge un'immagine del suo repertorio di vocaboli iconici, che viene costruita o decostruita assemblando i cubi stessi. Questi lavori vengono esposti nel gennaio 1966, presentati da Achille Bonito Oliva, nella mostra a due con Pino Pascali alla galleria Guida di Napoli.

Nel 1966 inizia ad analizzare i procedimenti esecutivi del dipingere utilizzando tecniche di scomposizione nello spazio e nel tempo. Il disegno e lo sfondo sono eseguiti in tempi e spazi diversi e poi ricomposti per sovrapposizione. In mostra Al mare, già esposto nel 1966 al Premio Avezzano. Sempre nel '66 Mambor, insieme a Mario Ceroli e Cesare Tacchi, si trasferisce per alcuni mesi a New York, chiude lo studio di Roma e al ritorno si trasferisce a Genova dove nel 1967 espone alla galleria La Bertesca, nella storica mostra "Arte Povera e Imspazio" a cura di Germano Celant, alcuni pannelli della serie del Diario 67, moduli seriali in sviluppo orizzontale, ciascuno rappresentante elementi e tecniche del dipingere. In mostra un'opera su carta del 1967 che rappresenta il progetto del Diario.

L'analisi linguistica che Mambor evidenzia nel Diario lo porta a sviluppare una suddivisione mentale della percezione del segno scissa nelle unità elementari delle pertinenze linguistiche: materia, forma, colore e tempo (movimento), che chiamerà Filtro. In mostra alcune importanti opere fotografiche come Il Mare (1967), L'Albero (1967) e Studio sul tramonto del sole, dalla omonima mostra alla galleria La Bertesca del maggio 1968. Nel 1968/69 realizza la serie delle Azioni Fotografate, dall'installazione composta di 11 scope azzurre realizzata in Via Roma a Genova nel 1968, sequestrata e multata per occupazione di suolo pubblico (in mostra, multa inclusa), alla Linea della porta, La fontanella di via Barletta, Faccia bianca, Senza calpestare le righe, esposte alla galleria La Bertesca nel 1968 nella mostra Icaro Mambor Prini e nel maggio 1969 nella mostra personale sempre alla galleria La Bertesca. Grande evidenza è data in mostra a queste serie fotografiche, nelle stampe originali, mai più esposte da allora.

All'inizio degli anni '70, dopo avere realizzato i Giocattoli per collezionista, Mambor, osservato che gli oggetti creati dall'artista vivono in un mondo autonomo e parallelo al mondo della realtà, si propone di acutizzare problematicamente questa dicotomia spostando l'attenzione sul polo del reale; si riferisce nuovamente ai rebus, questa volta per appropriarsi dell'idea del segnale che indica quale è l'immagine da cui ricavare il nome per ricostruire la frase. Costruisce dunque un oggetto tridimensionale e prensile, funzionale al punto da non dovere essere considerato come un oggetto estetico: l'Evidenziatore, che utilizza per segnalare le cose nell'atto di afferrarle per evidenziarle, lasciandole nello spazio come dati concreti, puntualizzandole, segnalandole nel loro contesto. A metà degli anni '70 Mambor rivolge questo meccanismo di evidenziazione verso l'uomo, affrontando il problema dell'impossibilità di limitare l'uomo-soggetto alla sua superficie; nasce quindi Trousse, scultura- contenitore di profilato metallico, un parallelepipedo alto 2 metri con i lati di un metro. Mambor la utilizza come un dispositivo per indagare la realtà umana, per esplicitarne i vari materiali espressivi che riguardano il soggetto fisico, cioè la sua sfera cognitiva, emotiva e nervosa, per esporla al pubblico. Con questo criterio realizza degli Autoritratti Unici, dove teatro e performance si uniscono. Mambor forma quindi una sua compagnia teatrale sperimentale che chiama Gruppo Trousse, nelle cui rappresentazioni la Trousse da spazio fisico diventa nel corso del tempo spazio mentale, per rendere fluido il passaggio dall'interno dell'individuo all'esterno del palcoscenico e viceversa.

Nel 1979, a Roma in via Sabotino, realizza l'installazione-evento Allevamenti di campi da football. Nel 1983 rappresenta al Metateatro di Roma Gli Osservatori, indagine che poi confluirà, alla fine degli anni '80 quando ritorna alla pittura, nel ciclo dell'Osservatore e le coltivazioni, presentato nel 1991 alla Fondazione Mudima a Milano e nel 1993 al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Mambor prosegue in questa serie nel suo sistema di "evidenziamento" linguistico, analizzando la specificità del fare e del vedere, del creare e del contemplare. In mostra è esposta la grande opera pittorica del 1990 da cui deriva la serie realizzata per queste due mostre e già esposta nella mostra Novecento alle Scuderie Papali di Roma nel 2000. La mostra comprende inoltre due opere della serie del Riflettore, dove l'esperienza visiva e cognitiva viene riformalizzata in termini pittorici, congiungendo realtà e rappresentazione e si conclude con l'opera appositamente realizzata per questa mostra: L'arte è come l'ombra (quando il corpo si piega l'ombra si inchina). Durante l'inaugurazione un attore interpreterà un quadro scenico all'interno dell'opera.

Inaugurazione: sabato 23 novembre 2002 alle ore 18.30

Orario di apertura: dalle 16.30 alle 19.30 (escluso lunedì e festivi)

Nell'immagine: Renato Mambor, Abbracciare, 1965-66 smalto su cartone cm 70x100

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