Meister. Uno scontro diretto con il mezzo, una lotta continua con il linguaggio, spinto, allargato, deformato, forato, assassinato in ogni modo possibile. "Si mette in scena un'anatomia della finzione attraversata da un'ostinata autopsia pittorica" O. G.
Io fui causa originaria di me stesso. Meister Eckhart
Come si può fabbricare ciò di cui non si ha più memoria?
Creare un mondo im-possibile, un caos-cosmo generatore di mostri storico temporali, manomissioni e s-montaggi, parassiti mimetici, miti transpersonali. Mito come strumento mimetico per eccellenza, protesi a sostegno di un’identità paralitica, dispositivo in grado di estroflettere ogni mondo interiore in termini di evento culturale. Si mette in scena un’anatomia della finzione attraversata da un’ostinata autopsia pittorica, da stillicidi di solvere e coagulare, puro dispendio senza economia. Da questa primigenia emergenza idraulica sgorga la controfigura di una pittura ridotta a doppiaggio, supplente di pittura, scoria attoriale, fantasma senza prima nè dopo.
Segni senza origine nè sorgente, toc-toc criminali senza prove nè testimoni.
La pittura diventa sistema d’utensili fuori uso, “foro senza manico del congegno”. Jacques Derrida
Tutto si apre senza svelarsi. Questa apertura primitiva, o voragine spalancata (Ginungagap), è esperienza dell’inconoscenza, dell’invisibile, dell’impossibile, ed attraverso essa le immagini “vivono” la propria nera genesi, il proprio non tempo, il proprio martirio.
Meister è una taberna-casei alchemica, ricetto d’incubazione e fermentazione, palestra visiva dove esalano i fumi (gas-geist-gaze) di un immaginario in cui collassa ogni confine categoriale. Tutto si anima, o meglio, acquista animazione, si dimena “attorialmente” nel proprio spazio scenico in attesa di una possibile selezione. Casting d’immagini come processo d’analisi e de-costruzione, provinaggio analogico digitale, test d’ottiche nella sala d’attesa visiva. Cosa resta delle immagini e del loro mondo durante questo stato di sospensione? Come un parassita rimane in “fermo-immagine” prima dell’eccitazione chimico-sensoriale che lo resuscita, così la macchina pittorica (pittore-attore-operatore) si attiva o disattiva secondo la natura del proprio disinibitore che ne regola ed influenza il funzionamento. Tra l’operatore-demiurgo ed il suo, non più suo, oggetto di ricerca s’innesca una condizione di reciproca cecità: sintomi di stordimento ed ottusità, accumulo e saturazione, maschere di un reale scomparso ed indicibile traducibile solo attraverso la mistica del linguaggio dei sogni, dei sintomi, dei miti.
Meister è una fabbrica di situazioni d’immagine la cui origine panspermica è tradotta e tradita in pittura. E’ un simbionte, fungo-muffa colonizzatore, grotta dentro cui la creazione pittografica opera per processi di stratificazione, sedimentazione, calcificazione, incrostazione. E’ un progetto sprogettatto, Mc Guffin hitchcockiano, story-board senza storia e senza regia, dove i bordi geroglifici di memoria e ricordo colludono, collidono ed inesorabilmente spariscono, risucchiati “nell’orizzonte degli eventi” del linguaggio.
Oscar Giaconia.
Inaugurazione sabato 1 ottobre ore 18:00
viamoronisedici spazioarte
via Moroni, 16 Bergamo
giovedì e venerdì 16,00 – 19,00.
sabato 10,30 - 12,30 e 16,00 - 19,00