Laboratorio permanente sui linguaggi contemporanei. Il festival propone un programma di incontri con registi, produttori, sceneggiatori, attori e compositori, indagando le diverse forme della creativita' che concorrono alla definizione dei modelli espressivi della macchina cinematografica.
La creatività possibile
Il cinema
Dopo l’edizione primaverile dedicata ai linguaggi televisivi, nel suo focus autunnale Futuro Presente torna a esplorare i territori della creatività, spostando in questo caso l’attenzione sull’ambito cinematografico. Quali forze concorrono a dare forma alle più enigmatiche e seducenti costruzioni narrative, quelle per immagini? Quali energie guidano i processi creativi della gente di cinema? Attraverso un fitto programma di incontri con registi, produttori, sceneggiatori, attori e compositori, si indagheranno le diverse forme della creatività che concorrono alla definizione dei modelli espressivi della macchina cinematografica. Per gettare luce sulla complessità del lavoro che sta dietro la costruzione dei racconti per immagini si è scelto di coinvolgere alcuni dei protagonisti del cinema italiano contemporaneo. La parola, in altri termini, andrà a chi il cinema lo fa per davvero. E siccome la magia del cinema non sta solo nelle parole, ma è in buona parte il frutto delle alchimie che si consumano sullo schermo, non mancheranno proiezioni e momenti di carattere spettacolare.
Venerdì 18 novembre
Auditorium Fausto Melotti, ore 16
La mal’ombra
di Andrea Segre Ita 2007, 70’
A San Pietro di Rosà, provincia di Vicenza, la costruzione di una delle più grandi zincherie d’Italia in un’area sottoposta a tutela è all’origine di una civilissima protesta da parte dei cittadini. “Un film che non vuole essere inchiesta, ma racconto. Racconto nella realtà e non sulla realtà. I volti, le storie, le emozioni dei cittadini di San Pietro si intrecciano ai silenzi prepotenti delle istituzioni e a quelli meccanici e produttivi della Zincheria. Un film che non tralascia puntualità e precisione sulla vicenda, ma che cerca di andare oltre, provando a scoprire in questa piccola storia della provincia italiana le tracce di una sfida che in realtà coinvolge l’umanità intera: come conciliare crescita economica con rispetto della qualità e della dignità umana?”. (Andrea Segre)
Auditorium Fausto Melotti, ore 17.15
Magari le cose cambiano
di Andrea Segre, Ita 2009, 63’
Un gruppo di case colorate, il centro commerciale più grande d’Europa, una “nuova centralità” a Roma, il quartiere perfetto dove vivere. È Ponte di Nona, periferia est della capitale, dove sono state costruite le più recenti case popolari della città e dove pian piano sono state trasferite negli ultimi anni decine e decine di famiglie. Ma Ponte di Nona è ancora un luogo senza identità, un agglomerato urbano tirato su senza regole precise e in cui le contraddizioni sono all’ordine del giorno. Con i giusti toni e la consueta delicatezza capace di entrare nelle vite e nelle storie dei suoi protagonisti, Segre costruisce un altro piccolo capolavoro di cinema della realtà. Un meraviglioso racconto del nostro tempo, che ci fa vedere – complice la splendida fotografia di Luca Bigazzi – i vuoti, i silenzi, le storture, ma anche la vita di chi quelle periferie le abita, che poi è l'unica cosa che può davvero dare a quei luoghi un po’ di calore.
Auditorium Fausto Melotti, ore 18.30
Il sangue verde
di Andrea Segre, Ita 2010, 57’
Gennaio 2010, Rosarno, Calabria. Le manifestazioni di rabbia degli immigrati mettono a nudo le condizioni di degrado e ingiustizia in cui vivono quotidianamente migliaia di braccianti africani, sfruttati da un'economia fortemente influenzata dal potere mafioso della 'Ndrangheta. Per un momento l'Italia si accorge di loro, ne ha paura, reagisce con violenza, e in poche ore Rosarno viene "sgomberata" e il problema "risolto". Ma i volti e le storie dei protagonisti degli scontri di Rosarno dicono che non è così. “Il sangue verde racconta un pezzo di questo inferno, in questo tempo. Lasciando ai viaggiatori non autorizzati il potere della parola e della memoria. Nella convinzione che nel loro coraggio e nelle loro mani risieda la speranza di riscatto delle terre da cui sono partiti ed in fondo anche di quelle in cui sono arrivati”. (Andrea Segre)
Auditorium Fausto Melotti, ore 21
La favola nel reale
Incontro con Andrea Segre e Enrico Magrelli
In un breve volger d’anni il percorso espressivo di Andrea Segre ha conosciuto una rapidissima maturazione. Segnalatosi come uno dei rappresentanti più rigorosi e stimolanti del cinema documentario nostrano (tra i suoi lavori più importanti sono da ricordare Come un uomo sulla terra, Il sangue verde, Magari le cose cambiano, A sud di Lampedusa), è passato ora al cinema di finzione con il fortunato Io sono Li, accolto con grande calore all’ultima edizione del festival di Venezia. Non si tratta, a dire il vero, di una conversione radicale. Quello di Segre resta infatti un cinema in cui la riflessione sulla realtà, pur vestita coi panni della favola, continua a essere l’obiettivo principale. Saper mescolare con perfetto equilibrio fiaba, poesia e documentazione non è da tutti. Segre ci riesce benissimo, grazie a uno sguardo allenato, una sincera urgenza espressiva e una grande attenzione all’evoluzione della nostra complessa società. “Perché il futuro – ricorda il regista padovano – è nel presente”.
“Esplorare le realtà è ciò che amo. Realtà apparentemente minori, a cui la grande narrazione mediatica non concede spazio di parola, ma che rappresentano spesso il punto di vista più importante, più profondo, più umano. È la loro dignità che metto al centro dei miei racconti. Ed è con loro, non per loro o su di loro che cerco di raccontare. Prima di tutto perché questo mi permette di conoscere e di arricchire la mia prospettiva sul mondo e sulla vita. E spero che questo avvenga anche a chi poi ascolta e vede i miei, anzi i nostri racconti. Farlo con il documentario o con la fiction non importa. Sono due linguaggi che amo e che continuerò a intrecciare il più possibile giocando lungo il loro instabile confine”. (Andrea Segre)
Auditorium Fausto Melotti, ore 22.30
Io sono Li
di Andrea Segre Ita 2011, 100’
Shun Li è arrivata in Italia dalla Cina in cerca di fortuna. Dopo essere stata impiegata in un laboratorio tessile romano, la ragazza trova lavoro come barista in un’osteria di Chioggia, dove conosce Bepi, un pescatore di origini slave soprannominato il Poeta. La loro amicizia è destinata a rinsaldarsi e a divenire sempre più profonda proprio grazie alla poesia che permette loro di estraniarsi dalle ostilità che dividono le rispettive comunità e dalle difficoltà economiche che investono il paese. Il notevole esordio nella finzione del documentarista Andrea Segre è una storia fatta di sguardi, di silenzi, di desideri repressi e sogni infranti. Alla pulizia dello sguardo, calato con grazia su un Veneto inedito, si affianca una delicatezza di tocco che lascia il segno. Merito anche di una nutritissima schiera di grandi attori (Marco Paolini, Rade Sherbedgia, Giuseppe Battiston, Roberto Citran).
Sabato 19 novembre
Auditorium Fausto Melotti, ore 10.30
L’ultimo terrestre
di Gian Alfonso Pacinotti, Ita 2011, 100’
Gli alieni hanno appena annunciato che mancano pochi giorni al loro atterraggio sulla Terra, in un piccolo paesino della Toscana, ma nessuno sembra dare peso alla notizia. L'unico che invece mostra preoccupazione è Luca Bertacci, un uomo solitario la cui unica distrazione è il lavoro in una sala bingo. Al suo esordio dietro la macchina da presa Gipi sfida il conformismo cinematografico mettendo in scena la graphic novel di Giacomo Monti Nessuno mi farà del male con tratti “fantaneorealisti”. “L’ultimo terrestre è un capolavoro: per la fotografia di Radovic e le musiche di Vigliar, perché il sodale di sempre, il protagonista Gabriele Spinelli, è una faccia, un talento che non si dimentica. Perché questo regista esordiente con alle spalle corti e lunghi fai da te in quel di Pisa e pagine straordinarie di letteratura disegnata, rischia con l’etica e l’estetica” (Boris Sollazzo). È proprio vero, un extraterrestre è piombato sul cinema italiano.
Sala conferenze del Mart, ore 15
Raccontare in musica
Incontro con Teho Teardo e Enrico Magrelli
Tra i nomi emergenti del panorama compositivo italiano, col suo lirismo sinfonico intriso di elettronica Teho Teardo ha segnato profondamente la scena cinemusicale contemporanea. Fieramente ostile all’uso della colonna sonora intesa come “commento” alle immagini, ha fatto storcere il naso a più di un purista ma si è imposto per una scrittura musicale originale e coinvolgente. Ma se la musica da film non serve ad accompagnare le immagini qual è il suo statuto linguistico? E come si costruisce l’architettura sonora chiamata a reggere la narrazione cinematografica? A comporre si parte dalla sceneggiatura o dalle immagini?
“Mi piace avere la libertà di scrivere prima di vedere le immagini, mi dà una marcia in più sul lavoro. Detesto la musica da commento, le colonne sonore tradizionali, l’accompagnamento musicale. Credo che ormai questo tipo di colonna sonora abbia già fatto il suo percorso. Per me la musica per film deve viaggiare in maniera autosufficiente, perché proprio grazie a quest’autosufficienza si può innescare un parallelo drammaturgico tra immagini e suono. Il film inizia a vivere quando musica e immagini sono insieme, altrimenti si tratterebbe solo di immagini o soltanto di musica”. (Teho Teardo)
Sala conferenze del Mart, ore 16.30
Dare senso alle immagini
Incontro con Francesca Calvelli e Enrico Magrelli
Fin da quando il cinema mosse i primi passi, fu chiaro che nella costruzione del linguaggio registico il montaggio avrebbe assunto un ruolo centrale. Sono cambiati gli stili, si sono evoluti i linguaggi, ma l’importanza del montaggio nella sintassi cinematografica è rimasta quella di sempre: se per Pudovkin era “l’atto creativo cruciale nella produzione di un film”, per Godard “dire regia è automaticamente dire montaggio”. Eppure l’attività del montatore è avvolta in una densa coltre di mistero, spesso impenetrabile anche ai più accaniti divoratori di film. Ma qual è davvero il peso del montaggio nella costruzione della narrazione cinematografica? Come fa a liberarne le forze e a condizionarne le forme? A svelare i segreti dell’ “arte del montaggio” sarà Francesca Calvelli, una delle più lucide sensibilità drammaturgiche del cinema italiano, già vincitrice di quattro David di Donatello come miglior montatore.
“Da ventenne appassionata di cinema a un certo punto mi segnalarono un seminario che c'era all'Università dell'Aquila sul montaggio. Vi partecipai per curiosità, senza sapere bene cosa volesse dire "fare un film", era un primo approccio al cinema. Questo seminario era tenuto da Roberto Perpignani, che per tre giorni smontò e rimontò alcune sequenze de La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, ma lo fece in un modo talmente coinvolgente, passionale, che mi sono letteralmente innamorata di questa cosa che vedevo, al punto che uscita da lì mi dissi: "Lo voglio fare anch'io!"”. (Francesca Calvelli)
Sala conferenze del Mart, ore 18
Oltre la carta, il cinema
Incontro con Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi e Enrico Magrelli
Una delle più gradite sorprese dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia è stata l’esordio alla regia di Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi, uno dei più importanti e raffinati disegnatori italiani (collabora, tra l’altro, con La Repubblica e Internazionale). Alle prese con una profonda crisi creativa, Gipi ha accolto la proposta di Domenico Procacci e ha scelto di aprire la propria esperienza artistica alla settima arte. La sfida era di quelle non banali, tanto più che per Gipi non si è trattato di mettere in scena il proprio universo fumettistico, ma di crearne uno nuovo, che fosse capace di mescolare fantascienza e dramma urbano e di abbracciare col proprio sguardo una società sempre più disillusa. Per il debutto dietro la macchina da presa Gipi si è ispirato al libro di fumetti di un collega (Nessuno si farà del male, di Giacomo Monti), a dimostrazione di quanto i percorsi della creatività tra graphic novel e grande schermo siano prolifici.
“Al di fuori del cinema, intanto, tutto va a rotoli. Ma è normale, perché i film battono l'esistenza sessanta a zero a tavolino. Come diceva Truffaut: "I film vanno avanti come i treni, capisci? Come i treni nella notte." A proposito di treni. Ieri, in treno, appunto, ho scritto le prime dieci pagine di quello che mi piacerebbe, se non tiro le cuoia prima, essere il mio secondo film. Vedremo”. (Gipi)
Auditorium Fausto Melotti , ore 21
Una questione di sguardo. Il cinema morale di Daniele Ciprì
Incontro con Daniele Ciprì e Enrico Magrelli
Tra i misteri insoluti della storia del cinema italiano c’è senz’altro l’incomprensibile e scandaloso ostracismo subito negli anni da Daniele Ciprì e Franco Maresco, promotori del sodalizio più tagliente e iconoclasta mai cresciuto all’ombra dell’industria cinematografica e televisiva italiana. Forti di una vena creativa di sconcertante vividezza, i due registi palermitani hanno interrogato come nessun altro lo squallore devastante della nostra società, creando una poetica originalissima che mescola Pasolini a Buñuel, Beckett a Buster Keaton. Dopo la fine della collaborazione con Maresco, Daniele Ciprì ha proseguito il proprio percorso espressivo con il consueto rigore, dapprima vestendo con una fotografia raffinatissima alcune delle più importanti pellicole italiane degli ultimi anni (Vincere di Bellocchio, La pecora nera di Celestini), e ora tornando dietro la macchina da presa per dirigere due mostri della recitazione (Toni Servillo e il cileno Alfredo Castro) in una storia tragicomica di ambientazione, neanche a dirlo, siciliana. In attesa che il film sia pronto per i circuiti festivalieri e per la distribuzione in sala, un’occasione da non mancare per dialogare con uno dei pochi veri “artisti” del cinema italiano.
“Il problema è non tradire se stessi, la difficoltà è non rinnegarsi, non cercare il consenso facile, continuando a lavorare come hai sempre fatto. Rifiutando le apparizioni televisive, i talk show che ti invitano, declinando le offerte di lavoro per pubblicità e videoclip. Quello che si è affermato negli ultimi anni è un cinema para-televisivo, pseudo-sociologico, storie di trentenni e quarantenni in crisi, di fallimenti della coppia, un cinema che serve solo ai giornali e ai talk show per alimentare sondaggi. Ma in tutto questo il cinema vero non c'è. Tutt'al più si può parlare di fiction televisiva”. (Daniele Ciprì)
Auditorium Fausto Melotti , ore 22. 30
Live set
Teho Teardo - chitarre, elettronica
Martina Bertoni - violoncello
Compositore, musicista e sound designer, Teho Teardo è un abilissimo tessitore di ambienti sonori dove la musica elettronica incontra gli strumenti della tradizione. Nel live set Teardo, sul palco con la violoncellista Martina Bertoni, ripropone alcuni brani tratti dai suoi album più noti e dalle avvolgenti colonne sonore composte per alcune delle più importanti pellicole del nuovo cinema italiano (Il Divo e L’amico di famiglia di Paolo Sorrentino, La ragazza del lago e Il Gioiellino di Andrea Molaioli, Lavorare con lentezza di Guido Chiesa, Quo vadis, Baby? di Gabriele Salvatores). La musica di Teardo ha una forte componente cinematica, risultato di un’efficace combinazione tra elettronica, chitarra e violoncello. Poggiate su trame elettroniche dal registro quasi cameristico, le strutture compositive si distendono con grande raffinatezza, dando prova di una coloritura timbrica e di una ricerca musicale davvero originali.
Auditorium Fausto Melotti , ore 24
Cinica è la notte
Maratona notturna alla riscoperta dei leggendari episodi di Cinico Tv
Quello di Ciprì e Maresco sull'Italia degli anni Novanta, decennio chiave di un mutamento culturale, è stato uno sguardo "abissale" (Enrico Ghezzi), una lunga panoramica impassibile e feroce, capace di fare ridere in un modo disturbante e nuovo. La serie andò in onda su Rai 3, per essere poi fatta circolare in frammenti, negli anni successivi, da Fuori orario e Blob. Serie amata o detestata, capace di muovere accese repulsioni e altrettanto accesi dibattiti intellettuali: sul trash, sull'estetica del brutto, sul postmoderno, il poststorico, la fine dell'umano. Palermo, Italia: un bianco e nero ricercato e carico di nubi confligge con i corpi sbracati, con lo squallore di un universo popolato da personaggi borderline, ovvero oltre ogni limite del visibile ordinario. Era il mondo storto del ciclista Francesco Tirone, del petomane Giuseppe Paviglianiti, del cantante fallito Giovanni Lo Giudice, delle 'schifezze umane' Carlo e Pietro Giordano, dell'afasico uomo in mutande Miranda, dell'occhialuto Giuseppe Filangeri...
domenica 20 novembre
Auditorium Fausto Melotti, ore 10.30
Il primo incarico
di Giorgia Cecere, Ita 2010, 90’
Puglia, anni ‘50. Nena, giovane maestra fidanzata con un ragazzo dell’aristocrazia locale, riceve il primo incarico di insegnante in una comunità rurale del brindisino. Troverà una scuola sperduta su un altopiano, ragazzini ingovernabili, gente con cui non ha niente in comune, una natura ostile. L’esordio alla regia di Giorgia Cecere (già assistente di Amelio e sceneggiatrice per Winspeare) è un film insolito e sorprendente. “Il viaggio in una sorta di Far West dei sentimenti di una giovane donna poco propensa a sottostare alle regole. L’asciuttezza di Isabella Ragonese è già una dichiarazione estetica, in un film scarnificato dove lo sguardo segue la matericità degli ambienti, delle cose, delle facce, e dove persino le parole sembrano di roccia o tufo”.
Sala conferenze del Mart, ore 15
This could be the Place. Percorsi della creatività cinematografica in Trentino
con Antonio Artuso, Luigi Pepe, Alessandro Rossetto, Valerio Oss e Gianluigi Bozza
Il Trentino, si sa, non è Hollywood. Eppure in una realtà piccola come quella locale non mancano forze dinamiche capaci di compiere interessanti percorsi professionali all’interno del mondo del cinema. Si tratta di esperienze spesso poco note, dalle quali è possibile muovere per riflettere sulla situazione attuale e sui possibili sviluppi delle professioni cinematografiche in Trentino. Facendo leva su alcune testimonianze di professionisti attivi nella produzione e nella diffusione della cultura cinematografica, si propone un confronto sugli spazi e sulle possibilità che in ambito territoriale si aprono per chi, a vario titolo, intende fare cinema.
Intervengono Antonio Artuso (esercente e distributore); Luigi Pepe (produttore), Alessandro Rossetto (regista), Valerio Oss (animatore).
Sala conferenze del Mart, ore 16.30
Dare (un) corpo alla creatività
Incontro con Isabella Ragonese e Enrico Magrelli
È inutile negarlo, per la buona riuscita di un film la capacità degli attori di dare forza e credibilità al racconto è un requisito fondamentale. Perché il cinema non è solo regia e sceneggiatura, ma è fatto di corpi che riempiono lo schermo e trasmettono emozioni. Il cinema italiano degli ultimi anni ha scoperto una nuova generazione di interpreti intensi e preparati, che spesso vengono dal teatro e alla rincorsa al divismo preferiscono percorsi artistici più rigorosi e misurati. È il caso di Isabella Ragonese, “il volto pulito del nostro cinema”. Sempre convincente e immune agli stereotipi della recitazione, nonostante gli impegni sempre maggiori sul grande schermo non ha perso l’amore per il teatro di ricerca. E proprio il palcoscenico è il luogo d’incontro delle sue due vene creative: quella di interprete e quella di autrice e regista teatrale.
Sala conferenze del Mart, ore 18
“Sempre un passo davanti al pubblico”. Forme della creatività produttiva
Ammesso che siano mai esistiti, sono finiti i tempi in cui il produttore cinematografico era un corpulento omaccione col sigaro, il bicchiere di whisky, l’amante e il macchinone. La produzione è diventata sempre più l’altra parte della creatività e il produttore l’alter-ego del regista. Come sostiene uno dei più rappresentativi produttori del nuovo cinema italiano, “la produzione è un esercizio di logica applicato all’arte: trovare soluzioni che rendano le risorse più produttive e più funzionali alla storia è un atto creativo”. Il produttore, in altre parole, non ha semplicemente il compito di raccogliere i finanziamenti necessari per iniziare le riprese, ma sviluppa il progetto artistico insieme al regista, si confronta con lui sulla sceneggiatura e segue l’opera fino al montaggio. Insomma, non si può parlare di creatività cinematografica senza parlare di produzione.
Auditorium Fausto Melotti, ore 21
Lady Grey (con le luci che si abbassano sempre di più)
di Will Eno
Traduzione di Elena Battista
Regia di Isabella Ragonese e Silvio Peroni
Con Isabella Ragonese
Produzione BAM Teatro e Pierfrancesco Pisani
Acuta riflessione sull’identità femminile, Lady Grey è un monologo che raccoglie i pensieri di una ragazza alla ricerca dell’energia selvaggia e profonda della vita. È il racconto di una giovane donna un po’ nervosa che sperimenta un’esistenza a singhiozzi e priva di troppe certezze. Nel corso del racconto viene lentamente a galla la storia di Sabrina, una bambina che deve portare a scuola un oggetto e raccontare cosa rappresenta per lei. L’effetto è drammatico. La bimba porta se stessa, il suo corpo, in una denuncia di pretesa d’esistere che s’intreccia con l’impossibilità di vivere e amare della protagonista, alla costante ricerca di un personaggio che ne incarni le delusioni e le incertezze. Lady Grey è un’immersione nel linguaggio, un gioco al massacro pervaso di umorismo in cui il corpo sacrificale è la parola incarnata dall’attore, in questo caso una grande Isabella Ragonese, abito rosso, scarpe con tacco vertiginoso, un paio di occhiali che scrutano e ti squadrano come fanno certe maestre, come fanno i miopi. Ma la miopia qui è quella della vita, è l’impossibilità di mettere a fuoco, di trovare un senso all’esistenza, perché un senso non c’è. Un racconto spiazzante che toglie il fiato e interroga, una sfida col pubblico su un testo dove niente è per caso. L’autore della pièce, Will Eno, è uno dei maggiori drammaturghi d’oltreoceano. Finalista del Premio Pulitzer e premiato al Fringe di Edimburgo, è stato di recente definito dal New York Times “il Beckett del nuovo secolo”. La sua prosa densa è una sorta di “lista della spesa esistenziale”, fatta in egual misura d’amore, senso di perdita e umorismo sferzante. Isabella Ragonese, una delle più intense attrici del nuovo cinema italiano, torna al primo amore - il teatro - misurandosi col testo di Eno nella doppia veste di interprete e regista. È, il suo, un raffinatissimo gioco di seduzione, un continuo confronto col pubblico, portato a sperimentare i limiti del linguaggio e le (im)possibilità del racconto.
Ingresso gratuito fino a esaurimento posti
con prenotazione tramite sito www.festivalfuturopresente.it o telefonica 0464 431660
Ufficio stampa
Roberto Keller T 340 2792456 mail robertokeller@tin.it
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