Aus dem Leben der Wildkatzen. L'artista crea opere in argilla, terra, metallo, legno, bronzo, nei quali la dimensione virtuale non puo' essere pensata come un'essenza reale.
Galleria Enrico Fornello è lieta di presentare la prima personale italiana dell’artista tedesco
Max Leiß. Se ‘l’immagine’ dell’oggetto non può far altro che preservare l’inevitabile riflesso
di un prototipo invisibile, in quale modalità possiamo rendere invisibilità a questa dimensione
manifestante che non è differente dal visibile pur non coincidendo con esso? Nel lavoro di
Leiß la dimensione virtuale non può essere pensata come un’essenza reale al di là di una
pragmatica esperienziale perciò gli oggetti disposti qui non possono che non collimare con se
stessi senza per questo divenire atomi sostanziali. La differenziazione è anche modulazione e
queste cose altro non possono fare che differirsi restando assolutamente non separate,
incatenate nel rovescio metonimico che non cessa mai di ritirarsi in un movimento di
presentificazione che sottolinea, sempre di nuovo, la congenita ‘infondatezza’ che lo
contraddistingue. Le rimanenze nuomeniche di questi grumi di formalizzazione senza ritorno
infettano ogni risoluzione identitaria attraverso una cosità a-topica che scivola e insiste da
qualche parte sotto ogni tassonomizzazione, da qualche parte sotto lo iato ricorrente del
‘sempre qui’ e del ‘non ancora’.
L’identità presunta si scontra così con una coincidenza implosa che non cessa mai di tornare
dove non è mai stata. L’oggetto, come sembra indicare Leiß, deve ‘dire’ l’evento senza
distruggerlo, l’evento inaudito che torna in sé solo perdendosi in sé e precisamente nel punto
cieco in cui si tocca toccando, si vede vedendo in una corrispondenza incrostata
indecidibilmente in un futuro anteriore costitutivamente impreconizzabile: “dopo la prima
morte non ce ne sono altre”, scriveva Dylan Thomas. Un’articolazione impossibile,
un’articolazione dell’impossibile che non è niente, un’articolazione attivamente inoperante il
cui senso s’annida nel grado-zero primario in cui i raggi di mondo s’intersecano in una
dischiusura elementare intrinsecamente operativa in ogni configurazione d’esperienza.
Un’apertura interstiziale di vestigia celibatarie (argilla, terra, metallo, legno, bronzo) che
avranno testimoniato gli arti fantasma di questi acrostici infestati che implicano già ogni
negazione come ogni affermazione, innestandosi silenziosamente a tergo di ogni asserzione,
diniego e addirittura di qualsivoglia domanda formulabile.
Qualcosa che Leiß, insieme a
Merleau-Ponty, chiamerebbe il “vero negativo”: il vero negativo all’interno del positivo, il
vero niente all’interno del qualcosa, il vero non-essere all’interno dell’essere ovvero
l’intrecciarsi inesausto di una scarnificazione chiasmica che ha sempre gia sperimentato,
dall’esterno più all’interno di sé, la potenzialità di un evento radicalmente imploso.
Max Leiß (1982 Bonn, Germany) vive e lavora tra Basilea e Karlsruhe. Ha ottenuto il Master
alla Akademie der Bildenden Künste Karlsruhe nel 2012 e ha studiato alla École de Beaux-
Arts di Parigi nel 2010. Ha partecipato a molte mostre collettive negli ultimi ani, per citarne
alcune nel 2010 la mostra “Passage” presso la galleria Meyer Riegger a Karlsruhe,
“Drancy/Bobigny presso “Le Centquatre” a Parigi e la mostra “Der unaufhaltsame Aufstieg
von Draufgängern und Flaschen” a cura di Meuser presso la Städtische Galerie in Karlsruhe.
Infine ricordiamo nel 2009 la mostra “Regionale 10” presso la Kunsthalle di Basilea. Pubblica
la sua rivista personale “Ausgabe” in collaborazione con Mark Pezinger Verlag.
Durata dell’esposizione: 22 Marzo – 10 Aprile / 24 Aprile – 18 maggio 2012
Inaugurazione: Mercoledì 21 marzo 2012 ore 18.00
Galleria Enrico Fornello
via Massimiano, 25 Milano
Orario di apertura: Martedì-Sabato 14-19
ingresso libero