Velan - Centro d'Arte Contemporanea (sede2)
Torino
via Saluzzo, 64
011 280406 FAX 011 280406
WEB
Versus XVIII
dal 26/9/2012 al 30/10/2012
giov-sab 15.30-19.30

Segnalato da

Velan Centro d'Arte Contemporanea




 
calendario eventi  :: 




26/9/2012

Versus XVIII

Velan - Centro d'Arte Contemporanea (sede2), Torino

Collettiva a cura di Francesca Referza, con opere di Alis/Filliol, Tomaso De Luca, Manuel Larrazabal (alias Manuel Scano), Renato Leotta, Marco Strappato.


comunicato stampa

a cura di Francesca Referza

Giovedì 27 settembre 2012, alle ore 18.30 il Velan Center inaugura la mostra collettiva Versus XVIII, a cura di Francesca Referza, con opere di: Alis/Filliol, Tomaso De Luca, Manuel Larrazàbal (alias Manuel Scano), Renato Leotta, Marco Strappato. Format ormai classico della programmazione del Velan Center di Torino, nato con l’obiettivo di mettere a confronto il lavoro di giovani del territorio con quello di artisti di diverse realtà geografiche, italiane e internazionali, Versus ha finora ospitato oltre centocinquanta artisti, molti dei quali hanno poi consolidato la loro presenza nel sistema dell’arte contemporanea. Versus è anche l’unico evento del Velan Center ad aver avuto continuità di documentazione nel tempo, grazie alla pubblicazione di un catalogo dedicato. In questa edizione Versus fa dialogare i lavori di cinque artisti nati tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, sottolineando punti di contatto e differenze, a partire dalla riflessione e conseguente estensione, constatata in particolare nella pratica di questa generazione di artisti, del concetto di scultura tradizionalmente inteso.

Il duo torinese Alis/Filliol (Andrea Respino, Mondovì, CN, 1976 e Davide Gennarino, Pinerolo, TO, 1979) parte da un’idea di scultura tradizionale, concepita tuttavia dal punto di vista tecnico in modo che la tradizione sia al contempo affermata e negata o piuttosto contraddetta. La dualità è parte integrante della loro pratica artistica in cui il risultato euristico finale, lasciato volutamente aperto dagli artisti, non è altro che la sintesi dell’incontro scontro delle loro due fisicità. Anche parlando di materiali, Alis/Filliol alternano tradizione e sperimentazione, essendo passati dalla creta e dalla cera ai più diversi materiali plastici. In effetti agli artisti interessa non tanto il materiale in sé, quanto la sua ‘disponibilità’ alla sperimentazione, con tutte le conseguenze tecnico estetiche che questa disponibilità comporta. Il risultato di queste pratiche di sperimentazione sui materiali, ottenute con l’impiego dei loro corpi, è spesso una scultura amorfa ma con riconoscibili e spesso buffe caratteristiche antropomorfe. Sorta di totem oggettuale o di fenomenico agglomerato di materia.

Manuel Larrazàbal (Padova, 1981) è un artista decisamente eccentrico, nel senso etimologico della parola, anche grazie alla stratificazione geografico culturale delle sue origini. Recentemente, giocando consapevolmente con la propria identità d’artista, Manuel Scano ha deciso di sostituire il proprio cognome anagrafico con quello della nonna venezuelana di origini basche, segnando in tal modo una sorta di nuovo inizio nel proprio percorso di ricerca. Quella di Manuel Larrazàbal è sempre più un’arte cinetico – sonora, in cui le componenti ludico - performative risultano quasi più importanti dei risultati visivi. Attratto dall’idea di offrire una seconda vita ad oggetti di scarto (piccoli elettrodomestici, fili, residui plastici, esili legnetti etc.), Manuel Larrazàbal riesce, per intervento diretto o indiretto, a seconda dei casi, a trasformare in energia dinamica la stasi di elementi che poi, con sembianze vagamente zoomorfe, occupano lo spazio circostante con sorprendente autorità. Il risultato finale è spesso frutto di dinamiche casuali volutamente controllate solo in parte dall’artista. Un modus operandi tutto contemporaneo che tuttavia, a mio avviso, ha i propri riferimenti visivi in artisti del Novecento come il catalano Joan Miró, l’americano Alexander Calder e l’italiano Fausto Melotti.

Il lavoro di Tomaso De Luca (Verona, 1988), che si concentra sull’analisi dell’immagine attraverso documentazione fotografica, scultura installativa e video proiezione, ha nel disegno il proprio mezzo privilegiato, disegno a cui l’artista ricorre spesso in modo seriale. La ricerca di Tomaso De Luca è volta a destrutturare alcuni degli stereotipi più radicati della società contemporanea, come quello di vincente e perdente. In particolare, ripensando i concetti di spazio pubblico, architettura e monumento, l’artista muove una critica all’identità maschile tradizionalmente intesa. Sostituendo ai consueti criteri utilizzati dalla cultura occidentale (quelli che lui definisce propri del ‘pensiero verticale’) un personale ‘sguardo storto’ sulle cose, Tomaso De Luca propone un diverso concetto di maschile, apprezzato e valorizzato per la sua congenita debolezza, per la sua naturale imperfezione, in generale per la sua divergenza rispetto al pensiero comune. Attraverso il ricorso ad oggetti, immagini o topoi culturali fortemente connotati a livello semantico, di cui l’artista mette in dubbio o ribalta completamente il significato (la corona di alloro della retorica classica, ma anche la statuaria monumentale di quella fascista, un monumento equestre che, pensato come claudicante, diventa un antimonumento, coppie di corone commemorative che comunicano contemporaneamente ascesa e caduta, la dialettica preda/cacciatore, etc.), Tomaso De Luca fornisce una personale rilettura dell’immagine dell’uomo. Generous Palmstroke (2012), l’opera realizzata dall’artista per Versus, è un esito, al tempo stesso compiuto ed estremamente raffinato, del dialogo oppositivo natura/artificio e uomo/architettura che connota tutta la sua ricerca.

Nella ricerca di Renato Leotta (Torino, 1982), la sua natura schiva di torinese di origini catanesi, un background formativo di tipo tecnico ed un approccio analitico unito a rigore critico, producono, a mio avviso, esiti estremamente poetici. La sua attenzione si concentra sul passato recente vissuto dalla generazione degli attuali trentenni, attraverso la creazione di installazioni ambientali, da lui definite ‘simulazioni di passeggiate’, in cui immagini fotografiche recuperate dall’archivio della nostra memoria collettiva, piccoli oggetti vintage, tessuti e materiali fortemente connotati, si caricano di significati più ampi di quelli di cui sono portatori in origine, grazie alla meticolosa ermeneutica allestitiva di volta in volta studiata da Renato Leotta in base al contesto spaziale in cui lavora. Le sue installazioni si presentano come condensazioni per immagini di periodi storici e geografie spesso individuabili, ma volutamente non esplicitate dall’artista. Una certa idea ormai irrimediabilmente perduta di sud, l’inconfondibile profilo di Minerva delle monete da cento lire apposte su cotone blu Fiat o collocate a muro a mò di ritratto, il tempo della Fiat Tipo (e di una certa mitologia della fabbrica) sul cui finestrino il riflesso di un paesaggio al tramonto crea un cortocircuito di senso, il recupero del linguaggio asciutto utilizzato da una generazione di ragazzi cresciuta per strada, ma anche l’immagine recente di una giornalista del TG3 che diventa il paradigma dei tanto rapidi quanto discutibili cambiamenti sociali e culturali avvenuti nel nostro paese dagli anni Ottanta ad oggi. Renato Leotta dissemina il suo lavoro di indizi apparentemente ermetici eppure, al tempo stesso, impietosi e poetici.

Definirei Marco Strappato (Porto San Giorgio, FM, 1982) un found footage artist, cioè un artista che, come altri della sua generazione, lavora utilizzando materiale già esistente (soprattutto fotografie e video), che poi sottopone ad un impietoso processo di analisi e destrutturazione interne. Grazie ad una visione a tutto campo degli strumenti utilizzabili nella propria ricerca, ottenuta assommando ad una preparazione pittorica, un più contemporaneo profilo filmico e videografico, Marco Strappato ha dimostrato nei suoi lavori più recenti una sorprendente maturità artistica. Partito dall’analisi di immagini estrapolate dal personale archivio familiare, ha poi iniziato ad utilizzare immagini ‘altre’ che di quella portata affettiva avevano ormai solo una suggestione. La spasmodica analisi del meccanismo della visione, intesa come capacità di leggere le immagini andando oltre la loro superficie, sta lentamente conducendo l’artista verso una dimensione sempre più ‘spaziale’. Nel tentativo di annullare la passività del guardare e favorire così il fluire di quella moltitudine di relazioni mentali di cui ciascuna immagine è portatrice, con More than nine landscapes (pyramids) (2012) l’artista passa da un’iniziale condizione visiva bidimensionale ad una più esplicitamente fisica, anche se pur sempre eminentemente mentale.

Per Versus XVIII è stato prodotto un catalogo rinnovato nella concezione già dall’edizione precedente. Non più il tradizionale contenitore di testo ed immagini di documentazione della mostra, ma uno strumento vivo e personale che ciascun artista ha liberamente interpretato a proprio modo.

Si ringraziano Paolo Di Paolantonio e le gallerie Monitor, Roma; galleria Gentili, Prato; The Gallery Apart, Roma.
Si ringrazia per il contributo: Regione Piemonte.
Catalogo in mostra.

Inaugurazione 27 settembre ore 18.30

Velan Centro arte contemporanea
via Saluzzo 64 Torino
Orario: giov-sab 15.30-19.30
Ingresso libero

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Jacopo Miliani
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