Tomaso Montanari, durante quest'ultimo appuntamento estivo, affronta il ruolo e il valore del patrimonio culturale, inteso nel suo essere sia un bene comune che un bene di mercato.
Tomaso Montanari
Professore associato di Storia dell'arte moderna, Università degli studi di
Napoli 'Federico II', Dipartimento di Studi umanistici
Il paesaggio, l’ambiente e il patrimonio artistico sono di tutti. Ma non di tutti e di nessuno: invece, di
tutti e di ciascuno di noi. Sono, cioè, una proprietà collettiva il cui vero scopo è soddisfare ai diritti
fondamentali delle persone. Sono, dunque, beni comuni che servono a realizzare il bene comune: che
è la civilizzazione (questa bellissima parola che, per esempio in Francia, è un modo più consapevole
per dire «cultura»). È possibile dimostrare che questa idea risale all’età classica, e plasma la coscienza
italiana fin dai suoi albori. È per questo che, in Italia, una lunga storia culturale ha identificato nel
patrimonio artistico un valore alternativo al mercato, ad esso irriducibile. E la storiografia artistica ha
avuto anche questa funzione: ha determinato cosa e quanto, di quel vastissimo patrimonio, potesse e
dovesse progressivamente uscire dal circuito economico, entrando in quello morale e civile. Oggi,
invece, una profonda depressione culturale riduce la nostra vita alla sola dimensione economica: o
meglio finanziaria.
Ciò che interessa è il denaro, da cui trarre nuovo denaro in un processo di
partenogenesi: per nulla virginale, però. Non sbaglieremmo di molto se dicessimo che ventitré ore
della nostra giornata, settant’anni della nostra vita, i nove decimi dei nostri desideri sono dedicati al
denaro. Ma, come riconosceva perfino la pubblicità di una carta di credito, esistono cose che non
hanno prezzo, che non si possono comprare. Il perché lo spiega bene il filosofo americano Michael J.
Sandel: «Perché preoccuparsi del fatto che stiamo andando verso una società in cui tutto è in vendita?
Per due ragioni, una riguarda la disuguaglianza; l’altra la corruzione [...] Assegnare un prezzo alle
cose buone può corromperle. Questo perché i mercati non solo distribuiscono beni: essi esprimono e
promuovono anche determinati atteggiamenti nei confronti dei beni oggetto di scambio [...] Spesso gli
economisti assumono che i mercati siano inerti, che non abbiano ripercussioni sui beni che
scambiano. Ma questo non è vero. I mercati lasciano il segno. Talvolta, i valori di mercato scalzano
valori non di mercato di cui varrebbe la pena tener conto. [...] Se trasformate in merci, alcune delle
cose buone della vita vengono corrotte e degradate. Dunque, per stabilire dove va collocato il mercato
e a che distanza andrebbe tenuto, dobbiamo decidere come valutare i beni in questione – la salute,
l’istruzione, la sfera familiare, la natura, l’arte, i doveri civici, e così via».
Tomaso Montanari
Incontro 3 luglio alle 19
Piazza Giorgini,
Firenze - Toscana.
Orario: 19. Ingresso libero.