Un'operazione artistica divisa in vari capitoli, in mostra sono presenti i primi due. Elena Bellantoni gioca con le parole, la pittura, e l'installazione. Lo spettatore e' invitato ad entrare in empatia con G.i.u.l.i.a., vede i suoi quadri, legge i suoi scritti, entra nella sua camera e sbircia nel suo passato.
G. i. u. l. i. a.
Si tratta di un’operazione artistica, divisa in vari capitoli. In mostra sono presenti i primi due. Elena Bellantoni gioca con le parole, la pittura, e l’istallazione. Lo spettatore è invitato ad entrare in empatia con G.i.u.l.i.a., vede i suoi quadri, legge i suoi scritti, entra nella sua camera e sbircia nel suo passato.
Esposti in un corridoio dei quadri dell’artista?,che conducono in una stanza dipinta, tutto è bianco: un letto, una bottiglia, un vestito,uno specchio… è la prima bozza di un’opera, una tela ancora da sporcare. Così i primi due capitoli che G.i.u.l.i.a. lascia come panni appesi alle pareti. Il gioco tra parola e immagine è aperto, un enorme ipertesto, è la pittura che scrive delle immagini o viceversa? Proiettati sulla parete centrale della camera di G.i.u.l.i.a. i colori del passato rivivono come ricordo universale, come storia tutti, una macchina del tempo che riporta indietro chi guarda. Non una autocelebrazione dunque, ma un tentativo di appropriamento nelle parole, nelle immagini di un sentire comune, possibile solo attraverso l’arte.
G.i.u.l.i.a. è uno pseudonimo, il nome come per tutte le cose è una convenzione. Tutti potrebbero essere G.i.u.l.i.a., quest’apertura totale consente di giocare con chi guarda, esibire e svelare la rappresentazione, chi è e cosa e più vero? Il corpo dell’arte si apre, spiega le proprie pagine esibisce il dentro, i pensieri, e il fuori, la forma. Il contenuto potrebbe essere quello di chiunque, G.i.u.l.i.a. dunque non esiste, o è talmente vera perché appartiene a tutti, è un gioco delle parti che come in un pendolo oscilla all’infinito tra realtà e finzione, tra sguardo e immagine.
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