Molto recentemente l'antropologo Massimo Canevacci, nel volgere l'attenzione sugli sconfinati panorami della comunità visiva e dei media, ha sottolineato come tra i tanti, possibili "videoscape" del nostro immaginario multi-soggettivo si instauri uno "scenario dell'ibrido". Scenario che risulta al tempo stesso sempre più abitato da un "mix di organico e inorganico" di "tutte le forme possibili dell'essere, fino alla sua astrazione finale verso il disapparire".
Molto recentemente l'antropologo Massimo Canevacci, nel volgere l'attenzione sugli sconfinati panorami della comunità visiva e dei media, ha sottolineato come tra i tanti, possibili "videoscape" del nostro immaginario multi-soggettivo si instauri uno "scenario dell'ibrido". Scenario che risulta al tempo stesso sempre più abitato da un "mix di organico e inorganico" di "tutte le forme possibili dell'essere, fino alla sua astrazione finale verso il disapparire".
Una condizione spesso condivisa e sperimentata negli ambiti aperti delle ricerche artistiche dei nostri anni. Dove all'interno dell'iconosfera nella quale siamo immersi senza soluzione di continuità , vengono colti e trasformati i passaggi continui di genere e di linguaggio. E dove si espone e si "performa" l'artificiale per entrare, sempre seguendo Canevacci, "dentro i nuovi feticci visuali" per trasformarli "da potenti simboli in innocui, giocosi, plurali e polifonici segni". Ecco dunque il mutamento che transita quasi ovunque sulla superficie e sulla pelle del mondo che si fa immagine. E che sembra di non avere più la necessità e l'urgenza di motivare distinzioni, separazioni e contrapposizioni.
E l'artista non solo è consapevole di agire all'interno del mondo e sulla sua pelle, tanto da frastagliarne nuovamente i confini e i limiti e da posizionarsi sulle soglie. Nel gioco insinuante e variegato del vero e del falso e nell'ambiguità esponenziale dell'artificio si sofferma consapevolmente a indicare e a sostenere lo "scarto". Una pratica mentale e riflessiva che mira a rimettere in campo le differenze e forse anche a renderle trasparenti. In questo senso anche l'immagine e la sua perturbante "instabilità " viene colta e praticata dagli artisti proprio sulla soglia un prelievo diretto e già dato, già fatto e motivato dalla presenza di una reinterpretazione.
La complessità degli approcci e degli avvicinamenti all'apparenza fenomenica del reale viene ripensata e riproposta sotto il segno di una transitorietà "sospesa" che diventa cifra attiva di uno stile personale.
Nel lavoro e nelle immagini di Yoshie Nishikawa i soggetti "naturali" e "messi in posa" sembrano configurare uno degli approcci più tradizionali alla cosiddetta fotografia-icona. Una sorta di variazione modulata sul tema che tuttavia rompe il grado di assuefazione percettiva attraverso la saturazione ambientale del colore. Il rosso magnetico e magmatico della serie La Mia Rossa sembra solidificarsi e rapprendersi sui petali indefinibili delle rose. Naturale e artificiale si fondono e si annullano nella sola affermazione possibile (di "steiniana" memoria): "a rose is a rose, is a rose...".
Anche nella sospesa fissità delle Nature morte si avverte il disagio "perfetto" di un ritmo e di una scansione più vera-del-vero e quindi immersa in una soluzione di transito e di consapevole e raffinato ready-made; forse, non troppo lontano dai Memento Mori pubblicitari di Irving Penn. A loro volta assunti a memoria e a citazione/prelievo di una messa in scena artificiale della realtà visiva più nota e "stereotipata".
Altra modulazione "artificiale" per Davide Tranchina (Naturamorta) all'interno del nostro scenario urbano e metropolitano costituito dalle immagini dei cartelloni pubblicitari che si trasformano in frammenti di "vita saliente" al rumor bianco della Pop-Art.
Una frantumazione guidata e ricomposta di sfondi e di superfici, mentre la realtà del quotidiano scorre ai lati e si proietta come ombra tangibile o piega in rilievo sui pannelli delle affissioni. Ancora una volta la fotografia come prelievo diretto e consapevole insinua il dubbio sulla simultaneità di più sguardi in azione e di più "azioni" in uno sguardo.
Gli sconfinamenti e gli slittamenti da una soglia all'altra appartengono anche alle Foto di Famiglia di Alice Fiorilli. All'interno di un percorso reportagistico vengono isolati dettagli di manichini in modo tale da riprodurre una sorta di unità "familiare" riflessa e ricomposta in un simulacro.
L'occhio freddo e disincantato ricalca modelli e stili di vita e una specie di indagine antropologica trasversale. Mentre le diversità e le differenze assumono un sembiante quasi intercambiabile e le identità fittizie riscrivono ed elevano a potenza quelle "reali" e legittimate dalla consuetudine.
Per Alessandra Spranzi il principio della fotografia come assunzione del già -fatto è qualcosa di ancora più evidente di una dichiarazione di intenti e di poetica. È il pieno riconoscimento di una dimensione estetica in grado di interferire con la realtà e con i suoi doppi.
Differenze e distinzioni (nel suo lavoro intitolato Sesto Continente) tra "natura" e "artificio" si dissolvono nel riconoscimento di una perdita delle "nostre certezze" percettive e cognitive. Nei diorami fotografati all'interno del Museo di Storia Naturale di Milano e di Bonn si coglie l'eccesso iperreale dell'idea della natura conservata e bloccata nel tempo e nello spazio. La distanza "partecipata" di Spranzi nel reintrodurre la realtà sulla finzione, consente di verificare una sfasatura e di segnare un interstizio praticabile come un avvertimento e come un segnale.
(Roberto Daolio)
Orario: 15.30/19.30.
Daniela Facchinato - Image Gallery - via Zanardi 51 - Bologna - Tel: 051 6344649