Chiostri di San Domenico
Reggio Emilia
via Dante Alighieri, 11
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Robert Morris
dal 18/2/2005 al 19/2/2005
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Segnalato da

Ufficio Stampa Rosi Fontana




 
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18/2/2005

Robert Morris

Chiostri di San Domenico, Reggio Emilia

Less Than - Inaugurazione dell'opera permanente: secondo atto del progetto 'Invito a', ideato da Claudio Parmiggiani. L'opera permanente di R. Morris e' stata pensata appositamente per il segreto e silenzioso Chiostro Piccolo ed e' composta da due parti: una materiale, l'altra immateriale, una scultura in bronzo associata a suoni industriali che vengono emessi al crepuscolo.


comunicato stampa

Less Than - Inaugurazione dell'opera permanente

Si inaugurerà il 19 febbraio 2004 nel Chiostro Piccolo (o Chiostro dei Morti) nel complesso dei Chiostri di San Domenico a Reggio Emilia Less Than l’opera di Robert Morris, nell’ambito del progetto, Invito a Luciano Fabro, Sol LeWitt, Eliseo Mattiacci, Robert Morris e Richard Serra, ideato da Claudio Parmiggiani. Il progetto giunge così al suo secondo atto, dopo l’inaugurazione nel settembre 2004 di Wirls and Twirls 1 di Sol LeWitt, opera permanente realizzata per la Sala di Lettura della Biblioteca Panizzi.

Invito a, che si completerà nell’arco dei prossimi due anni, muove dall’ esigenza del Comune di Reggio Emilia, nella veste di committente pubblico, di realizzare in luoghi storici e significativi della città, cinque opere permanenti al fine di donare alla comunità testimonianze particolarmente significative dell’arte del nostro tempo, rifuggendo dalla pratica, oggi sistematica, della produzione di manifestazioni artistiche perlopiù temporanee configurandosi, invece, nel cammino opposto, nell’opera come valore acquisito in forma permanente.

Nato dalla volontà del Comune di Reggio Emilia e dei Musei Civici, Invito a trova nell’azienda Max Mara il suo sponsor principale.

Non è prassi d’uso che un artista rivolga un invito ad un altro artista ma questo, è ciò che accade con questo progetto, dove è appunto un artista, Claudio Parmiggiani a rivolgersi ad artisti che, dentro una tradizione, hanno saputo aprire prospettive in una lingua nuova. L’invito a Fabro, LeWitt, Mattiacci, Morris e Serra ha tenuto conto, in primo luogo, di presupposti di rigore intellettuale e della riconosciuta importanza della loro opera unita a una forte consapevolezza di cosa significhi per un’ artista fare arte oggi, specialmente, quando è richiesta una riflessione nella memoria di una comunità e la congiunzione al delicato ed intimo suo essere nei luoghi, nella storia, nell’anima. Opere che siano, dunque, espressione della più autentica solidarietà con l’ ambiente e la sua realtà. Un’arte meditativa “al servizio della collettività”, un’arte che sappia rivolgersi all’osservatore che, ricettivo e consapevole, ne colga la valenza etica e civile. Un’arte al servizio dell’ intelligenza e dello spirito, che adempia alla sua funzione estetica e culturale, nella società contemporanea che vuole lasciare segni tangibili e testimonianze di valore nel suo divenire.

Reggio Emilia sta vivendo una stagione di grandi cambiamenti ed evoluzioni. In questa visione, che guarda al futuro in special modo, si pone il progetto Invito a un investimento in cultura e sapere, elementi sempre più strategici e inscindibili da uno sviluppo consapevole e sostenibile.

Less Than di Robert Morris

L’opera permanente di Robert Morris è stata pensata appositamente per il segreto e silenzioso Chiostro Piccolo (detto anche Chiostro dei Morti) dominato dall’imponente fiancata dell’antica chiesa dominicana, all’interno del complesso monumentale dei Chiostri di S. Domenico.

Less Than, questo il titolo dell’opera, è composta da due parti: una materiale, l’altra immateriale, una scultura in bronzo associata a suoni industriali che vengono emessi al crepuscolo.

L’opera si impone allo spettatore come un corpo, un corpo poderoso, tanto più corpo in quanto acefalo. Nessuna identità, nessuna comunicazione: il corpo come simulacro dell’arte, dove, la mostruosa e grottesca mutilazione della parte nobile e pensante dell’umano non designa la morte, ma la vita. Questo corpo, di natura ambigua, proteso in avanti, porta una grande anfora in equilibrio sulla schiena e, se la figura nel suo insieme allude ad una narrazione, Morris non narra ma sceglie deliberatamente il registro dell’ allegoria. L’anfora evoca il mitico vaso che Pandora ha sciaguratamente aperto, lasciandone uscire, spargendosi sulla terra, i venti crudeli della miseria e del male. L’immagine dell’anfora può anche rimandare all’urna funeraria, ed evocare così, direttamente, la morte. Ma l’anfora è anche la rappresentazione della fonte, quindi simbolo di vita. Il corpo che si piega sotto il peso del suo destino rimanda alle icone della caduta e della cacciata dal Paradiso. Nel testo che accompagna l’opera, Morris si interroga sulle origini del male e, mentre l’anfora costituisce un richiamo mitologico o simbolico, l’ atteggiamento del corpo sottomesso, curvo sotto la punizione e costretto a camminare senza meta, rimanda alla tradizione artistica nel raffigurare la punizione del peccato originale, registrando l’impossibilità da parte dell’ uomo di far evolvere la propria condizione, il suo irredimibile disporsi dalla parte del male e l’incapacità di reagire alle forze che lo muovono: la sua alienazione definitiva e immutabile. Se lo stile della figura proposta da Morris a Reggio Emilia è difficile da definire, i tratti caratteristici della rappresentazione come del trattamento plastico, e in particolare la scala enfatica dell’opera, evocano il pathos. Quel pathos che, rimosso dal modernismo, è divenuto per Morris un territorio familiare nelle installazioni post-apocalittiche che ha realizzato agli inizi degli anni Ottanta. Un pathos ulteriormente accentuato dal fatto che questa scultura è solo uno degli elementi di un’opera, di cui l’altra principale componente è il Chiostro stesso che la circonda facendone il suo centro. Il mondo esterno, che potrebbe sembrare assente, interviene anch’esso, sotto forma di una emissione di suoni che tutte le sere al calar del sole fa penetrare lo stridore e i rumori della vita quotidiana nel silenzio di un luogo un tempo adibito al raccoglimento. A lungo rinnegato, espulso ai margini dell’ortodossia moderna, il pathos trova oggi un nuovo terreno d’espressione. Come se un secolo intero di costruzione ideologica crollasse, la diga della razionalità critica cede davanti a una realtà dell’arte e del mondo che eccede il senso comune. Di fronte alle ingiunzioni della società, che li invita a operare un reincanto del mondo, gli artisti sembrano reagire prendendo la direzione opposta, instaurando una resistenza melanconica e patetica. Proponendo un’opera come risultato di una sottrazione –Meno che– Morris rinuncia alla centralità del buco che incombe sulla sua opera sin dalle origini, per mettere in opposizione microcosmo e macrocosmo, l’ essere umano di fronte alla natura e al mondo. La prima parola che viene alla mente per concludere questa formula tronca è il «nulla» invocato dall’espressione familiare «meno che nulla». In un mondo moderno meccanizzato e bellicoso, l’ uomo è soltanto un quasi-nulla che resiste alla consapevolezza di una sparizione. Questo «quasi nulla», curvo sotto il fardello della vita e del mondo è l’uomo, ed è anche l’arte. Ricorrendo alla figura come forma capace di scongiurare il nulla, Morris reinveste l’ultima presenza residuale di un potere di rigenerescenza. Se una prospettiva di quest’opera ci indica “l’origine”, ad un tempo punto di partenza e conclusione dell’avventura umana, un’origine sepolta, dimenticata, alla quale, ci dice l’artista, si può accedere solo atttraverso l’arte, intesa nella sua dimensione più essenziale, è addirittura possibile che, più radicalmente, in una società che ha rotto i ponti con la metafisica e vive una profonda crisi della trasmissione, Robert Morris ci porti a meditare sulla constatazione seguente: per l’uomo contemporaneo, l’origine, è l’arte.

Chiostri San Domenico - via Dante Alighieri 11 - Reggio Emilia

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