L'installazione TsunamiStudebaker chiude il ciclo Four Rooms, ideato da Sandra Solimano, che ha segnato un momento di incontro tra soggetti culturali appartenenti ad ambiti teorico-operativi-generazionali differenti. Dal '98 Crosa insiste sulla metafora dello Tsunami, terribile ed evocativa casualita' che l'artista, come un Wanderer ottocentesco, aggiorna continuamente
Sarà inaugurata martedì 5 luglio alle ore 18.00 al Museo d’Arte contemporanea di Villa Croce la mostra TsunamiStudebaker.
TsunamiStudebaker è un’installazione di Andrea Crosa, a cura di Mario Casanova, direttore del CACT Centro d’Arte Contemporanea Ticino, di Bellinzona, Svizzera, che chiude il ciclo Four Rooms, ideato da Sandra Solimano, direttrice del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, ciclo che ha segnato, da aprile a fine luglio, un intenso momento di incontro tra soggetti culturali appartenenti ad ambiti teorico-operativi-generazionali differenti.
Dal 1998 Crosa insiste sulla metafora dello Tsunami, terribile ed evocativa casualità riconducibile alla rappresentazione La grande onda al largo di Kanagawa del giapponese Hokusai (1830), icona che l’artista, come un Wanderer ottocentesco, porta con sé, continuamente aggiornata nel suo carnet di viaggio a riassumere e simboleggiare l’impotenza dell’uomo di fronte alla catastrofe non annunciata, consumata nell’attimo, nell’annullamento di spazio/tempo.
Due anni dopo (2000), durante un raduno di vetture Studebaker svoltosi a Richmond – sobborgo di Vancouver situato geograficamente e geologicamente sulla faglia di Sant’Andrea, che dalla California arriva in Canada –, l’artista sente in maniera particolarmente forte l’incombenza e la minaccia di un possibile Tsunami.
Crosa inizia così a fare proprio il concetto di instabilità .
Catturato dal binomio arte-architettura [segno nello spazio] – ridisegna, senza rispetto per la prospettiva, le case [bi- e tridimensionali] e i suoi interni, quasi fossero elementi di una quotidianità già trascorsa, divenuta scheletro della memoria. Non v’è presenza umana nei lavori di Andrea Crosa e tale assenza di “umanità in movimento†accentua la tragica sospensione del tempo nell’opera.
Nell’ultima sala l’artista presenta il punto d’arrivo della sua ricerca: un’agglomerazione di case tridimensionali di recente fattura raggruppate al centro dello spazio espositivo. Collocate sul pavimento, sono sottese alla visione microscopica dell’artista, il quale sembra così porsi ancor più al di fuori della riproduzione di una realtà ch’egli vede come gioco, e che rivela tutta la drammaticità di un apparente elemento costruttivo ludico e/o immaginifico.
Tali opere vengono illuminate dall’alto e accompagnate a un sonoro che riproduce il rumore delle pale di un elicottero in movimento ad evocare una “presenza minacciosa o salvificaâ€.
L’introduzione della tridimensionalità suggerisce, da un certo punto di vista una maggiore mobilità fisica dello spettatore attorno all’opera, rafforzando contemporaneamente anche l’impressione di fragilità e di possibile manipolazione dell’oggetto esposto. Tra questa sala e la sala n° 1 in cui l’artista propone l’intimità degli interni, piatti nella loro tipica ed incoerente prospettiva, la sala n° 2, fondamentalmente un corridoio che permette il passaggio del pubblico e rende possibile la comunicazione tra le due sale precedentemente descritte, è stata collocata un’automobile Studebaker President Speedster del 1955, amore infantile di Andrea Crosa e attualmente oggetto di collezione.
Apparentemente irrilevante, tale mezzo di trasporto reale assume in un contesto di mostra d’arte quella identità di oggetto ludico, della memoria/nostalgia, associandosi ai temi artistici prediletti di Andrea Crosa, ma avvicinandosi soprattutto all’impostazione linguistica della sua arte.
Il procedimento è legato al Ready Made per quanto attiene il citazionismo, assumendo contemporaneamente quel sapore performativo e assolutamente nuovo adatto a rendere più filmica l’opera di Crosa in questo preciso momento storico: il fattore zero.
Cenni biografici e critici
Andrea Crosa inizia la sua attività artistica nei primi anni ’80, nell’ambito delle ricerche dei Nuovi Futuristi, gruppo con cui espone in diverse collettive in Italia e all’estero, partecipando anche a grandi eventi quali Anni Novanta alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna (a cura di Renato Barilli), Meer in Sicht alla Kunsthalle di Amburgo (a cura di Matteo Fochessati) e a Italia Novanta alla Fabbrica del Vapore (a cura di Viana Conti).
A questa fase appartiene l’opera Composizione (1982) entrata a far parte delle raccolte del Museo con la collezione Cernuschi Ghiringhelli
Il lavoro di Andrea Crosa ha come elementi referenziali nella storia dell’arte la Pop Art, l’Iperrealismo, Il Futurismo, Il Postmoderno, la New Geo. Fin dall’adolescenza, a partire dalla frequentazione del Museo de Bellas Artes a Buenos Aires, i referenti emozionali della sua estetica riconducono al primo incontro con opere di Claes Oldenburg, Andy Warhol, Mark Rothko, David Hockney, il californiano Alan D’Arcangelo, Edward Hopper, Michelangelo Pistoletto. Erano gli anni in cui si cominciava a parlare di Low Culture, dando dignità di rappresentazione d’arte alle icone del quotidiano.
L’esito attuale della ricerca di Andrea Crosa, sotto il segno/titolo metaforico di Tsunami, è quello di un Illusionismo onirico- concettuale. Quando nel 1975, laureatosi architetto a Buenos Aires, rientra a Genova, Andrea Crosa lavora a grandi interni vuoti, olio su tela, che esporrà alla Galleria Rinaldo Rotta nel 1979. Nel 1980, prendendo a soggetto il cibo, si propone di arrivare all’astrazione attraverso un processo di Blow up, stratagemma che poi abbandona per rappresentare direttamente oggetti a olio ed encausto su tela, che verranno esposti nel 1981 alla Galleria Unimedia. Successivamente gli oggetti diventano corpi morbidi, su base di legno e cartone intelato. Nel 1983, a Milano, viene invitato alla mostra Home Sweet Home, curata da Luciano Inga-Pin e Francesca Alinovi. Nella Fiera di Bologna, immediatamente successiva (1984), sarà Luciano Palmieri a dare alla situazione il nome di Nuovo Futurismo, di cui Crosa sarà esponente. L’assunzione del nonsense alla Lewis Carroll, come paradigma di interferenza gioco/realtà , si affaccia in un’emblematica personale dal titolo Il Giardino di Alice, alla Galleria Andata/Ritorno di Ginevra. In seguito, i precedenti oggetti morbidi iniziano a connotarsi come abiti soft, da parete, in parte giapponesizzanti, esposti in una personale presso Luciano Inga-Pin (Milano, 1985). Nello stesso anno, con Dario Brevi e Bernardo Pedrini, fonda il gruppo Programma90 e insieme espongono da Inga-Pin e, nel 1986, da Murnik, nella Galleria Pantha Arte. Con la partecipazione a I suoni che abitano la natura, sezione della rassegna Giappone Avanguardia del Futuro, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Genova (1985) l’artista riconferma una sua particolare attenzione al mondo orientale. Nel 1986 apre a Genova il laboratorio La Teiera di Alice. Successivamente partecipa a collettive come Gemito 2, 1988, a cura di Enzo Cirone, a Genova, Ordine e Disordine, a cura di Renato Barilli, a Rimini, stesso anno, Italia90, a Milano presso La Fabbrica del Vapore, su iniziativa di “Flash Artâ€, 1990, Anni Novanta, a cura di Renato Barilli alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna,1991. In sintonia con un panorama della New-Geo, ma proseguendo un suo personale discorso di segno minimalista, l’artista prende le distanze dalle sue forme morbide per focalizzare una geometria, virtualmente tridimensionale, su fondi rigidi, cui dà visibilità nella mostra personale Esercizi d’instabilità , presso la Galleria Il Campo delle Fragole a Bologna, 1995. La parentesi operativa che l’artista
denomina Appropriazione (in)debita, mai esposta in pubblico, segna, attraverso citazioni da Savinio, Braque, Rothko, Hockney e artisti giapponesi, un riavvicinamento al paesaggio rappresentativo illusionista ed in particolare al lavoro sulle prospettive invertite, cui seguirà , nel 1998, l’attuale ciclo intitolato allo Tsunami.
Immagine: Andrea Crosa, TsunamiRichmon, 2003
La mostra è documentata da un catalogo bilingue edizioni Neos.e a cura di Mario Casanova con testi di Bernhard Bischoff, Mario Casanova, Viana Conti, Sandra Solimano.
Giovedì 7 luglio alle ore 17.30 Irma Arestizabal (Curatore dell’Istituto Italo Latino Americano di Roma) parlerà della situazione artistica a Buenos Aires negli Anni ’60.
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Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
Via Jacopo Ruffini 3 - 16128 Genova
Orari: Martedì - Venerdì (9.00/19.00); Sabato e Domenica (10.00/19.00); Lunedì chiuso.
Ingresso libero