Molte delle sfaccettature semantiche legate all’affascinante topos della “maschera", rientrano nelle opere di Massimo Festi, che ha deciso di cimentarsi nell’indagine di questo feticcio contemporaneo in rapporto alla societa'.
Commedia umana
Massimo Festi - “COMMEDIA UMANA"
Testo di Marialivia Brunelli
In un mondo in crisi che ha bisogno di sicurezze e certezze stabili, la maschera e' diventata simbolo dell’affannosa ricerca di un’entita' rassicurante dietro cui nascondersi, per non rivelare le proprie fragilita'. Oppure semplice copertura che legittima chi la indossa a comportarsi in maniera libera da ogni condizionamento. O ancora pirandelliana cancellazione di una identita' per crearne una nuova, differente modo di porsi davanti alla vita o agli individui a seconda delle circostanze, frammentata percezione che hanno gli altri della nostra persona.
Molte delle sfaccettature semantiche citate, legate all’affascinante topos della “maschera", rientrano nelle opere di Massimo Festi, che ha deciso di cimentarsi nell’indagine di questo feticcio contemporaneo in rapporto alla societa'. Lo ha fatto con toni ora drammatici ora ironici, ora polemici ora accattivanti, usando la pittura digitale, una tecnica che unisce pittura e tecnologia nell’elaborazione di immagini attraverso pennellate elettroniche.
Nei suoi soggetti la maschera assume diversi aspetti; Bunny Boy e La festa e' finita sono entrambe opere che giocano sull’ambiguita' della figura del coniglio, animale dalle molteplici valenze simboliche: innocente creatura di “Alice nel paese delle meraviglie", ma anche bersaglio di allusioni per la sua proverbiale frenesia sessuale. La maschera ha quindi in questo caso un esplicito rimando erotico alla figura della “ragazza-coniglietta" (playmate mascherata da gattina), col trucco colato e il rossetto sbavato a indicare dionisiache sfrenatezze notturne; a lei si accosta ironicamente un “ragazzo-coniglietto" dagli occhi altrettanto infuocati, a denunciare una raggiunta parita' sessuale nell’esercizio della mercificazione del proprio corpo.
Non accetta le regole del gioco e decide di abbandonare la “festa", pur avendo gia' esibito la sua fragile nudita', il giovane ragazzo di I quit, che rivela in questo modo tutta la sua inadeguatezza e il suo disarmante disagio.
La figura di Senza parole e' invece legata all’idea del desiderio e ricerca la dimensione del desiderio all’insegna del gioco: occorre cercarsi anche se mascherati, superando ogni ingannevole travestimento con silenzi pieni di significato.
Le opere K e Yakuza escono dalla dimensione del “festino domestico", cui rimandano peraltro gli sfondi delle opere, carte da parati kitsch e festose, per confrontasi con la problematicita' di mondi solo apparentemente lontani. Se il primo allude alla reversibilita' del ruolo del carnefice nella societa' americana (ritraendo un nero che indossa la maschera da boia del “Ku Kux Klan"), il secondo rimanda invece alla inafferrabilita' di un Oriente per noi misterioso (in cui i confini tra il suadente universo delle geishe e quello inquietante della mafia giapponese sono labili e sottili).
Gli unici a non essere mascherati sono solo due personaggi: un anziano corroso dagli anni e una giovane adolescente dalla pelle vellutata. Il primo, No mask no party, e' un vecchio segnato dalla vita che non ha piu' bisogno di indossare maschere, perche' e' lui stesso la maschera dei suoi anni, che hanno inciso sul suo volto i segni di dolori e gioie non piu' occultabili perche' mescolati con il suo sangue e con la sua pelle, fino a trasformarne la fisionomia.
La seconda, protagonista di Today I am a woman, sembra la vergine offerta in sacrificio ad un notturno culto dionisiaco: ha perso per sempre la sua purezza fanciullesca e ora e' giunto anche per lei il momento di indossare la maschera e confrontasi con il mondo.
Come diceva Emil Cioran…"il destino non e' che una maschera, come e' maschera tutto cio' che non e' la morte"..
Villa Capriglio
Strada al traforo di Pino - Torino
Orario: gio-dom 17-20
Ingresso libero