Chiostro del Duomo
Prato

Pensieri
dal 15/7/2001 al 5/9/2001

Segnalato da

Silvia Bacci, Ufficio stampa




 
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15/7/2001

Pensieri

Chiostro del Duomo, Prato

Rassegna di Teatro. Primo appuntamento con Kohlhaas di Marco Baliani e Remo Rostagno tratto da Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist con Marco Baliani. Inizio spettacolo alle ore 21.30.


comunicato stampa

Rassegna di Teatro
Chiostro del Duomo di Prato
Inizio spettacoli, ore 21.30
Tutti gli spettacoli sono ad ingresso libero fino ad esaurimento posti.

16 luglio, ore 21.30
KOHLHAAS
di Marco Baliani e Remo Rostagno
tratto da Michael Kohlhaas di Heinrich von Kleist con Marco Baliani

Fra le molte strade per arrivare a esprimere i sentimenti e le emozioni del teatro, l'attore regista e drammaturgo Marco Baliani talento fra i più interessanti della generazione tra i trenta e i quarant'anni, una lunga militanza nello spettacolo per ragazzi ne ha scelta una antichissima, e all'apparenza quasi elementare: quella del racconto, della testimonianza orale da null'altro sostenuta che da un'acuta percezione dei percorsi interni del materiale narrativo scelto, e da una straordinaria intelligenza teatrale nel comunicarli allo spettatore.
Solo sulla scena nuda e spoglia, attrezzato unicamente di una dimessa sedia di legno, Baliani presenta il suo bellissimo Kohlhaas, la tappa più recente di una ricerca sulle tecniche di affabulazione che dura ormai da tre anni. Ma l'aspetto più suggestivo di Kohlhaas è nell'incredibile ricchezza espressiva e pienezza d'espressione che il suo creatore riesce a raggiungere con mezzi che parrebbero tanto scarni: grazie alla sorvegliatissima mobilità del viso che un anonimo rende pallido sotto i riflettori, a una duttile intelligenza dei ritmi, delle variazioni tonali e soprattutto a una gestualità asciutta, geometrica ma in certi passaggi narrativi di un'intensità lancinante, Baliani riesce a popolare la scena di apparizioni, eventi, pensieri, emozioni, dimostrando con un'evidenza impressionante come l'apparato formale del teatro possa risultare inutile e fuorviante di fronte all'urgenza abbagliante di una storia da raccontare.



18 e 20 luglio, ore 21.30
LE PARETI DELLA SOLITUDINE
tratto dall'opera di Tahar Ben Jelloun
con Fernando Maraghini e Papi Thiam (musica e voce)
Progetto drammaturgico, scene e regia di Massimo Luconi

'Le Pareti della solitudine' è un romanzosaggio scritto con un linguaggio simbolico e poetico tra il 1975 e il 1976 e frutto dell'esperienza di Ben Jelloun come psicologo in un centro di accoglienza per immigrati a Parigi.
Quel che desta l'interesse di Ben Jelloun non è il lavoratore nella fabbrica o nel cantiere, ma quello stesso uomo fuori dalle ore di lavoro: la sera, le domeniche, i giorni festivi.
Tempo che passa, difficile da riempire, tempo angoscioso.
E' allora che la solitudine prende yuyyo il suo posto, si appropria degli oggetti e 'avvolge il corpo in un velo di umidità'.
La struttura narrativa dello spettacolo riprende e sviluppa in forma poetica, non realistica, il tema della solitudine e dell'estremo malessere nello scontro fra differenti culture.
Il protagonista è uno dei tanti emigranti che trascina la propria vita e il proprio corpo in una città a lui estranea. Una persona invasa dai sogni che sopravvive grazie alla capacità di inventarsi una vita anche se fatta di chimere e di nostalgia.
Quell'uomo, quell'emigrante potrebbe essere nato in qualsiasi paese, sotto qualsiasi orizzonte, poco importa la sua nazionalità. Al fondo del suo delirio c'è un'unica certezza, una donna sognata: reale o immaginaria che sia, quella donna esiste, perché anche se è soltanto un'immagine sulla carta patinata di una rivista, lei gli parla, gli tiene compagnia e diventa complice della sua follia.
Il percorso sonoro, musica e canto live di Papi Thiam (uno straordinario musicista senegalese che da alcuni anni vive a Firenze) accompagna lo spettacolo, si intreccia sul linguaggio simbolico e poetico della narrazione; si inserisce sulla valenza sonora della parola e ne amplifica la forza drammaturgica, diventando parte integrante del progetto drammaturgico.



25 luglio, ore 21.30
ARTHUR ET BELLE
testo di F.Botti
con: Francesco Botti e Gianni Bruschi
regia di Erica Pacileo

Immaginare un'operazione teatrale sulla vita di Jean Nicholas Arthur Rimbaud, significa immergersi e respirare i fermenti di una "stagione all'Inferno" di fine Ottocento, significa considerare e ripercorrere dal 1854 al 1891 una successione pazzesca di viaggi ed eventi in giro per il mondo dalla Francia, attraverso tutta Europa, in Africa, a Cipro passando per i principali scali commerciali del Mediterraneo.
Arthur et Belle, ovvero 'fratello e sorella', gli unici due figli superstiti di una numerosa famiglia francese.
In riva al mare, pronti a raggiungere l'Africa.
E' il ritratto immaginato delle ultime ore di vita del poeta Arthur Rimbaud (1854/1891), del "piccolo fratellino balordo", assistito devotamente dalla sorella Isabelle. Definito poeta bambino fin dai primi esordi letterari, il poeta francese di Charleville, spesso superficialmente accostato al gruppo dei poeti decadenti, concentra la sua produzione poetica in soli tre anni di vita e si annuncia al mondo come veggente distinguendosi come artista precoce ed attento, duttile e rivoluzionario, immerso in un periodo storico confuso e già volto al cambiamento del vicino ventesimo secolo.
Improvvisamente abbandona la Francia e la poesia, fugge dalla madre e dalla vita provinciale per dedicarsi al commercio con l'Oriente. Parigi ed i circoli letterari del tempo lo acclamano come genio e lui scappa dal fracasso della città per fare l'agente commerciale. Dopo gli anni a piedi per l'Europa, gli scandali a Parigi, le provocazioni giovanili, una grave malattia al ginocchio sinistro lo costringe gradualmente all'infermità. Vicino alla sorella Arthur conclude la sua breve vita di veggente, di esploratore indomito alla ricerca del senso delle cose, parla di conversione, di Dio. Niente Boheme, niente trasgressione, niente maledettismo dei poeti e tutto il loro compiacimento. La visione della nostra civiltà, le aspettative per il nuovo millennio ci spingono a riscoprire un Arthur Rimbaud 'profeta', anche lui precursore di un passaggio di secolo con tutte le implicazioni e le domande su arte, morale e le fatali contraddizioni dalle quali distilla gli ultimi gemiti al cospetto della sorella Isabelle.



30 luglio, ore 21.30
Teatro delle Briciole presenta:
UN BACIO…UN BACIO ANCOR…UN ALTRO BACIO
liberamente ispirato all'Otello di Shakespeare e Verdi
Regia e scene: Letizia Quintavalla e Bruno Stori
Con: Paola Crecchi, Claudio Guain, Morello Rinaldi

Il capolavoro assoluto del Teatro delle Briciole. Un sordo, un cieco e una muta. Possono questi tre derelitti raccontare una storia così grande come quella dell'Otello? Crediamo proprio di sì. La cieca gelosia di Otello, la sorda invidia di Jago e la muta innocenza di Desdemona. Quali migliori interpreti! Il tema dello spettacolo sono i SENTIMENTI trattati come la sola materia, immutabile storica, reale e immediatamente riconoscibile dagli spettatori. In particolare qui si parla dell'amore, della gelosia e dell'invidia. I sentimenti sono spettacolarizzati e le passioni esibite. Le mutilazioni e i trucchi, a cui devono ricorrere il sordo, il cieco e la muta per nasconderle al pubblico, incidono sulla rappresentazione "abbassandola" ad un livello più ingenuo e popolare. La tragedia classica si "degrada" in una forma minore, quasi una pantomima dialogata. La musica (dall'Otello di Giuseppe Verdi), usata come strumento di sottolineatura emotiva, incita i tre attori ad esprimere le emozioni dei loro personaggi come nei tableaux del mélodrame. Il testo di Shakespeare si riduce drasticamente e rimangono solo le frasi emblematiche dei personaggi e le informazioni narrative. In compenso gli attori creano un nuovo testo con commenti su ciò che accade e riflessioni loro sui temi dell'amore e della gelosia e si trovano a recitare utilizzando una forte impronta dialettale.
Pubblico limitato a 150 spettatori.


1 agosto, ore 21.30
LA TUA VESTE BIANCA - Balocco
Giorgio Rossi
Balocco (1992)
Coreografia e interpretazione: Giorgio Rossi
Costumi: Francesco Calcagnini
Prodotto e distribuito da: Associazione Sosta Palmizi

Così lontano dalla memoria che non ero ancora nato.
Odori, rumori e sapori di un tempo forse solo immaginato.
Quello che si vedrà in fondo c'era già.
La necessità di manifestarsi, in quanto veicolo di memoria che non può non agire, è la condizione iniziale di questo pezzo.

E la tua veste bianca (1996)

Una danza d'amore
Di e con Giorgio Rossi
Testi di Salvatore Quasimodo e Friedrich Nieztsche
Musiche di Anouar Brahem, Billie Holiday, Residence.

"E la tua veste bianca" è il tentativo di unire al movimento nello spazio
la mia sensazione su questo mondo che trasforma tutto.
Passo da una danza armonica calda ed ironica, che si gioca
forse sotto la tenda di Shahrazàd in mezzo al deserto, al tramonto primaverile,
davanti a freschi e aperti visi di fanciulle incantate, che m'incantano,
nel paese della fantasia al sorriso tra il lievemente perverso e il divertito, nel caos
dell'apparente ordine di questo mondo fatto di egoismi al silicone con facce
da tubi catodici, che sono indifferenti ai massacri quotidiani ed attenti all'apparenza di
apparire felici accessoriati fino alla nausea. La Danza finisce in un autodistruzione,
contenta di sparare e spararsi e di tagliarsi le chiappe, gli attributi, sbudellandosi
in un rituale kitsch della grande felicità, che ci viene dagli U.S.A e getta.



8 agosto, ore 21.30
GIONA
Enrico Fink voce recitante
Amit Arieli clarinetto

Ritorna, a grande richiesta, il teatro di Enrico Fink.
Così si legge il giorno di Kippur, la più solenne festività del calendario ebraico, dopo aver dato lettura del Libro di Giona. Giona in ebraico suona Jona, ovvero colomba, e richiama alla mentre l'altra colomba, quella portatrice del ramoscello d'olivo simbolo di pace: e così il profeta in fuga, Giona, porta la pace a chi nel giorno di Kippur cerca la Riconciliazione con il Divino, e la remissione dei propri peccati.
Il Libro di Giona è insieme racconto fantastico e parabola dai mille significati, e dalle ancora più numerose interpretazioni; cercheremo di trasmetterne alcune possibili emozioni, grazie alle sue parole e alla sua musica. Leggeremo infatti il testo nella traduzione italiana di Giacoma Limentani, accompagnando la lettura con musica ispirata alla tradizione liturgica ebraica est europea; e canteremo brani del testo originale, secondo la tradizione dei cantori (hazanim) che leggono i testi sacri seguendo antichissime indicazioni musicali, i teamim. Alla fine, chiuderemo con un'immersione vera e propria nel mondo della tradizione cantoriale, cantando alcune melodie legate alle preghiere del giorno di Kippur.



5 Settembre, ore 21.30
Elisabetta Pozzi
in MEDEA
da Cristha Wolf
traduzione di Anita Raja - Edizioni E/O
adattamento teatrale di Elisabetta Pozzi
musiche composte ed eseguite da Daniele D'Angelo
a cura di Walter Le Moli

Ha i toni di una tragedia moderna, questa Medea feroce di Cristha Wolf, in cui Elisabetta Pozzi fa le sue invettive, le riflessioni, i dolori di un'eroina fortemente dotata di ragionamento e da sempre capace di suscitare idee, nuove interpretazioni e confronti.

Nella tradizione classica, la vicenda narrata da Euripide si snoda intorno ad una "barbara della Colchide" che per vendicarsi del tradimento dello sposo Giasone, uccide i propri figli dopo aver incendiato la città che la ospitava e provocato la morte della rivale attraverso il regalo di nozze: un abito magico che prende fuoco non appena indossato.

Cristha Wolf, la scrittrice tedesca che ha rivisitato miti classici adattandoli alla sensibilità contemporanea, concentrandosi prevalentemente sui personaggi femminili, nell'omonimo romanzo si riallaccia alle fonti antecedenti al testo di Euripide ribaltando totalmente la figura di Medea. Una donna forte e libera che a Corinto viene emarginata perché "diversa". E allora i veri barbari sono i corinzi incapaci di comprendere o accettare una cultura diversa dalla loro: annientano Medea negli affetti, fino a lapidarle i figli, schiacciandola sotto il peso del suo dolore di straniera.

Elisabetta Pozzi, una fra le più grandi attrici italiane della seconda generazione, così dice di questa Medea "mi ha colpito la possibilità di scoprire Medea quale donna paradossalmente libera dall'immagine di infanticida per eccellenza. Non più assassina dei figli ma una barbara lontana dalla Colchide e privata anche della sua estrema vendetta".

Ufficio stampa Silvia Bacci tel 0574 616403
s.bacci@comune.prato.it

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