Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi
Piacenza
via San Siro, 13
0523 320742 FAX 0523 320742
WEB
Romano Tagliaferri
dal 16/3/2007 al 21/4/2007
martedi' - domenica, 10-12 e 15-18, lunedi' chiuso

Segnalato da

Galleria Ricci Oddi




 
calendario eventi  :: 




16/3/2007

Romano Tagliaferri

Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza

Le carte, tutte di 50 x 35 cm e datate tra il 2003 e il 2005, qui esposte con alcune tempere su tavola, sono parte di una serie di un'ottantina di fogli che l'artista aveva pensato, e preparato, per una mostra. L'indicazione 'E-Mail', in un corsivo curato, o in stampatello, in diverse grandezze e colori, riappare costante e insistente.


comunicato stampa

Sabato 17 marzo 2007 sarà inaugurata E-MAIL @ PITTURA, mostra dedicata all'artista piacentino Romano Tagliaferri.

Connessioni amorose

Luciano Caramel

Le carte, tutte di 50 x 35 cm e datate tra il 2003 e il 2005, qui esposte, con alcune tempere su tavola coeve di misura maggiore, sono parte, parte sostanziosa, anche quantitativamente, di una serie di un’ottantina di fogli che Romano Tagliaferri aveva pensato, e preparato, per una mostra. Come era avvenuto subito prima, nel 2002, per il breve ciclo B come Barino1, e nel 1999 per quello, di 46 tavole, intitolato alla fine del millennio, Mille 999, tra Oriente e Occidente2. Se così fosse stato, la lettura sarebbe certo stata più semplice. Si sarebbe trattato di un episodio, di una fase, da correlare con qualche accenno, se lo si fosse voluto, a quanto il pittore aveva fatto in precedenza, e da aprire in prospettiva al futuro.

La scomparsa prematura di Tagliaferri carica di significati più ampi questa mostra. Che è quella che l’artista voleva fare e che gli amici, con la moglie e la figlia, Anna e Laura, sono riusciti a condurre in porto con le istituzioni locali, in una sede di particolare eccellenza, la Galleria Ricci Oddi, che dell’arte contemporanea piacentina è il simbolo storico. Ma che inevitabilmente, ponendosi a conclusione di una vicenda lunga e intensa, è divenuta qualcos’altro, che non può non stimolare, nella critica e nel pubblico, riflessioni più ampie, che, passati ormai molti mesi dalla morte del pittore, travalicano lo sconcerto e i commenti immediati.

Su tale registro può non essere inutile che ad introdurre questa personale postuma sia stato chiamato – con amici diretti e stretti di Tagliaferri come Eugenio Gazzola, che ha ben più corde nel suo arco del sottoscritto per entrare anche in queste opere estreme dell’artista, e con il giovane Jonathan Bonvicini, che conosco e apprezzo per la sua intelligenza e la sua cultura – anche un critico che ha seguito il lavoro dell’artista col distacco di guardava da oltre il Po. E che quindi ha interpretato e valutato, e oggi riaccosta con grande interesse, quanto dagli anni sessanta egli ha fatto, da un punto di vista ovviamente non del tutto coincidente con quello dei suoi concittadini. Il coinvolgimento troppo stretto, sempre rischioso per le interferenze affettive, non è sempre una garanzia di giudizio sereno e lucido, nel campo dell’arte in special modo, che, diversamente dell’ambito letterario, o scientifico, non è frequentato solo da professionisti come Tagliaferri, che con lo studio e la ricerca hanno posto le basi di un lavoro rigoroso, che la grammatica e la sintassi, ed ogni convenzione linguistica, possono sforzare e coartare con coscienza critica e intenzionalità, e che non confondono creatività e approssimazione, artisticità e approccio istintivo alla pittura.

Nel caso di Tagliaferri i rischi della contiguità territoriale possono venire accentuati dalla condizione propria di un’autonomia che la provincia rivendica, nei confronti dei centri maggiori, con un orgoglio più che giustificato quando essa può vantare una tradizione ricca e fertile, come appunto Piacenza, ma che è sempre tutt’altro che priva di pericoli. Come so per esperienza diretta (sono anch’io di una provincia, Como, illustre per precedenti di gran peso, dal futurismo di Sant’Elia, al Razionalismo architettonico di un Terragni e un Cattaneo, all’astrattismo pittorico di Radice, Rho, Badiali e Galli), la diversità, che ha un senso solo se propositiva e valida, può scadere in chiusura. Il rischio della miopia è sempre alle porte, come del resto, inversamente, per le grandi città, quello della presbiopia. Aggravata, questa, nel tempo che stiamo vivendo, dal globalismo, opportunamente contrastato dal localismo (i termini centro e periferia appaiono ormai impropri), che peraltro può scadere esso stesso nella miopia. Di qui il “localismo”, che, pur nella sgradevolezza della parola, indica la positiva volontà di un’interferenza tra globale e locale che non penalizzi né l’uno né l’altro.

Romano (ricorro qui per la prima volta al nome proprio, che solo per comodità continuerò ad utilizzare in queste righe, proprio perché l’uso diffuso a Piacenza tra gli artisti di chiamare i colleghi e di farsi da loro chiamare appunto col nome proprio può essere indice di municipalismo, di voglia di distinguersi esibendo una consuetudine amicale circoscritta) operò sempre su quella linea di apertura fondata sulle radici, anche individuali, esistenziali, financo caratteriali. Anche negli anni primi della formazione, tra i cinquanta e i primi sessanta, seppur con preferenze strettamente connesse alla sua sensibilità, in un espressionismo datato, ma non subìto [PER L’EDITORE:’ ì’ con l’accento, non l’ i semplice] per convenzione e adattamento, e aperto alla sperimentazione della segnicità e matericità informale, che poi furono all’origine della svolta del settimo decennio, e che, sempre per scelta, però ormai culturalmente più motivata e più corrispondente al clima epocale, lo condussero, provvisoriamente, oltre la pittura, ad assemblaggi materico-oggettuali.

È questa la congiuntura in cui, nella sua città, Tagliaferri si schiera nel 1965 su di un fronte che nulla aveva a che fare con la onnicomprensiva, e con gli anni sempre più affollata, “Scuola di Piacenza”, costruita sopra e attorno la pittura di Gustavo Foppiani (ribattezzata da Vittorio Sgarbi in modo ancora più generico, ma meno infondato, “Surrealismo padano”), e alla quale anzi si opponeva. È il fronte, effimero, del “Gruppo A” (“A” come avanguardia), costituito, con Tagliaferri, da Pier Giorgio Armani, Ugo Locatelli, Silvano Vescovi e William Xerra, che si presentò in una collettiva, l’unica, nell’ottobre di quell’anno3. Romano vi esponeva dei polimaterici con materiali vari, ferro, legno, carta, di provenienza industriale usurati, riciclati e assemblati su tavola, legati attraverso la combustione4.

I risultati richiamano, nella composizione, e nel ricorso a materiali di recupero, qui però di diversa estrazione e carattere, ritagli di giornale, macchie e interventi di colore vari, le opere esposte nel 2002 nella succitata mostra B come Barino5, che, con le tavole di Mille 999, tra Oriente e Occidente, sono il diretto precedente, anche proprio cronologico, della tempere qui presentate. Il lavoro di Tagliaferri tra la seconda metà sessanta alla metà dei novanta, nei quali l’artista torna alla pittura (subito dopo i polimaterici, già nei dipinti presentati nella mostra Piacenza 67, nel 1967 in Palazzo Gotico a Piacenza) non fu certo ininfluente, ma, focalizzato come fu in genere su di immagini metamorfiche vagamente surrealisteggianti accampate sulla superficie del quadro, si riflette sull’ultima stagione di Romano oltre che per il ritrovato protagonismo della pittura, da allora definitivo, più che altro per il magistero acquisito nel trattare i colori e la loro stesura sul supporto, che gli consente, liberatosi degli impasti grevi e tradizionali, di approdare alle levità fantastiche cariche di poesia, appunto affidate al colore, oltre che, nelle tavole del Viaggio nell’Orientale Desiderio alle aeree, seppur calcolate e complesse composizioni del ciclo Mille 999. Col quale ha nessi strettissimi la grande tempera su tavola Vittorina Bolgie Woogie, del 1922, che apre questa mostra con un fantasmagorico, orientaleggiante labirinto di sintetiche evocazioni figurali ritmato da un ondeggiare di linee curve, talora dei precisi archi di cerchio: ouverture sinfonica delle decine di liriche cantate che costituiscono il corpo dell’esposizione, magica, caleidoscopica, fitta di segni, lettere, parole, numeri, forme geometricamente definite e/o fluide.

Singolare, e da interpretare (lo fanno in queste stesse pagine Bonvicini e Gazzola), è il richiamo onnipresente alla posta elettronica. L’indicazione “E-Mail”, in un corsivo curato, o in stampatello, in diverse grandezze e colori, scritto singolarmente o ripetuto più volte, riappare costante e insistente. Tagliaferri non usava il computer e non ne conosceva i meccanismi e le potenzialità, enormi e impensabili per l’artista, fuori, anzi oltre, gli orizzonti ai quali, anche per l’età, era abituato. Di qui la metamorfosi (ecco che torna uno dei meccanismi principali della sua precedente pittura) di uno strumento oggettivo di calcolo, basato su precise, elaboratissime ricerche scientifiche, in simbolo tout court della comunicazione, fuori di limiti e impossibilità. E anche estranea ai riti e alla determinatezza oggettiva della posta normale. Qualcosa di tanto vero quanto imprendibile, che può gareggiare col sogno, con la fantasia, consentendo di viaggiare stando immobili, come Romano amava fare. Non a caso l’elettronica si sposa in parte di queste immagini all’astronomia – le Costellazioni Diurne: Stella d’Oriente, Il sole di David; e Notturne: Origine della Via Lattea, L’aquila, Pegaso, Gemini, Libra –, che pure attraeva Tagliaferri, come la storia, l’archeologia, la scienza. Che, tutte, ritroviamo in questi fogli, primariamente mappe della curiosità e dell’immaginazione dell’autore, della sua intima ricchezza di pensiero e visione. Dopo Le Costellazioni, riunite sotto il titolo Sapere occidentale, ecco i Quadrati magici e i Rettangoli dinamici, cabale cariche di numeri e segni esoterici, da Il sogno di Albrecht Dürer, alla Tartaruga, al Fiore indiano, al Mare mosso, al Sole verde, all’Onda blue, alla Grecia, a Mediterraneo, a Sezione aurea. Quindi le Farfalle, simbolo di leggerezza, di metamorfosi e dello stesso soffio vitale, dell’anima. Per passare poi ai Momenti. La tua giornata, alle Emozioni, alla Famiglia, ai Ritratti, alle Clessidre, ai Viaggi, ai Fiori piacentini, dove la proiezione dell’io è più stringente, ancorché sempre velata, e, ancor più affondando nell’individualità e col ricorso esplicito alla scienza, i Codici genetici, che, accoppiati, si incontrano, sorridono (Smile), si divertono (Carnevale veneziano), compiono persino un manetiano Déjeuner sur l’herbe, intrecciati in elettronico-genetiche Connessioni amorose.

L'appuntamento è alle ore 17:30 presso la Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi.
Interventi:
Mario Magnelli
Alberto Squeri
Stefano Fugazza
Luciano Caramel

Galleria Ricci Oddi
Via San Siro, 13 29100 Piacenza
Orari di visita:
• da martedì a domenica, ore 10:00 - 12:00 e 15:00 - 18:00
• lunedì chiuso
Intero: € 4,00
Ridotto: € 3,00 (ragazzi dai 6 ai 18 anni, gruppi di almeno 15 persone, visitatori oltre i 60 anni)
Scuole: € 3,00

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