Semiliberta'. "Con Paolo Grassino siamo abbarbicati in una notte dal cuore nero, dai lampi taglienti, dove la bellezza e' tensione ricercata, la forza del lavoro e' processualita' innata. Entriamo, dunque, in galleria sapendo che qualcosa ci attende, un inquieto peregrinare ci cattura. Le ruvide sculture di Grassino sono li', aspettano, hanno tempo." Gian Alberto Farinella
Semilibertà
Mai spettatori di una situazione in cui non ci si ritrova, mai sopraffatti da sperimentazioni fine a se
stesse. Con Paolo Grassino siamo abbarbicati in una notte dal cuore nero, dai lampi taglienti, dove
la bellezza è tensione ricercata, la forza del lavoro è processualità innata.
Entriamo, dunque, in galleria sapendo che qualcosa ci attende, un inquieto peregrinare ci
cattura. Le ruvide sculture di Grassino sono lì, aspettano, hanno tempo.
Venute da una profondità muta, scavano il pieno vuoto della sua immagine, del suo doppio
che è anche il nostro. Vigili dietro le nostre spalle, sono già davanti al nostro sguardo. Accerchiati,
facciamo resistenza per non essere risucchiati nel fondo cavo che li sostiene, come nelle figure
umane trafitte da tubi in alluminio che formano il primo gruppo di opere che incontriamo. Le pareti
invalicabili formate dalle barre sono conficcate nei corpi, e li sostengono, ma vengono anche
trapassate dai simulacri in cemento dell’artista. E’ un passare attraverso che si risolve nel bloccare
il movimento in elementi portanti. Ma non solo. C’è un diverso piano di lettura che ritroveremo in
tutte le opere in mostra, anche se meno evidente. Mi riferisco all’attenzione che Grassino ha posto
verso gli elementi primari che compongono la forma: il punto, la linea, la superficie. Qui ciò che
interessa è il punto, l’origine della dimensione, e la linea come sua configurazione sequenziale
irrigidita. Il punto è il nulla, ciò da cui scaturisce la possibilità stessa dell’essere. Un foro, un buco
nero che ingloba attirando a sé la materia, ma che nello stesso tempo, nell’ espandersi all’infinito,
ci restituisce la condizione trascendentale della luce. Ci accorgiamo che i corpi “bucati” dai tubi,
visti di fronte, sono trapassati da fori luminosi. Se guardiamo dentro, un bagliore ci acceca. Ci
porta dentro mentre ci porta fuori, verso l’origine delle cose.
Abbiamo sfondato la superficie. Questa volta entriamo nel corpo e un pezzo di sistema
venoso ci accoglie, sembra un grosso animale acquatico inerme che giace per terra, ma che
potrebbe risvegliarsi e avvolgerci con i suoi tentacoli, risucchiare la nostra linfa vitale. E’ sangue
raffermo, coagulato, grumoso. Dal freddo del metallo che ci avvolgeva nel turbine della
separazione dell’anima dal corpo: qui che siamo dentro al solo corpo, ne scopriamo l’inviolabilità, il
suo fascino perverso e caldo. Una volta entrati, superata la soglia, sappiamo che ogni dicotomia è
tolta, l’interno si piega verso l’esterno, la natura si trasforma in cultura, il controllo del corpo in
ingegneria genetica e bio-computing. La superficie diviene articolazione del caos, la linea
raggiunge la complessità dell’irrappresentabile, il punto diviene lo zero del digitale inorganico.
A questo punto ci sentiamo in trappola. Grassino ci ha condotto nel centro della semilibertà,
nel dominio delle linee. E’ un regime che taglia, dimezza, seziona i pensieri, i corpi, i sogni, i
desideri. Una prigione, un neon blu ce lo segnalano: non possiamo oltrepassare il limite imposto
dalle barre metalliche. I tubi tagliano lo spazio come un campo elettrico, tendono l’aria, la fanno
vibrare. Visibili e lucidi, segnano il territorio invisibile del potere che divide, anche se non sappiamo
chi è dentro e chi è fuori; chi la vittima, chi il carnefice. Separano i corpi, ma non gli sguardi. Ci si
vede, ci si riconosce e le mani si possono tendere dall’ ”altra parte”, tra il vuoto che lascia essere il
pieno, quasi a voler sottolineare il vincolo, il legame che ci unisce, ma anche il compromesso di
essere socialmente liberi.
Ora altre cose ci attendono.
Due mutanti, uno in piedi con le braccia conserte, l’altro seduto, o meglio, accasciato, sul
vuoto scheletro di una sedia, anelano inutilmente alla comunicazione con un centinaio di imbuti
che occhieggiano luminosi come pori dilatati. Conficcati nell’asfalto nero della loro pelle, sono
aperture per ascoltare, bocche metalliche per respirare, dove non sempre il passaggio è obbligato,
poiché non c’è regola che vincoli lo scambio. La logica che li governa è una logica dell’eccesso, dell’ibridazione, dominata dal gioco parossistico del dispendio, mentre il nostro respiro accelera, la
pulsazione aumenta e l’ascolto si dilata fino al silenzio.
Dobbiamo tornare indietro, sospinti dal vento delle nostre paure. Grassino ci accoglie con altre tre
sculture, questa volta sono carcasse, architetture organiche di ciò che sta dentro i corpi, ma qui
non c’è il corpo, perché non c’è calco. L’originale, la matrice, non c’è mai stata; il puro simulacro a
cera persa è una cristallizzazione di una idea, blocco unico irripetibile, senza dentro e senza fuori;
profonda superficie di punti, di linee in semilibertà.
Gian Alberto Farinella
Inaugurazione lunedì 1 ottobre ore 21
Galleria Giorgio Persano
piazza Vittorio Veneto 9 - 10124 Torino
Orario: martedì-sabato 10-12.30 / 16-19.30
Ingresso libero