Le opere in mostra intendono evidenzare come la pittura non possa essere riconducibile soltanto agli strumenti del fare, ma sia innanzitutto cosa mentale. Il disegno frammentario di Pellegrini puo' quindi riallacciarsi alla materia erosa di Samori' e completarsi nelle pennellate magmatiche di Maggis. A cura di Alberto Zanchetta.
a cura di Alberto Zanchetta
Istanze di motivi pregressi perdurano indenni tra i “paradigmi del presente” e si nutrono di accumulazioni croniche per dare vita a un universo di possibilità e di probabilità che sfuggono alle fobie dell’arte contemporanea.
Le opere di questa mostra intendono mettere in evidenza come la pittura non possa essere riconducibile soltanto agli strumenti del fare o allo zeitgeist, ma sia innanzitutto cosa mentale. Il titolo latino “Sine die” allude al particolare modus pingendi dei tre artisti oltre che alla grande versatilità della pittura. Al di là dei generi e degli stilemi, esiste però un’evidente prossimità/promiscuità che si ciba – senza fine, senza tregua, senza riposo – di memorie e di immagini, diventando a suo modo una tematica e una metodica.
Se quindi il disegno frammentario di Pellegrini può riallacciarsi alla materia erosa di Samorì e completarsi nelle pennellate magmatiche di Maggis, sarà possibile individuare un ipotetico quanto ideale filo rosso che si snoda lungo tutta la storia dell’arte.
Le carte di Simone Pellegrini sono luoghi di un’eterna palingenesi, microcosmi fuori dal tempo che – attraversati da simboli e da rituali – scavano nell’immaginario collettivo. Sono “storie carnali” in cui persone e animali si fondono con la natura, dando vita a un universo violentato da desideri inconfessabili, da pensieri primordiali e da pulsioni profonde che irretiscono il nostro intelletto in un piacere estremo e viscerale.
I dipinti di Nicola Samorì alterano e disgregano l’integrità del corpo umano: teste, toraci, braccia, gambe, mani e piedi diventano monumentali reliquie, in preda alla dissoluzione o all’alienazione. È il colore stesso, denso e pastoso, che nel suo stratificarsi sulla tela prende possesso della carne, quasi a voler restituire linfa vitale a questi (autentici) teatri anatomici.
Nei ritratti di Paolo Maggis i tormenti dell’anima si trasformano in deformazione fisica. Nelle recenti “Postcard from Irak” assistiamo all’orrore della guerra… di tutte le guerre del mondo; i toni lividi, i neri marcati, le sfumature violacee, le cromie acide e dissonanti, segnano i tratti somatici e le silhouette dei soldati caduti in battaglia. Ritratti sfigurati in cui la materia liquida si coagula nel tentativo di fissarne l’identità, sullo sfondo di una tremenda “solitudine collettiva” che si fa specchio di un mondo incompleto, dove tutto cambia con relativa e brutale facilità.
Inaugurazione 24 novembre
Museo Civico d'arte contemporanea
viale Segesta - Gibellina (TP)
orari: dal martedì al sabato, dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19