Gli artisti presenti nella collettiva si confrontano intorno al movimento artistico nato Argentina nel 1946 che ha visto pubblicati numerosi saggi, testi, critiche e resoconti che ne hanno ripercorso l'intera parabola.
"In oltre sessanta anni di storia il Madì – nasce in Argentina nel 1946, promosso dal pre-manifesto di Carmelo Arden Quin – ha visto pubblicati numerosissimi saggi, testi, critiche e resoconti che ne hanno ripercorso l’intera parabola, con analisi approfondite anche delle personalità che compongono questo gruppo aperto di artisti, dalle sue origini ad oggi.
Molte sono le voci che si sono succedute, o alternate, nel dare il rispettivo contributo critico, e aggiungerne una nuova non è certo facile. Soprattutto in relazione all’anima stessa della cultura Madì. Uno degli aspetti che ho trovato più rilevanti, nella lettura del Madì, dei suoi artisti e delle loro opere, è sicuramente il configurarsi come esperienze che hanno superato i limiti canonici delle temperie artistiche [...]
[...] Il movimento Madì ha avuto la straordinaria capacità di mantenersi aperto non solo al tempo ma anche a chi quel tempo preciso, di volta in volta, lo viveva. Il senso vero del suo esserci è quello di essere stato in grado di comprimere le specificità del momento per mirare ad una più ampia e significativa valorizzazione delle proprie opere e, con esse, del proprio intendimento. L’apertura è oltre il limite del tempo circostanziato: le opere sono valide ora e domani; hanno una vocazione più largamente universale nell’attribuzione di senso e coinvolgimento innescato dalla loro visione. Madì nasce in un tempo preciso quale libertà, mossa e permessa dall’astrazione, contro l’arte propagandata ed ufficiale, regolamentata e costretta, dal regime peronista. Ma, da subito, è andato oltre questa situazione temporale. Si è allargato nella cronologia storica fino ad arrivare a noi, rimanendo pur sempre qualcosa di nuovo e vitale. In questo senso il Madì riesce a far superare all’artista stesso il suo personalismo, ne estrae la radice vera che è la quintessenza della sua opera. Non univocamente della sua persona.
[...] Tale principio di limite, imposto al lavoro, pare essere quasi inconcepibile se deve essere riferito ad un’opera d’arte, ma è indispensabile nel prevenire efficacemente le derive senza meta e le ripetizioni formali. Di maniera si direbbe in altra circostanza. La volontaria messa in esilio dell’espressività, della rappresentatività e della significazione si impone come possibilità per la salvaguarda tanto dell’opera, quanto del suo autore, dal pericolo di declino inesorabile verso la sterilità ripetuta della propria arte. Ciò che si fa come Madì si compie quale opera sempre valida e, usando un’espressione poco felice pur efficace, si mantiene fresca. Freschezza che è vita.
L’opera Madì, sempre però riferendosi a costruzioni geometrizzanti, vince pure il limite della forma-contenitore di rettangolo e di cornice. Estirpati questi concetti, associabili da sempre all’opera d’arte pittorica, si rende partecipe di un divenire di forme nello spazio. Fin da subito ha così scalzato e spodestato l’autorità iconica del rettangolo e attuato l’annullamento della cornice. L’opera sconfina libera nel Tempo e nello Spazio. Una temporalità senza scadenze, e una spazialità che si fa pluridirezionale, a tal punto che le coordinate, che collocano l’opera nell’ambiente, sono legittimate e connesse alla contingenza del momento stesso in cui si rendono applicabili. Nulla è trattenuto in una sospensione sacrale ed inviolabile in cui, spesso, si avvolgono le opera d’arte. L’opera si incontra nel luogo ed in questo può divenire secondo specifiche forze e dinamiche che suggeriscono un sapiente e coscienzioso superamento del caso, dell’automatica o contingente accidentalità. Nel momento si ricreano e rigenerano, si dispongono diversamente da come erano, si rendono visibili in realtà sempre inaspettate [...]
[...] Diventa allora importante evidenziare quanto il Madì non si sleghi solo da un passato esperienziale, storicamente vincolante per altre realtà, ma abbia come obiettivo preminente il valore intellettuale proiettato nel futuro.
Torna così l’uomo e il suo pensare al centro della loro poetica. L’uomo, il suo fare e il suo comporre creativamente con ogni possibile capacità di esprimersi e di intuire. L’uomo che non è solo l’artista ma, in aperta sfida al condizionamento culturale delle mode del momento, è anche lo spettatore ad essere persuaso e condotto a valicare ogni singolo limite che lo lega a schemi mentali e pregiudizi. Madì è quasi una formulazione liberatoria protesa verso l’intuizione prima, il raggiungimento poi, della vera Arte. In questo senso diventa esperienza allargata e condivisa oltre ogni limite.
Non rischiando ne cedendo all’autoreferenzialità, il Madì è un’esperienza di moralità e spiritualità dell’arte. Si deve ricordare: Madì innanzitutto è. Senza mezze misure si è Madì.
Afferma sempre – e comunque – la sua dimensione di essenza, o essente, nella concezione più squisitamente filosofica. È e resta Arte nell’Arte. Nel fare e nel vedere. Di chi opera e guarda oggi, non meno di chi opererà e guarderà domani." (M. Galbiati)
inaugurazione Lunedì 5 maggio - ore 17
Galleria Scoglio di Quarto
via Ascanio Sforza, 3 Milano
Da martedì a venerdì dalle 17.00 alle 19.30
ingresso libero