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Stile Arte (2006-2011) Anno 10 Numero 98 maggio 2006



Caravaggio ottico

Stefania Mattioli

Le sensazionali scoperte di una studiosa-restauratrice confermano le intuizioni di Longhi e di Hockney: Michelangelo Merisi usava la camera ottica.



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


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Il caso del “Bacco”, mancino perché speculare, e del “Ragazzo col ramarro”, eseguito in due pose diverse. Le figure in “multiproiezione” del “Concerto di giovani” e l’effetto-movimento della “Giuditta” pre-futurista. Ed un’ipotesi suggestiva: l’artista portò con sé nelle sue peregrinazioni modelli in carta oleata da riutilizzare alla bisogna proiettati sulla tela.


E’ presumibilmente vero che Caravaggio, in giovane età, abbia letto il Magiae naturalis libri III di Giovan Battista Della Porta, ed in particolare il capitolo dedicato a “come alcuno che non sappia depingere, possa disegnare l’effige d’un huomo ò d’altra cosa. Purché sappia solamente assomigliare i colori”. Ed è altrettanto presumibilmente vero che il Merisi - ancora inesperto - abbia applicato più o meno alla lettera le indicazioni in esso contenute, ossia gli espedienti per riprodurre fedelmente una figurazione mediante l’uso di specchi con l’ausilio della luce passante per un foro stenopeico (camera ottica).
Proprio così. Il Maestro per dipingere si avvaleva dell’ausilio di strumenti ottici quali lenti e specchi, la cui presenza è testimoniata nel suo studio romano. Questa è la sorprendente scoperta, frutto di lunghe e accurate ricerche (iniziate nel 1986) e di indagini radiografiche, di Roberta Lapucci (storica dell’arte e restauratrice oggi capodipartimento del settore conservazione presso l’Università americana Saci a Firenze), che è giunta a tale conclusione partendo dalle intuizioni di Longhi e attraverso le più recenti, folgoranti supposizioni di Hockney (Il segreto svelato, 2000).
A quando risale la passione di Caravaggio per i fenomeni ottici? “Sebbene questo suo interesse sia spesso stato analizzato dalla critica in relazione al periodo di soggiorno presso il cardinal Del Monte (che possedeva un gabinetto alchemico) nonché ai legami con la cerchia galileiana, penso che in realtà - spiega Lapucci - l’ambiente lombardo-veneto di formazione dell’artista non dovette certo avere un peso minore nella ricezione dei fenomeni ottici e prospettici. Lo dimostrano gli studi anatomici di Leonardo oltre che gli scritti di Girolamo Cardano e di monsignor Daniele Barbaro, che già descrivevano fenomeni di riproduzione di sagome proiettate mediante il principio del foro stenopeico”.
E’ opinione della studiosa che la prima opera del Maestro in cui è evidente l’uso di lenti e specchi sia il Bacco conservato agli Uffizi. Per quale motivo? “Prima di tutto per il fatto che il Bacco è mancino: tiene il bicchiere con la mano sinistra. Non vi sono precedenti in tal senso. E’ chiaro che l’immagine è frutto di una copia da una proiezione ottenuta con la messa in pratica dei metodi all’epoca assai diffusi nell’ambiente. Se ribaltiamo l’immagine a destra infatti la figura rappresentata appare assai più naturale e a suo agio”.
Curioso poi è l’esito dell’esperimento - sino ad oggi inedito- condotto dalla ricercatrice sul Ragazzo morso dal ramarro: “Se proviamo a dividere il volto in due parti e allontanarle fra loro, appare evidente come il ritratto sia il risultato di un assemblaggio di due momenti di posa differenti: uno dove il giovane è più frontale e più illuminato rispetto all’altro. Poi le dimensioni e i lineamenti non combaciano affatto”.

Caravaggio dunque sperimenta con la luce e lo fa in uno studio, quello degli anni romani (1595-1605), che già di per sé somiglia ad una camera ottica: al centro della stanza, sul soffitto, e non per stravaganza, egli pratica un foro dal quale penetra la luce. Operazione che nel 1605 gli vale la citazione in giudizio da parte della padrona di casa. Aneddoti a parte, tale concezione attesta l’intenzione del Merisi di fare un uso “scientifico” della luce. “Forse è proprio a causa di questo foro che la luce nella stanza, con il trascorrere delle ore, cambiava di continuo, e il sistema di lenti e specchi di cui egli si serviva andava fuori fuoco costringendolo ad una nuova messa in posa” annota Roberta Lapucci.
Altro aspetto curioso riguarda “quei doppi e tripli profili luminosi” che le indagini meccaniche continuano ad evidenziare. Non solo. In alcune opere essi sono visibili anche a occhio nudo, testimoniando una precisa volontà dell’artista. “Infatti - puntualizza la studiosa - i cosiddetti pentimenti emersi dalle indagini radiografiche non sono tutti frutto di sbagli, ma effetti voluti. Caravaggio in questo modo non desidera effettuare correzioni a seguito di ripensamenti compositivi bensì vuole infiggere dinamismo alla figura, dargli il senso del movimento secondo un’accezione quasi pre-futurista. Egli avvia un processo di dissoluzione dei contorni delle sue forme. Basti pensare a Giuditta con Oloferne. Se consideriamo inoltre che all’epoca i dipinti venivano osservati a lume di candela, ecco che l’effetto vibratile viene ulteriormente accentuato”.
Tale teoria smentirebbe la credenza diffusa - legata all’affermazione del Baglione che nella vita di Caravaggio accenna a “quadretti da lui nello specchio ritratti” - intesa nella maggior parte dei casi come un’allusione a “certi autoritratti”. Con ogni probabilità invece è un’ulteriore testimonianza e conferma del metodo di operare del Maestro, che avvalorerebbe così la tesi di Roberta Lapucci. D’altro canto all’epoca egli non era il solo a servirsi di tali artifici. Anzi. L’uso di inganni ottici era una metodologia assai diffusa nella pittura del tardo Cinquecento, attraverso la quale si poteva restituire un’immagine più fedele alla realtà o inserire nella composizione più vedute del medesimo soggetto in una sorta di assemblaggio di parti che Longhi definì “pezzi bloccati nell’universo”.

Ma è stata la scienza (e fino a che punto?) ad influenzare lo sviluppo repentino della corrente realista o viceversa? In verità scienza, arte e controriforma (Concilio di Trento) nel tardo ’500 andavano in un’unica direzione, orientata a rendere comprensibile la natura, a semplificarla mediante l’acquisizione sensoriale; e la vista fra i cinque sensi è il più indicato per far sì che ciò avvenga. E’ naturale quindi che alla propensione al realismo concorrano in parte uguale tutti e tre questi elementi. “La scienza nuova inoltre - commenta Lapucci - è quella costituita da matematica, geometria e musica; una scienza euclidea, meno empirica, che subentra alla vecchia negromanzia anche grazie al recupero di antichi trattati”.
E se l’opera rivelatrice è stata il Bacco degli Uffizi, altre validano l’uso degli strumenti. Nel Concerto di giovani del Metropolitan, ad esempio, i quattro personaggi sono l’esito di una multiproiezione, dove sono solo due i modelli osservati e ripresi da angolazioni diverse.
Chissà se Caravaggio, al di là del colto periodo romano, perseverò nell’uso degli strumenti ottici anche quando si trovava a Napoli, in Sicilia, a Malta? “Sino ad oggi, rispetto all’ultimo periodo di attività del pittore, ho avuto modo di formulare solo ipotesi alle quali sto ancora lavorando. E’ comunque possibile che Caravaggio all’epoca non disponesse più di uno specchio concavo, difficile da reperire e costoso. Pur tuttavia è molto probabile che egli si avvalesse di tracciati (forse conservati su carta oleata) proiettati sulla tela mediante uno specchio piano. A supportare questa che - ribadisce Lapucci - al momento è soltanto un’ipotesi, è il ritorno nei dipinti degli ultimi anni di alcuni personaggi legati all’epoca giovanile. Ad esempio Alof de Wignacourt, il cui ritratto è conservato al Louvre, ricompare nella Decollazione del Battista di Malta nel ruolo di carceriere; nel Seppellimento di Santa Lucia torna la figura del Cristo della Conversione di San Matteo. Altro esempio significativo è rappresentato dall’angelo del Riposo durante la Fuga in Egitto della Galleria Doria Pamphilj che riappare in veste di soldato - grazie alle indagini radiografiche - nel Martirio di San Matteo della Cappella Contarelli (San Luigi dei Francesi)”.

Poiché la maestria di Caravaggio deriva anche dalla sua abilità nell’agire direttamente sulla tela senza passare per il disegno, cosa cambia questa scoperta nella lettura e nell’interpretazione stilistica dell’opera del pittore? “Nel suo valore essenziale nulla. E’ semplicemente una nuova acquisizione sul suo metodo di lavoro, per altro spiegabile solo in modo approssimativo. Non dimentichiamo che le indicazioni suggerite nel trattato del Della Porta potevano dare esito ad almeno quindici diverse soluzioni di proiezioni. Diciamo che la scoperta aggiunge un altro tassello utile a comprendere meglio l’artista e la sua opera. Come afferma David Hockney, ‘la camera ottica non dipinge’, dunque il fatto che il Maestro usasse gli strumenti ottici - conclude Roberta Lapucci - nulla toglie alla potenza espressiva delle sue tele, alla sua creatività e alla sua indiscussa genialità”.