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Overview (2006-2007) Anno 2 Numero 12 aprile 2007



Massimiliano e Doriana Fuksas

Danilo Fastelli

Intervista



mensile bilingue a distribuzione gratuita


INDICE OVERVIEW #12 - aprile – about volume

CREATING:
Intervista Massimiliano e Doriana Fuksas
• Francesco Arena, un tentativo serio di simulazione volumetrica
• Volume!
• Mart: 'Il modo Italiano'
• Sperimentando... volumi e spazi metropolitani immaginari
• Appuntamenti Arte

WEARING:
• Servizio moda indossato (Francesca)
• Hyeres 2007
• New trends from…

RUNNING: speciale salone del mobile
• Quando le idee sono mobili
• Si accende euroluce
• Un satellite sempre in orbita
• Zona tortona design 2007
• Fuorisalone
• Sostenute inquadrature

PLAYING:
• TRACKS & TRACES
• VISUONI
• Radio deeJay a cavallo dei media
• Time for requiem, pimp up the volume


WRITING:
• A tutto volume
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Massimiliano Fuksas

Doriana Mandrelli Fuksas

Le metà alate, lo yin e lo yang, lo zero e l’uno, e via dicendo...Ma per quanti “dualismi” affascinanti si provi a scomodare, nessuno sarà mai invincibile quanto la quotidiana realtà di due persone che da più di 25 anni condividono la vita e il lavoro. Abbiamo intervistato gli architetti Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli (in Fuksas) per discutere insieme - ma separatamente - di volume, progetti e vita quotidiana.

MASSIMILIANO FUKSAS

OVERVIEW: Architetto, parliamo di volume. Il suo mestiere consiste nel progettare oggetti tridimensionali vivibili (abitabili, utilizzabili, attraversabili...) da un grande numero di persone, da folle informi che orienteranno i propri movimenti nello spazio anche in base a come lei lo ha concepito. Di fronte a quest’idea soffre mai di “moltitudine”?

MASSIMILIANO FUKSAS: No, nel mio lavoro spero di riuscire a produrre idee per più mondo possibile, più moltitudine possibile. Perché credo che l’architettura sia un’arte democratica. L’architettura dovrebbe ritrovare la propria dimensione popolare, coinvolgendo la maggior parte delle persone nell’esistenza e nella vita degli edifici. E delle città.

O: È appena uscito il docu-film di Sydney Pollack (Frank Gehry. Creatore di sogni) sull’inventore del Guggenheim di Bilbao. L’architetto americano dice: “Certi miei colleghi hanno una concezione tetragona dell’architettura: può essere solo X. Non X meno qualcosa o X più qualcosa. X e basta: solo norme e costrizioni. Se ti azzardi a superarle per loro non è più architettura. L’innovazione viene percepita come una minaccia”. Qual è il suo rapporto con le X?

MF: Io non ho X. Se Gehry ha avuto il problema di superare le X, io non ne ho mai avute. Perché Gehry ha 80 anni e ha vissuto in un’altra epoca. Io che ne ho venti di meno ho dovuto affrontare il problema contrario, cioé battermi contro quelli che credevano che l’architettura fosse una disciplina “impressionante”, “eclatante” nei confronti della società. Dopodiché sono stato libero di fare quello che volevo. Anzi sono stupito di quanto si possa fare sempre di più.

O: Siamo sicuri?

MF: Si può fare moltissimo in architettura. Le costrizioni sono sempre autocostrizioni. La prima censura non è imposta dagli altri, ma da noi stessi. Ciò è terribile, perché disabitua le persone a sognare, a immaginare, ad avere delle visioni. C’è un altro dato: quando nel mio studio faccio una riunione c’è sempre qualcuno che alza la mano e dice: “Ma questo non si può fare, questo non è possibile, qui c’è questa altezza limitata, di qua ci sono questi vincoli”. E io rispondo: “Proviamo a dimenticare tutto ciò, cominciamo di-me-nti-ca-ndo-lo, come se non ci fosse nulla”. E poi ci si accorge che si può convivere tranquillamente con costrizioni che alla fine si dimostrano stupide. Credo in fondo che la nostra libertà, se di libertà si tratta, non sia mai limitata.

O: Si può fare di più nelle periferie delle grandi città, che rientrano molto spesso tra i suoi discorsi. In questa fissazione per le periferie, quanto c’è di missione, quanto di politico?

MF: Io credo che la questione sia oggettiva. Oggi ci troviamo a Roma. Nel centro di questa città vive qualche centinaia di migliaia di persone. I restanti milioni di esseri umani vivono in altri luoghi. Ecco, la città vera è dove vivono gli esseri umani. Non è dove ci sono i monumenti e “il bello”. Nella nostra cultura c’è una matrice estetizzante, ma non c’è l’abitudine a preoccuparsi delle masse critiche.

O: Presto le masse affluiranno nel nuovo centro congressi dell’Eur, la cosiddetta “Nuvola”. Il Comune di Roma ha appena approvato la convenzione. L’Eur spa ha accettato il progetto definitivo. Oggi si comincia e nel 2010 i lavori saranno terminati. Dodici anni dopo che il concorso fu indetto. È soddisfatto?

MF: Sono soddisfatto perché è un progetto che stranamente, nonostante tutto, non è invecchiato. Il vero stupore è proprio questo: un progetto che è stato molte volte copiato e ripreso in giro per il mondo mantiene freschezza e molti dei suoi temi sono ancora attuali.

O: Un mio amico architetto sostiene che in Italia i progetti più innovativi sono appannaggio di pochi studi e tutti gli altri stanno a guardare. È così?

MF: No non è così. In Italia ci sono poche architetture buone, perché ci sono pochi committenti. Lo Stato non è un buon committente, quindi una larga fetta del mercato se ne va. Dei privati, pochissimi sono buoni committenti, per cui le occasioni per fare architettura sono veramente rare. Ci sono possibilità di costruire solo quando uno trova un committente che ha la tua stessa passione, allora si possono intraprendere percorsi straordinari.

O: Per esempio?

MF: Per esempio c’è stata una polemica che è durata un anno su un mio progetto a Savona: una torre sul mare che ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro. Io non sono mai intervenuto, tranne una volta, quando una politica di Rifondazione (il sottosegretario all’Ambiente, Laura Marchetti, Ndr) l’ha definita un fallo storto. Sono intervenuto per dire che ognuno ritrova in quello che vede ciò che più desidera.

O: Mi pare che, in termini di principio, non faccia una piega...

MF: A parte questo, ieri il consiglio comunale ha approvato non un progetto, ma un’idea (quella del faro della Margonara, approvata il 30 marzo dal Consiglio comunale della città ligure, Ndr). Perché ho detto: “Voglio vedere se possiamo andare ancora più lontano nella riflessione”. E questo punto è stato approvato. Ecco, allora io credo che i primi che non osano siano proprio gli architetti e gli artisti. Non si prendono più nessun rischio.

O: In un’intervista recente, rilasciata in occasione della mostra dedicata alla sua opera – “unsessantesimodisecondo”, allestita al Maxxi di Roma – lei dice: “Qui si celebrano due persone che sono un insieme, mia moglie e io. Voglio continuare questa avventura rendendola pubblica. Lavoriamo insieme da 26 anni. La mostra è una dichiarazione d’amore che ci facciamo, va oltre l’architettura”. Dunque, cosa c’è dietro al marchio Fuksas, un uomo, una coppia, uno studio?

MF: Io e Doriana abbiamo deciso un’avventura insieme, che non è solo quella di partecipare a progetti, ma è molto più consistente. Vede, in un momento in cui tutti pensano che sia impossibile costruire un rapporto forte e duraturo, credo che la mia relazione con Doriana sia eccezionale. Gli alberi sono fatti di tronco, rami, foglie e fiori. Nel lavoro, io non so se sono i fiori o il tronco. Ma insieme siamo l’albero: mia moglie mi ha dato due figlie splendide, abbiamo superato insieme le difficoltà della creazione, è stata ed è sempre presente nella mia vita. E nei progetti c’è sempre la sua presenza. Anche se non materialmente, c’è nello “spirito”. Lo spirito di due persone che hanno condiviso e continuano a condividere insieme un’avventura straordinaria.

O: A proposito di volume, qual è il volume d’affari di un architetto superquotato come lei?

MF: Ah, ma lei vuol parlare di soldi? Ebbene c’è una cosa che mi stupisce: le cifre a cui comprano le cose che faccio. Anche i piccoli oggetti, i disegni, i lavori d’arte - non so come chiamarli... io non so neanche quello che faccio - vengono immediatamente comprati. Ecco questo mi stupisce...

O: Non dovrebbe stupirsi. Lei è pur sempre Fuksas.

MF: Boh. Vede, un’altra cosa che mi stupisce è che nelle classifiche degli inglesi io sia annoverato tra i primi dieci grandi “pensatori” del mondo, mentre nel mondo della ricchezza sono all’ottantacinquesimo posto. Ecco, allora mi sono detto (per scherzo): “Devo assolutamente dimezzare questo gap”.

O: Balzac mette in guardia dall’applauso del mondo. Dice: “La gloria è un veleno da prendere a piccole dosi”. Come si ritrova a stare nel gotha degli archi-star?

MF: Io sono un completo incosciente e la mia fortuna è stata di non essermi mai reso conto di ciò che stavo facendo. Sono estremamente distratto quando sono concentrato sui progetti. Di solito sono concentrato dalla mattina alla sera sulle idee. L’arte mi salva dal guardarmi, dal vedermi. Non voglio partecipare a questo gioco. Se posso permettermi di contraddire Balzac, più che la gloria il problema è il potere. Il potere ha la capacità di rendere idioti in meno di cinque minuti. Perciò meno dosi di potere uno accetta e più è libero di pensare, riflettere, creare.

O: Come fa uno come lei a restare immune dal potere?

MF: Alzandomi molto presto la mattina ed andando al letto molto presto la sera. Così evito la mondanità. Evitare la mondanità vuol dire, per esempio, non farti vedere a nessuna inaugurazione. Questo non vuol dire che non vai alle mostre, ma che ci vai tra mezzogiorno e l’una. Poi due volte all’anno, solo due, si fa il bagno della mondanità, altrimenti ti prendono per un arrogante e un presuntuoso, che è anche peggio. E poi uno deve avere pochi amici fidati, che ti aiutano a mantenere un contatto con te stesso e con il tuo passato. Questa è una forma di sopravvivenza, né più né meno.


DORIANA FUKSAS

OVERVIEW
: Lei sarà, assieme a suo marito, al FuoriSalone di Milano dal 17 aprile al 1° maggio con un’installazione attorno al concetto di acqua, all’interno della manifestazione Decode Elements, organizzata dalla rivista “Interni”. Un architetto (artista, curatore, storico dell’arte, fotografo, designer) che si occupa dell’assenza della forma. È stata lei a scegliere questo tema o glielo hanno proposto?

DORIANA FUKSAS: Ce l’hanno proposto, e c’è piaciuto. Ci ha affascinati quest’idea di lavorare sull’acqua: la trasparenza, la fluidità. Forse perché sono nata sotto il segno dei Pesci...

O: Ci parli dell’installazione.

DF: La chiamano occhio, ma non è questo. È un’eclissi. È una lettura geologica del futuro. Ci hanno dato carta bianca. E noi abbiamo visto l’acqua all’interno della terra. Una passeggiata sulla terra. Questo è il pianeta, la bolla blu sulla quale si cammina. Uno spacco sulla crosta terrestre. Pietra lavica e azzurro. Una pedana che dovrebbe basculare...

O: Dovrebbe... Bascula o non bascula?

DF: Sì: alla fine riusciremo a farla basculare, per rappresentare l’incertezza della nostra condizione di esseri umani.

O: Nello scrivere il concept dell’opera dice: “La terra prigioniera che soffoca. Siamo pesanti, facciamo la differenza, ne deformiamo la crosta, la sfruttiamo e la ricostituiamo”. Chi fa l’architetto ha una responsabilità in più, perché ciò che costruisce è destinato a incidere profondamente e rimanere a lungo sulla terra.

DF: È una responsabilità che conosciamo bene e che ci impegna nei confronti della società. Perché è inutile fare una cosa bella se non tiene conto delle esigenze di chi ci vive. “More Aethic Less Aestethic”, dicevamo alla Biennale di Venezia da noi curata nel 2000. Bisogna sforzarsi di essere radicali nelle scelte, ma con attenzione a ciò che serve alle persone. Prenda per esempio le case di Jean Prouvé, che riusciva a fare queste abitazioni per i rifugiati in 12 ore, con materiali poverissimi. Ecco, fu lui ad interpretare al meglio il tema della Biennale. Costruzioni funzionali con uno scopo e un’etica specifica.

O: Come cambia la nostra concezione di “bello” in un’epoca in cui cambia la nostra concezione di “funzionale”?

DF: Questo è un problema urgente. Bisogna pensare a una nuova casa, aggiornarla al mutamento delle esigenze. Quando arriviamo in una casa, che abbia cinquanta stanze o tre, noi buttiamo giù tutto. Via i piccoli spazi, i corridoi, le “scatolette”. Non servono più. Conta la luce, come entra e come ti fa stare. Contano le proporzioni, che ci siano spazi in cui ci si sente a proprio agio. Nelle cose che facciamo io ci vivrei.

O: Giusto, è questa la domanda più terribile per ogni architetto: “Scusi, ma lei qui dentro ci vivrebbe”?

DF: Io non riuscirei neanche a concepire qualcosa che non mi piace, che non userei o dentro cui non vivrei.

O: Lei usa Internet, immagino. Sa che cosa sono Second Life e My Space. Volevo chiederle se il modo di concepire spazi in cui le persone interagiscono risente dei mutamenti nel campo delle relazioni sociali, che diventano sempre più “liquide”, virtuali.

DF: Dovrebbe influire. E influisce di fatto direttamente nella tecnica del lavoro, perché è grazie alla virtualità del 3D che si riescono oggi a disegnare spazi impensabili fino a dieci anni fa. Per il resto credo che siamo ancora legati a questo di mondo. I progetti su Second Life possono essere divertenti, ma ho paura che su questo terreno si vada incontro a una specie di schizzofrenia. La tentazione di confrontarsi con questo mondo è grande, ma non so quanto sia utile caderci.

O: E voi, ci siete già caduti in questa “tentazione”?

DF: Forse, forse una cosa la facciamo. Ma mi sembra già abbastanza schizzofrenica la realtà in cui si vive. Figuriamoci poi complicarsi la vita con la finzione che imita la schizzofrenia della vita... Mi sembra molto più utile intervenire nel mondo vero, soprattutto nelle situazioni lasciate più a se stesse.
Cercare di rendere ciò che è stato fatto e fare quello che si deve in modo più decente possibile.

O: Casa e bottega. Lei e suo marito vi scannate quotidianamente, come le normali coppie che – ahiloro – vivono e lavorano insieme, oppure siete speciali?

DF: In effetti tra di noi c’è un’alchimia strana. Non credo funzioni sempre, anzi tutti si lamentano di lavorare insieme. Forse siamo complementari. E poi non è che io partecipi a tutti i progetti. Massimiliano adora le grandi sfide. Io mi sento più a mio agio con le cose più piccole, mi diverto di più con una cosa che posso controllare meglio. Però mi piace fare tutto, dall’inizio alla fine. Anche gli interni se è possibile.

O: Insomma, le piace avere tutto sotto controllo.

DF: Dico che se l’architettura è forte regge anche con errori grossolani. Non è il caso, ma se sulla Fiera di Milano ci fossero anche dei piccoli errori non si vedrebbero neanche, tanto è forte l’impatto della struttura che non lo noteresti. Io invece amo lavorare più nel dettaglio e questo si riesce a fare solo lavorando su scale più ridotte.

O: Anche voi come tutti vi porterete un po’ di lavoro a casa...

DF: Ci scherziamo molto su questo. Giochiamo. Ma in realtà capita di rado di scontrarsi fuori dallo studio, anche perché facciamo anche cose diverse. Io per fortuna posso scegliermi i lavori che mi piacciono di più. Avere la possibilità di fare ciascuno ciò che gli piace credo sia fondamentale per l’equilibrio di coppia.