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Combo (2007-2008) Anno 1 Numero 1 autunno 2007



Fattibile

Alessandra Poggianti

Intervista a Hou Hanru



Rivista D'Arte Contemporanea


NUMERO 1-AUTUNNO 2007

SOMMARIO

6 SPAZIO SOCIALE E LUOGHI LABORATORIO
Maurizio Bortolotti
13 A GALAXY NOT SO FAR AWAY
Bettina Della Casa
19 COSMOPOLITIZZARE
Grazia Quaroni
26 INTERVISTA A HOU HANRU
Alessandra Poggianti
39 TRASDUZIONE E SUB-VALORE
Vincenzo Agnetti
43 PER DIMENTICARE A MEMORIA
Marco Meneguzzo
50 L'ERA DEL BRONZO VOLATILE
Tommaso Trini
54 CALLING OUT OF CONTEXT
Daniela Cascella
64 DAFNE BOGGERI
Francesca Bertolotti
72 FRA GLI ANNI SESSANTA E GLI ANNI OTTANTA
Emanuela De Cecco
85 IL VEDERE È SECONDO AL SENTIRE...
Francesca Comisso
89 COSTRETTO AL SUCCESSO
Chiara Leoni
96 CONNECTING CULTURES
Laura Riva-Saramicol Viscardi
102 COSA SI SA FARE
Roberta Tenconi
106 RIPENSARE IL SITUAZIONISMO, ANCHE
Cesare Viel
116 CARLA LONZI
Giulio Ciavoliello
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Impercettibile tremore
Francesco Garutti
n. 3

Musei attrazione
Giulio Ciavoliello
n. 2

Fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta
Emanuela De Cecco
n. 1 autunno 2007

In principio era BEAUBOURG
Giulio Ciavoliello
n. 2

Francesco Vezzoli
THE AWFUL TRUTH!

Caroline Corbetta
n. 0 estate 2007


Alessandra Poggianti: Il titolo della tua Biennale Non solo Possibile, ma anche Necessario. Ottimismo nell’epoca della guerra globale è una frase che propone una ricerca di modelli di modernità alternativa dal Terzo Mondo, uno strumento per confrontare un mondo globalizzato. A chi è diretto questo proclama?

Hou Hanru: È diretto a ognuno di noi, perché viviamo tutti in una situazione condivisa di guerra globale, in un’epoca di guerra globale. Ma c’è anche una ragione precisa che è quella di chiedersi a che cosa serva un evento come una biennale, che si svolge in un contesto specifico come la Turchia odierna.

A. P. Puoi spiegare meglio il tuo concetto de “le modernità”?

H. H. Ciò che intendo dimostrare è che la Modernità è un concetto, un valore e un progetto, in continua evoluzione, di una società che ha posto le fondamenta del mondo negli ultimi secoli. Tuttavia, non si tratta in alcun modo di una nozione occidentale: la modernità è stata adattata, reinterpretata e reinventata nei vari contesti mondiali. È sempre stata compresa e implementata in diverse forme, secondo le necessità di ogni posto, in diverse parti del mondo e relativamente alle priorità sociali locali. Le attuali esperienze di decolonizzazione, modernizzazione e integrazione/resistenza del Terzo Mondo alla globalizzazione lo hanno mostrato chiaramente. Questi interventi e reinvenzioni sono sempre stati creativi, e hanno contribuito in maniera decisiva, alla ristrutturazione dell’attuale ordine globale. La storia moderna e contemporanea della Turchia e la sua negoziazione nelle relazioni fra Est e Ovest, Medio Oriente e Europa, la sua continua lotta per l’auto-rinnovamento, ne sono gli esempi più riusciti. Quello della Modernità è, così, per definizione, una nozione plurale. Può solo essere letta come “le modernità”.

A. P. Le biennali disegnano un mondo diviso in due, quello occidentale e quello non–occidentale, i paesi del Terzo Mondo. Istanbul, con la sua ambiguità politica, religiosa, sociale e storica, sarebbe fuori del blocco occidentale, anche se possiamo vedere le tracce di due imperi. Cosa significa curare la Biennale di Istanbul rispetto alla Biennale di Venezia, dove hai progettato Z.O.U, Zone of Urgency nel 2003?

H. H. Si tratta di due progetti molto diversi, a causa delle differenze nei piani geografici, politici e culturali dei due eventi. Venezia è un evento più tradizionale, convenzionale ed eurocentrico. Il progetto della Biennale del 2003 ha tentato di aprirsi verso visioni più globali e variegate di arte contemporanea. Ci è riuscito molto bene. E il mio progetto Z.O.U, Zone of Urgency ha tentato di portare lo sguardo pubblico verso una nuova partecipazione nello sviluppo urbano contemporaneo, esemplificato dalle nuove modalità di urbanizzazione di metropoli non occidentali, come una forma, una nuova energia creativa, sfidando le nozioni convenzionali e le norme della mostra d’arte e mettendo in evidenza: da un lato, i conflitti geopolitici e sociali nel contesto della globalizzazione; dall’altro, modalità innovative di presentare le opere e il loro reciproco dialogo. Ma, alla fine, è rimasto nella cornice dello spazio dell’Arsenale.
Per la Biennale di Istanbul è chiaro che ho tentato di portare questi sforzi ed esperimenti a un grado e a una magnitudo più elevata. La Biennale di Istanbul è fondamentalmente un evento urbano. Esso deve essere completamente integrato nelle condizioni fisiche, sociali e culturali della città, che è una delle metropoli più straordinarie ed eccitanti del mondo. Nel frattempo, gli attuali cambiamenti sociali, politici e culturali della città e del Paese, insieme con i conflitti geopolitici ancora più radicalizzati, hanno imposto l’inevitabile missione per la 10a Biennale di occuparsi di tematiche urgenti, attraverso prospettive storiche, ideologiche e urbanistiche.
Tuttavia ho deciso di sviluppare un progetto complesso e diversificato, per rispondere a bisogni urgenti di esplorazione dei vari aspetti delle modernità nell’era delle guerre globalizzate: dall’utopia politica alla produzione economica, dalla migrazione transnazionale alle nuove frontiere della tecnologia, dall’urbanismo alle fantasie private…, realizzandolo con re–invenzioni creative, ma organiche ai siti specifici scelti per l’occasione.

A. P. Come sono stati scelti i luoghi e come sono stati concepiti?

H. H. Per riesaminare criticamente “la promessa della modernità”, abbiamo scelto alcuni fra gli edifici e i luoghi moderni più significativi, fra cui AKM, IMÇ, Antrepo, Santralistanbul e KAHEM; luoghi che, simbolicamente e fisicamente, rispecchiano i vari aspetti e modelli di modernizzazione urbana della città. In questi luoghi, il progetto utopico della rivoluzione repubblicana e della modernizzazione s’incontra con una realtà vivace, mutevole e caotica, contemporaneamente armonica e conflittuale. Questi sono luoghi dove la visione generale della città moderna si scontra con immaginari e azioni particolari che promuovono la differenza e l’ibridazione.
Fin dall’inizio, il progetto della Biennale è stato chiaramente definito e strutturato oltre un modello convenzionale di mostra. Esso sposa l’idea di far confluire il modello espositivo nell’intensità della vita urbana reale, a partire dalla ricerca allo sviluppo del progetto, dalla selezione dei luoghi e dalle forme d’azione e presentazione in questi luoghi, dai dialoghi e dalle collaborazioni fra gli artisti e gli altri partecipanti, dalla progettazione degli spazi e dalla sua realizzazione attraverso interventi e trasformazioni, così come dalla definizione delle strategie comunicative. È un progetto d’intelligenza collettiva che riflette perfettamente la struttura e la funzione della Moltitudine…

A. P. Antrepo, con i suoi 4000 metri quadrati, è sicuramente il cuore della Biennale. La mia impressione è stata quella di entrare in una città non pianificata, in continua trasformazione e ibridazione, proprio come è Istanbul. Qual è il ruolo dell’artista in uno spazio espositivo concepito in questo modo?

H. H. Gli artisti sono persone profonde e utili perché sanno come proporre idee creative e lavori che negozino le condizioni urbane e le rendano ancora più interessanti e stimolanti.
Il mondo contemporaneo è stato costantemente ridefinito dalla globalizzazione dell’economia e dai conflitti geopolitici. Allo stesso tempo, ogni individuo si sforza di negoziare la decostruzione della memoria culturale; l’identità e i valori scaturiscono da queste trasformazioni radicali. Una metropoli come Istanbul, situata fra Europa e Asia, con una storia ricca e lunga di negoziazione fra influenze culturali, religiose e politiche sia dall’Ovest che dall’Est, e che si espande all’infinito, incarna perfettamente questa dinamica.
È una città “di mezzo”, d’ibridismo e, essenzialmente, di Moltitudine. È una “Entre-Polis”.
Il sito dell’Antrepo fa parte del porto di Istanbul, uno fra i punti di scambio materiale e di contatto umano più frenetici al mondo. La sua posizione geografica è estremamente cruciale: posto nel mezzo della più importante zona di controllo geopolitico, fronteggia sia il Bosforo che il Corno d’Oro. Istanbul è il cancello verso ambedue i lati dell’emisfero.
L’Antrepo è una “Entre-Polis” condensata. È un luogo d’investigazione e sperimentazione con l’intensità dell’odierna vita metropolitana, sempre nel “mezzo” e sempre in movimento. Per funzionare come una vera città, lo spazio dell’Antrepo è progettato come una sorta di labirinto metropolitano che riflette la struttura labirintica di Istanbul.
Come la moltitudine urbana, questi artisti sono personalità molto diverse che usano linguaggi diversi. Sono impegnati a esplorare un ampio spettro di problemi decisivi per la nascita della nostra “Entre–Polis” condensata. Questo labirinto urbano è raffigurato e organizzato come uno scenario di vita di strada, crescendo e oscillando fra la più intensa sovrapposizione di luce, oscurità, immagini, suoni, azioni, traffico e incidenti. Si sviluppa in tutte le direzioni, in alto e in basso, a destra e a sinistra, disorienta, è caotico, spettacolare ma pieno di misteri e sorprese. Si tratta di un’azione collettiva per reclamare la totale dissoluzione dei confini fra arte e vita urbana.

A. P. Poi c’è Burn it or Not, la mostra allestita nel primo edificio moderno di Istanbul, l’Ataturk Cultural Centre, simbolo della visione utopica della Repubblica turca. Infatti, quasi tutti i lavori esposti hanno una distanza analitica che è completamente assente in Antrepo. Qual è la relazione fra arte e architettura per te?

H. H. L’architettura è sempre stata strettamente legata ai progetti politici. Le istituzioni pubbliche sono le immagini più visibili di questa relazione. Questo fatto non è cambiato nell’era moderna, nonostante sia stato storicamente un periodo più democratico; piuttosto si è rafforzato. Ma il modernismo è in realtà idealista e utopista, è basato sul progresso economico, politico, socio-culturale e tecnologico, sulla solidarietà, sulla giustizia sociale e sulla democrazia. Il modernismo raffigura perfettamente l’ideale di una moderna utopia politica. La monumentalità e la spettacolarità diviene il linguaggio caratteristico nell’espressione di tale visione utopista. Situato in Piazza Taksim, AKM è il maggior sito pubblico per gli eventi culturali e i cerimoniali politici e per le performance di “arte alta”. Il suo stile socio-modernista lo rende il simbolo perfetto della visione utopica della Repubblica turca. Tuttavia, questo interessantissimo edificio sta fronteggiando una crisi fatale: è minacciato dalla gentrification delle forze del neo-liberismo economico, mano nella mano col potere politico populista. Un complesso più fantasioso, “post–moderno”, probabilmente di tipo aziendale, è stato pensato per rimpiazzarlo.
Le sue origini sono piene d’ironia. Appena costruito, l’edificio fu bruciato nel 1970, durante uno spettacolo. Pochi anni dopo, attraverso enormi sforzi per la sua ricostruzione e conservazione, l’edificio risorse dalle sue ceneri, come una fenice. AKM sta affrontando una seconda fase di fuoco – questa volta dalle forze della globalizzazione: un’economia neo-liberista e il cinismo politico. AKM, bruciarlo o no? Questa è la domanda. Ovviamente, una mobilitazione della consapevolezza sociale per resistere al trend globale diviene un compito urgente. La città dovrebbe essere il campo di battaglia per immaginare, testare e promuovere progetti urbani e sociali che difendano la sfera pubblica e i valori democratici, cioè i valori della Moltitudine. Portare gli interventi artistici e le visioni critiche al AKM può ripresentare efficacemente l’edificio al pubblico.

A. P. Uno degli interventi più interessanti è stato scegliere il Mercato dei Commercianti di Tessuti di Istanbul per ospitare una serie di progetti che affrontano la questione del lavoro oggi. Qual è stato il rapporto fra la comunità locale e i mercanti? Questa mossa è stata una strategia, una tattica o un gesto simbolico?

H. H. Tutte queste cose insieme. Alla fine si tratta di un test sull’originalità del progetto in termini di negoziazione globale-locale, un laboratorio per tentare soluzioni differenti che diano un senso alle creazioni artistiche legate al problema dei diversi modelli di produzione nella trasformazione economica globale attuale. La mostra World Factory era stata inizialmente concepita e presentata al San Francisco Art Institute all’inizio di quest’anno. Adesso, il lavoro di venti artisti turchi e internazionali che trattano questa problematica sono stati portati al IMÇ ed esposti in vari negozi e aree pubbliche. Tuttavia, non si tratta di semplici esposizioni di oggetti esistenti: invece, gli interventi sono organicamente integrati nel contesto. Molti dei lavori sono nuovi progetti prodotti specificamente per quei siti. I lavori sono performativi e in continuo sviluppo durante il periodo espositivo; essi creano dialogo, scambi e anche collaborazioni con le persone che lavorano nell’edificio. Il IMÇ è un condensamento microcosmico della struttura di Istanbul, una mega-città in espansione e mutamento permanente. Fondamentalmente il IMÇ mostra la vera immagine del processo di modernizzazione turco e la molteplicità della sua modernità. La maggiore forza trainante della modernizzazione della Turchia, come per molti altri Paesi in via di sviluppo, è la sua integrazione nel sistema dell’economia globale. Il Terzo Mondo, oltre a essere esportatore di materie prime, è stato trasformato in una base di produzione per i beni di consumo del mercato del Primo Mondo. Il mondo in via di sviluppo è stato trasformato in un’enorme World Factory.
Ovviamente questa trasformazione ha un impatto immenso su tutti gli aspetti della realtà sociale: industrializzazione, urbanizzazione, progresso culturale e materiale accompagnato dalla gentrification urbana, immigrazione forzata, insicurezza d’impiego, distruzione ambientale, conflitti sociali, eccetera. Da un lato, il mondo in via di sviluppo deve adattarsi al sistema produttivo imposto dall’“economia globale” per restare nel sistema “regolare”, dall’altro lato sono emerse un crescente numero di mobilizzazioni sociali e strategie di resistenza, sono stati inventati e messi in pratica modelli economici e produttivi alternativi o “irregolari”, al fine di venire incontro alle esigenze della popolazione. Questi modelli, non solo generano economie locali diverse e dinamiche, ma producono anche spazi urbani complessi, ibridi ed energici. Questa negoziazione fra differenti modalità produttive non solo rende il mondo in via di sviluppo più creativo ed efficiente, ma influenza anche profondamente l’ordine dell’economia globale.
Un numero crescente di artisti stanno esplorando le sfide e le opportunità offerte da questa mutazione e prendono parte alla produzione di visioni creative e strategie per affrontare la realtà odierna.
Spesso si occupano direttamente di varie forme di attivismo sociale con progetti artistici aperti alla partecipazione e alla collaborazione pubblica. Questo fatto ha cambiato radicalmente il linguaggio e la funzione dell’arte contemporanea. Questi artisti stanno producendo un nuovo ordine di cultura globale attraverso la diversità. La creazione di eventi artistici e culturali nel Terzo Mondo, come la Biennale di Istanbul, fanno parte di questo processo di negoziazione e produzione.

A. P. È impossibile visitare la Biennale con un itinerario fisso, al contrario si ha bisogno di un “tempo ludico” indeterminato, dove perdersi nella città fa parte dell’intera esperienza di visita della Biennale. Qual è il ruolo del tempo? Lo possiamo considerare, con Michel de Certeau, una tattica contro lo spazio prestabilito?

H. H. Sì, puoi intenderlo perfettamente in questi termini, ma non è solo una tattica, è un evento della vita reale. La Biennale coinvolge questo aspetto spesso ignorato negli eventi d’arte: il tempo. Per integrare l’evento più strettamente nella vita quotidiana della popolazione urbana, oltre all’espansione dei progetti a molte aree diverse della città, ho deciso di farli succedere 24 ore al giorno per adattarsi alla realtà di una città senza sonno. Questo fatto è radicalmente stimolante per gli artisti, gli organizzatori e, ugualmente importante, per il pubblico.
Questa Biennale, alla fine, tenta di divenire uno stimolo permanente e un catalizzatore per generare nuove possibilità di vita urbana e di attività creative. È qui che possiamo capire il vero significato di questa Biennale, o delle biennali in generale.

A. P. Come può la pratica artistica contribuire alla costruzione di un mondo migliore?

H. H. Basta farlo!

Traduzione dall’Inglese di Chiara Leoni