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Il Malpensante (2009-2010) Anno 1 Numero 2 novembre 2009-gennaio 2010



La fame dell'Impero

Roberto Cosenza

Storia di un confine immaginario



Rivista Sperimentale di Cultura e Ricerca Artistica


IL MALPENSANTE n°2

IN QUESTO NUMERO:

Confesso di aver vissuto. Hans Jürgen Weber, l’intervista
Stefania Rubeo,Marco Pieraccini ............................................................4

Eudaimonia. ??????????
Maruska Nesti....................................................................................6

L’altro se stesso. Narciso
Rafael Vindigni ......................................................................................7

L’Altro
Maurizio Calderoni .................................................................................8

San Sebastiano
Ilaria Buselli ............................................................................................9

La striscia su l’altro.
Champa................................................................................................10

I respinti Riflessioni su chi va e chi viene
Sara Buselli ...........................................................................................11

Entropia dell’essere *
Marco Pieraccini ...................................................................................12

La fame dell’impero. Storia di un confine immaginario
Roberto Cosenza ..................................................................................14

Senza Titolo
Diddi Bozano.........................................................................................15

Appetizer’s Monkey
Riccardo Querin ....................................................................................16

Geometrical Wood *
Teo Pirisi ...............................................................................................18

Mediterranea
Sara Buselli...........................................................................................19

La campana della libertà
Stefania Rubeo ......................................................................................20

Distruggere l’”altro” per giustificare un’oppressione
secolare. Il caso del colonialismo inglese in Irlanda
Riccardo Michelucci ...............................................................................22

* recensioni delle opere a cura di Maruska Nesti
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Le macchine narrative
Roberto Cosenza
n. 3 febbraio-aprile 2010


Marco Pieraccini
Entropia dell'Essere
2009

Rafael Vindigni
Narciso
2009

San Sebastiano
Ilaria Buselli
2009

"Per una persona che non ha mai visitato
l'Est, disse una volta Nerval a Gautier, il loto
e ancora il loto; per me e solo una specie di cipolla"

E. Said Orientalismo

"Dio, voi ebrei siete davvero esotici!"
Esotici? Se solo conoscesse i Greenblatt.
Oppure Milton Sharpstein e signora, amici di
mio padre. O, quanto a questo, mio cugino
Tovah. Esotici? Voglio dire, brava gente ma
nient'affatto esotica, con le loro interminabili
diatribe sul modo migliore di curare
l'indigestione e sulla distanza ideale fra te e il teleschermo.

Woody Allen, Punizione in Effetti Collaterali(1)

Nota
Questo è un discorso sul linguaggio, sul racconto. Prima di cominciare intendo fare alcune, forse ovvie, considerazioni.
Dopo molte illusioni e inseguimenti accecati, oggi sappiamo che l'uomo non e in grado di rappresentare la realtà. Qualsiasi operazione volta a documentare la realtà e vana. Giornalismo, antropologia, documentari, e via dicendo, sono racconti. Ogni tentativo di riprendere la realtà per registrarla o riferirla in qualche forma, prevede delle scelte: ad esempio dove mettere la macchina da presa, con quali parole riferire l'accaduto, come trascrivere ciò che si vede. Nel linguaggio il problema dell'irrapresentabilità della realtà riguarda la natura stessa delle parole: le parole sono la sostituzione di qualcos'altro, stanno a indicare qualcosa, un'azione, un oggetto, una caratteristica, che non e presente al momento del discorso, del dire, del racconto, e vengono portate al posto di quel qualcosa per rappresentarlo. Senza le parole dovremmo forse indicare continuamente le cose con un dito, senza poter articolare un discorso. Ogni lingua ha scelto le sue parole per rappresentare le cose, e queste sono un compromesso, perchè non sono le cose stesse. Ecco che il linguaggio, qualsiasi linguaggio, e un surrogato della realtà, una derivazione. Il linguaggio e utilizzato da persone, che fanno delle scelte nell'utilizzo di questo strumento. L'uomo quindi racconta sempre, ed ogni tentativo di imparzialità e vano, poiché è tecnicamente impossibile, e il racconto, con le scelte del narratore, contiene una strategia, che porta a costruire il discorso. I linguaggi in altri termini hanno la funzione di mediare tra la realtà e l'ascoltatore e sono guidati dal parlante, il quale compone un discorso offrendo una visuale. La realtà é di fatto sempre filtrata dal narratore. Occorre quindi analizzare il linguaggio come mondo a se, indipendente e stabile, diverso dalla realtà. Ogni qualvolta ascoltiamo o leggiamo un discorso, un'informazione, occorre scinderlo dalla realtà, considerarlo come consultazione di un sistema a se stante, con le sue regole e le sue verità, diverse da quelle della realtà oggettiva. Nell'analisi del mondo contemporaneo occorre dare uno spazio importante al linguaggio, alle parole, protagonisti del nostro mondo. La storia contemporanea si e fatta con i discorsi tanto quanto con le armi (o forse di più, visto che spesso hanno preceduto i fatti). Sono gli odierni strumenti della conquista e del potere. E’ solo per questo che oggi il mondo ci sembra più pacifico rispetto al passato (almeno in Europa e negli Stati Uniti). Oggi non si uccide più come un tempo, si racconta.

Parole e simboli dell'odio e dell'amore
In un libro pubblicato nel 1978, Edward Said ha descritto la storia dei rapporti tra quelli vengono chiamati "Oriente" e "Occidente". L'opera è il celebre Orientalismo, testo che affronta in realtà quelli che sono i rapporti tra Europa e resto del mondo. Parlando di Occidente e Oriente, il libro discute del rapporto di forza tra l'Europa coloniale (e gli Stati Uniti successivamente) e tutto ciò che si trova al di fuori del "confine" immaginario che la separava dal resto del mondo. L'analisi riguarda quella disciplina definita Orientalismo.
Partendo dall'assunto che Oriente e Occidente siano due cose nettamente separate e diverse, l'orientalista si è cimentato nello studio di ciò che era oltre il confine. Ciò che si è delineato, è l'immagine di un mondo fermo nel tempo, primitivo, senza storia, misterioso, violento, irrazionale, spirituale, creando una serie di stereotipi che hanno inventato di fatto l'Oriente, un Oriente che non esiste. L'Oriente in questo contesto viene considerato prima di tutto un mondo uniforme (nonostante si stia parlando di un'area vastissima), accomunato dalle stesse caratteristiche immutabili. Le concezioni che vivono in questi studi sono legate a discorsi sulle razze, e alla convinzione che da queste derivino caratteristiche tipiche. Tali caratteristiche sarebbero ad esempio l'irrazionalità, la tendenza alla violenza, la profonda incapacità di gestirsi, progredire, di rappresentarsi. Di conseguenza si era convinti che l'Europa dovesse portare civiltà e progresso all'interno di questi paesi e quella dell'esportazione della civiltà è stata una motivazione riaffiorata più volte nella storia del colonialismo. La mole di sapere venutasi a creare è divenuta pilastro nella conoscenza dell'Oriente, e a queste fonti hanno attinto romanzieri, artisti, poeti, viaggiatori, creando altro materiale pregno di queste concezioni, nomi come Goethe, Hugo, Flaubert, Byron, Gautier, hanno contribuito al mito dell'Oriente. Si delinea un'Europea in cui era diffuso un certo razzismo, delle idee di superiorità supportate da discipline come l'antropologia storica e culturale. Oltre all'attività di importanti studiosi come Renan, de Sacy, l'attività degli studi orientali vantava il contributo di associazioni e società di carattere scientifico e culturale e da governi coloniali, i quali si servivano del sapere orientalista e degli orientalisti stessi per pianificare l'invasione. In questo contesto conoscere significava possedere.
Lo sfruttamento va poi ben oltre l'invasione, il romanticismo fu investito dal mito e diffuse idee secondo le quali era necessario ad esempio approfondire lo studio dell'India, poiché solo la religione e la cultura indiane potevano sconfiggere il materialismo e il meccanicismo dell'occidente. Ecco che l'Asia viene caricata di significati e considerata in relazione alla sua utilità per l'Europa. In ogni approccio, in ogni descrizione, l'oriente viene descritto da punto di vista europeo, ogni singolo aspetto viene percepito come a disposizione dell'osservatore, del suo occhio, della sua anima, del suo viaggio, del suo studio. Tutto viene piegato all'Europa, all'Occidente. L'europeo comprende, descrive, utilizza, prende, afferma, l'oriente nella percezione europea è sempre fermo, immobile, si offre e si mette a disposizione. Questo e quello che leggiamo nell'orientalismo e nella letteratura e nell'arte che ne derivano. La voce dell'Oriente non è mai chiamata in causa, non partecipa, e se l'oriente parla l'europeo ci riferisce cosa dice, lui solo sente la sua voce e lui solo può riferirla, l'Oriente non può rappresentarsi, è incapace di farlo. La continua demarcazione dell'alterità e della sua giustificazione, ha fatto si che il confine immaginario divenisse acquisizione duratura e indiscutibile. Questo e avvenuto grazie alle generalizzazioni, a quei simboli ancora attivi nell'immaginario collettivo, non solo, il confine viene spiegato scientificamente. Il fatto che fosse possibile raggiungerlo (a maggior ragione oggi) e vederlo non cambia la posizione di questo mondo: i viaggiatori, i funzionari, hanno sempre visto e interpretato questo mondo attraverso la lente europea.
Credo di poter affermare che esistono almeno due approcci all'Oriente, entrambi derivati dalla cultura orientalista: le radici sono la xenofobia e xenofilia, e danno origine a diversi atteggiamenti, ad esempio a descrizioni strumentali e stereotipate del medioriente o alla promozione di un oriente incantato e spirituale, altrettanto stereotipato.
Barbara Holdrege, in un saggio intitolato Oltre l'ottica europea: lo studio comparativo come antidoto all'egemonia(3) affronta direttamente il problema dell'impostazione eurocentrica.
Riflette sulle possibilità di mettere da parte l'Europa come interlocutore principale e come punto di vista principale. L'alternativa e quella di provare a considerare i rapporti tra altre zone del mondo escludendo l'Europa, come tra Asia e Medioriente. L'obiettivo e quello di smantellare la cultura eurocentrica ereditata dal colonialismo la quale, in forme esplicite o inconsapevoli, e ancora presente nella cultura europea. Chiamando in causa J. M. Blaut, Holdrege ci fa notare come il problema non sia riconducibile semplicemente ad atteggiamenti o pregiudizi, e che, essendo il discorso ambientato in un ambito scientifico, la questione e molto più complessa. Il modello eurocentrico è quello di un mondo avente un centro (l'occidente) e una periferia, un "interno" e un "esterno", dove le scoperte, le innovazioni, si muovono dal centro alla periferia. In realtà molti studiosi hanno dimostrato come prima dell'ascesa Europea il mondo avesse più centri e come le innovazioni venissero dall'Oriente. L'Europa quindi non e sempre stata più progredita e la sua ascesa non e frutto della sua superiorità ma del contributo dell'umanità. Il suo posizionarsi in una posizione dominante sarebbe dovuto al declino dell'Oriente. E interessante di conseguenza osservare il paradigma eurocentrico, evidenziato da Holdrege, nel quale e visibili secondo la valutazione di quali aspetti si opera la distinzione: Europa/Non-Europa, razionalità/irrazionalità, pensiero astratto/pensiero concreto, mente/corpo, spirito/materia, modernità/tradizione, progresso/stagnazione, inventiva/imitazione, libertà/dispotismo, individualismo/comunità. Holdrege alla luce di questi studi considera la necessità di riconsiderare i paradigmi europei. Questi hanno privilegiato alcune categorie come razionalità, modernità, progresso, capitalismo, libertà, individualismo, di conseguenza ciò che non si adegua al modello viene giudicato esotico, aberrante. La proposta e un'alternativa agli studi d'area e agli studi globali circoscrivendo gli studi a due nodi "del sistema precedente, contemporaneo e successivo all'egemonia europea": Asia meridionale e Medioriente. Nello studio accademico della religione, i paradigmi utilizzati sono di impostazione protestante. Ecco la dicotomia: sacro/profano, credenza/pratica, dottrina/legge, individuo/comunità, universalismo/particolarismo, modernità/tradizione. Le conseguenze sono quelle di dare importanza a distinzione sacro-profano e quindi tra chiesa e stato, separando la religione come qualcosa di diverso dalla cultura, la tendenza a definire la religione come sistema di credenze dando priorità alle categorie di fede, credenza, dottrina e teologia, dando meno importanza al ruolo della pratica, del rituale e della legge, la tendenza a dare importanza all'individuo invece che alla comunità nella vita religiosa dando meno importanza alla dimensione sociale e culturale della religione, e il considerare l'identità religiosa "privilegiando l'universalismo" sul "particolarismo", "riflettendo cosi un modello missionario di tradizione religiosa". I paradigmi di impostazione protestante sono dunque insufficienti per la valutazione di tutte le religioni e per dimostrarlo Holdrege considera due delle principali tradizioni religiose mondiali: la tradizione hind? ed ebraica. Qui si presenta la necessità di mettere in luce relazioni diverse "come quelle tra religione e cultura, tra identità etnica e adesione religiosa, tra osservanza e non-osservanza, tra purezza e impurità.
Tali relazioni sono oscurate dall'applicazione dei modelli prevalenti. Nei paradigmi di impostazione protestante, sono prioritarie la credenza, la dottrina e la teologia, per il carattere missionario delle tradizioni cristiane, le tradizioni hind? ed ebraiche offrirebbero paradigmi in cui sono prioritarie pratica, osservanza e legge, per il carattere non missionario di queste tradizioni."(4)
Da qui possiamo comprendere molto della nostra tradizione di conoscenza del mondo. Ma possiamo comprendere meglio anche altri aspetti della colonizzazione: quelli dell'esportazione in occidente del "prodotto oriente". Alla luce delle categorie analizzate appare molto più chiaro tramite quali mezzi l' "Oriente" tuttora viene sfruttato, venduto, reinventato e secondo quali categorie viene piegato all'uso e consumo dell'Europa e degli Stati Uniti. Basti pensare alle tradizioni cristianizzate secondo generici valori universali o appiattite epurandole dagli aspetti che meno si sposano con le esigenze della società capitalistica, eliminando cioè la scomodità dell'osservanza, del sacrificio, della legge, della pratica e rivendute come "filosofia orientale" o "religione orientale" o "tradizione orientale", con generiche etichette di rappresentazione, sviluppate di pari passo con l'immaginario collettivo.
Federico Squarcini nel suo Ex Oriente Lux, Luxus, Luxuria(5) analizza l'esistenza delle tradizioni sudasiatiche in Europa e negli Stati Uniti, offrendo ai nostri occhi un panorama fatto di meccanismi complessi. Tramite questa analisi e possibile comprendere come, attraverso le evoluzioni dell'immaginario collettivo, l'oriente, ormai consolidatosi come prodotto, venga modellato, rimodellato e consumato nel mondo contemporaneo. Ci accorgiamo che le generalizzazioni non sono scomparse, sono anzi in continua evoluzione, e assistiamo a una continua scorporazione, frammentazione, costruzione dell'immagine dell'Oriente e dei prodotti che e in grado di offrire, i quali vanno dai semplici oggetti fino ai "beni dell'anima". Ciò che si è creato in questa parte del mondo è un oriente parallelo, totalmente reinventato, che vive di vita propria, fatto dell'immaginazione "occidentale". Grazie alla semplificazione e all'appiattimento l'oriente è vendibile su larga scala, rimodellato sulle esigenze di chi deve consumarlo. Così ad esempio parti di complesse tradizioni vengono estratte e offerte separatamente con un nuovo senso e nuove finalità, come nel caso dello yoga, che diviene nelle città europee e statunitensi ginnastica, supporto psicologico, strumento per la ricerca identitaria personale e altro ancora. L'uomo contemporaneo abbandona le religioni caratterizzate da "obblighi" per approdare a "spiritualità" che portano al "benessere personale" del corpo, della mente o dell' "anima", le quali si sposano meglio con la societa contemporanea, dottrine che è possibile costruirsi da se, incollando vari aspetti tra loro, non senza l'aiuto di chi arriva direttamente da oriente. Ciò che caratterizza tutto ciò è la possibilità di far riferimento alla stessa idea di Oriente che accomuna questi fenomeni. Ed è sempre questo il punto di ritorno, l'immagine fissa, presente nella mente di una moltitudine, alla stregua di un pregiudizio. Le nuove forme di sfruttamento dell'altro, di colonialismo, si muovono perciò sul terreno preparato dagli studi del "colonialismo classico". Le nuove forme di religione "fai da te", il territorio new age, prolungano la descrizione strumentale dell'altro, devastando le tradizioni alle quali si ispirano. In questo compito l'Occidente e stato assistito dall'Oriente. Cito un caso assai simbolico. Il marchio "zen", del quale ci parla lo stesso Squarcini, può essere ricondotto agli scritti di D. T. Suzuki, i quali danno vita a una interpretazione idealizzata del buddismo, definita "Suzuki Zen". L'ottica zen si basa su una concezione dicotomica tra Oriente e Occidente. Cito la tradizione operata e proposta da Squarcini stesso da Zen buddhism and Psychoanalisis di D.T. Suzuki:

"La mente occidentale è analitica, discriminante, differenziante, induttiva, individualistica, intellettuale, oggettiva, scientifica, generalizzante, concettuale, schematica, impersonale, normativa, organizzativa, detentrice del potere, auto affermativa, orientata a imporre la volontà sugli altri, [...] [quella orientale è] sintetica, totalizzante, integrante, non-discriminante, deduttiva, non-sistemica, dogmatica, intuitiva, (piuttosto, emotiva), non discorsiva, soggettiva, spiritualmente individualistica e socialmente collettivistica."(6)

Riguardando l'analisi di Holdrege e di Said l'eredità dell'orientalismo e del colonialismo è notevole, con i suoi schemi di analisi e le sue generalizzazioni.
Suketu Metha ha scritto in un articolo dal titolo A big stretch apparso sul New York Times(7):

Sono cresciuto guardando mio padre che tutte le mattine stava a testa in giù. Eseguiva il sirsasana, una posizione yoga a cui deve il suo giovane aspetto anche adesso che ha sessant'anni. Oggi, se volesse passare i segreti della sua buona salute ad altri, c'è il rischio che debba pagare i diritti a un americano che ne ha registrato il brevetto. Lo US Patent and Trademark Office (l'ente che negli Usa si occupa dei brevetti e dei marchi registrati) ha rilasciato 150 copyright in tema di yoga, 134 brevetti su accessori e 2.315 marchi commerciali sempre relativi allo yoga. Sono tanti i soldi che girano dietro alle flessioni e alle contorsioni dello yoga: 3 miliardi di dollari nella sola America.Per molti indiani resta un mistero come si possa trarre tutto questo profitto dall'insegnamento di un sapere che non dovrebbe essere venduto o acquistato come se si trattasse di salsicce.

L'autore procede informandoci che molti di questi brevetti vengono depositati da indiani stessi negli stati uniti.
È necessario dunque interrogarci sul nostro rapporto con ciò che c'è al di là del confine, su quanto abbiamo ereditato da questa separazione, ma soprattutto riflettere sull'invenzione di questo confine. Riconoscerlo significa decostruirlo, come molti studiosi stanno facendo, ma significa anche trovare un altro modo di procedere nei rapporti tra popoli e diverse aree del mondo. L'autorappresentazione dei popoli è fondamentale. Anche il mondo dell'arte per intero deve interrogarsi in proposito, avendo partecipato appieno, con la sua capacità di suggestione e il suo potenziale di circolazione delle idee e delle immagini, al processo appena descritto. Come abbiamo visto l'eredità coloniale è viva e ha nuove forma: la descrizione dell'altro è ancora stereotipata, strumentale, e negli ultimi anni assistiamo a una denigrazione dell'altro o all' "esotizzazione" ancora di molti popoli, per vederlo basta girare per i mercatini.
I due premi nobel Orhan Pamuk e Oe Kenzaburo nel 2008 hanno discusso all'università di Doho a Nagoya, in Giappone, in occasione del forum annuale "La creatività nel 21mo secolo con i laureati del nobel" in una conferenza dal nome "Come trovare un punto di incontro con l'Occidente - dialogo fra romanzieri dell'Oriente"(8), proprio la possibilità di trovare una strada nuova nel rapporto tra le parti del mondo. Entrambi convengono che il contributo della letteratura può essere grande. Un esempio di questo sforzo sono le opere Il castello bianco e Istambul dello stesso Pamuk.
Una strada appena cominciata, tutta da sperimentare.

Note
1 Bompiani 2004; titolo originale dell'opera Side effects, 1975
2 Titolo dell'opera originale Orientalism, Pantheon Books, New York 1978, 1995; prima edizione italiana, Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991. La versione da me utilizzata e "Universale Economica" Feltrinelli, 2001, traduzione Stefano Galli
3 In Verso l'India Oltre L'India. Scritti e ricerche sulle tradizioni intellettuali sudasiatiche a cura di Federico Squarcini, Mimesis 2002
4 Holdrege
5 Società Editrice Fiorentina 2007
6 L'Espresso http://espresso.repubblica.it/dettaglio/yoga-senza-copyright/1939809/17/1
7 http://www.nytimes.com/2007/05/07/opinion/07mehta.html la traduzione è di Alessandra Pugliese
8 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/06/20/romanzi-ci-salveranno.html