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ArteSera Anno 1 Numero 4 marzo 2011



Wael Shawky

Olga Gambari

Mostra alla Fondazione Pistoletto a cura di Judith Wielander



Il primo free press di Arte Contemporanea per tutti


SOMMARIO ArteSera N. 04
Marzo 2011

UnitàIdentità


In questo numero:

L¹arte si è fermata a Eboli? /

Visioni di Torino: Museo Torino e Ruth Proctor /

Turin Talking Blues /

Collezione ArteSera: Alessandro Sciaraffa/

Io sono un torinese ­ Io sono un italiano /

Album Italia /

Visitaguidata: Wael Shawky alla Fondazione Pistoletto /

Storie: Let me tell you a story. Fondazione Sandretto /

Extra: gli Autoritratti di Carla Lonzi /

Mestiere dell¹arte: Michele Guaschino, creatore di identità /

Agenda Musei e Gallerie Torino e Piemonte
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Wael Shawky
Cabaret crusades: the horror show file

Wael Shawky
Cabaret crusades: the horror show file

Wael Shawky
Cabaret crusades: the horror show file

Non è sempre tutto come appare, o come ce lo hanno raccontato. La Storia è andata avanti così per millenni e continua, con la verità, o meglio le verità, che giacciono nel fondo germinando fiori mostruosi e apparentemente incomprensibili. Le radici sono in quelle verità occultate, che, comunque, non si posso cancellare ed emanano la loro versione dei fatti, ciò che sanno.

Alla Fondazione Pistoletto Cittadellarte l’artista egiziano Wael Shawky racconta la storia delle crociate dalla parte di chi le ha subite, immergendoci nell’esperienza del mondo arabo che per due secoli, dal XI al XIII, fu attaccato dagli eserciti cristiani europei. La versione ufficiale che l’Occidente ha sempre conosciuto e tramandato è quella che il popolo cristiano si armò per andare a liberare i luoghi del Santo Sepolcro dagli infedeli. Una missione animata dalla fede, negli intenti dichiarati, ma in realtà portata avanti per reagire a una crisi sociale ed economica che aveva colpito l’Europa di allora.
Shawky ha realizzato un piccolo e meraviglioso film di marionette. Si intitola “Cabaret crusades: the horror show file” e mette in scena quattro anni cruciali delle crociate, dal 1096 al 1099. Appare una Storia molto diversa, in cui papi e re europei decidono di attaccare e prendere i territori medio-orientali, muovendosi con intrighi e violenza, spinti da un desiderio di potere e nuove ricchezze, cercando di dar sfogo al malcontento delle masse che pativano il momento difficile. La guerra religiosa fu la bandiera dietro la quale partirono all’attacco dell’Asia Minore e del Mediterraneo Orientale, travolgendo, saccheggiando, torturando. Presero Gerusalemme e poi città della Palestina e della Siria, prima che l’Islam iniziasse ad unirsi oltrepassando il frazionamento dei vari emirati arabi. Fu uno scontro di civiltà durissimo, una brutta pagina di storia occidentale, che pose le basi per una divisione e un’ostilità che ancora- e forse soprattutto- oggi è in pieno corso.

Wael Shawky è partito dal saggio “Le crociate viste dagli arabi” che lo scrittore libanese Amin Maalouf scrisse nel 1983, basandosi su documenti di storici arabi. Il libro fu uno sconvolgimento dell’intera storigrafia riguardante le crociate, un testo obbiettivo che ribaltò un punto di vista assodato per secoli e iniziò a porre la riflessione sullo scontro tra mondo occidentale e mondo arabo su un altro piano. Per interpretare il video “Cabaret Crusades” l’artista ha scelto come protagoniste 70 marionette a filo della collezione torinese Lupi, una delle più prestigiose al mondo, figure umane e animali snodabili, realizzate tra Settecento e Novecento. Una produzione durata mesi, sostenuta dalla Fondazione Pistoletto e dal Theater der Welt di Essen, con la consulenza di Daniele Lupi, girata tra Biella e l’Egitto, che ha visto al lavoro 4 scenografi, 7 marionettisti, 8 giorni di riprese, la ricostruzione di due ponti di manipolazione delle marionette alti tre metri. Un vero e proprio film, in lingua araba e sottotitolato in inglese, con scene di massa e primi piani intensissimi su questi volti antichi e spesso sbrecciati, dalla bocca animata oltre che il corpo, in scenografie ricche e dettagliatissime, dense di atmosfera e suggestione, con una colonna sonora ad hoc e grandi giochi di luci e ombre. Sfilano i condottieri franchi, dal Conte di Tolosa e Balduino di Boulogne, a Raimondo IV e il Principe di Taranto, che si misurano con Yaghi Siyan, governatore di Antiochia, il legislatore armeno Thoros di Edessa, l’imperatore bizantino Alexios Komnesos. Un film storico poeticissimo e al tempo crudo, geniale nella scelta di utilizzare delle marionette, per di più appartenenti a una specificità culturale che poteva apparire distantissima e inadatta, e che invece è riuscita a bucare il sipario, l’occhio e il cuore del Tempo.

Con la metafora della marionetta l’artista approda a un simbolismo capace di trasfigurare una vicenda particolare in una narrazione universale. Sfila un catalogo di umanità e di comportamenti, le storie diventano la Storia, sempre uguale, in cui riconoscere tante altre vicende. Ci si cala in coloro che erano stati sempre considerati i nemici, feroci musulmani, arabi infidi che minacciano ancora oggi la cristianità occidentale. Ma le cose appaiono diverse, ieri e oggi. I bambini sono bambini, il sangue è sangue, la violenza distrugge ogni cosa e ipoteca il futuro, un futuro che parte da un teatrino di puppets per arrivare alla nostra contemporaneità vissuta. La vita umana appare una rappresentazione teatrale, le persone marionette mosse da fili tenuti in mani che manovrano troppo in alto per essere scorte. Le figure storiche sono maschere ad uso e consumo, lontanissime dal reale, così come le serigrafie colorate e stranianti di Andy Warhol dedicate ai personaggi famosi, icone che non c’entravano nulla con le persone in carne e ossa. Il film sembra un sogno magico e inquietante, una serie di tableau vivant e di visioni pittoriche che si susseguono, sovrapponendo tempi e luoghi e portandoci dall’altra parte, immaginando un Islam vicino nella sua piccola quotidianità.

L’identificazione dell’altro come nemico comune aiuta sempre la collettività a cementarsi e a sfogare la propria ansia, l’insoddisfazione concreta : “Cabaret Crusades” eleva il punto di vista e lo fa girare di 180 gradi, proponendo un’ipotesi di risoluzione, di conoscenza reciproca, singola, al di là delle appartenenze culturali e storiche di gruppo. In questo prende forma un’altra possibilità di unità e di identità condivisa come terreno d’incontro.


Judith Wielander, la curatrice del progetto, mi ha ripetuto spesso che la cosa importante è che Wael Shawky, artista del mondo arabo, racconti la sua storia in una produzione realizzata da un’istituzione del mondo occidentale e non arabo.