Segno Anno 35 Numero 237 ottobre-novembre 2011
La formula adottata quest’anno per la mostra di Castelbasso, di cui sei curatore, da quale presupposto nasce?
- Ho curato questa edizione insieme a Francesca Referza con la quale ho condiviso tutte le scelte teoriche ed operative. La mostra, intitolata Interferenze Costruttive, vuole mettere in rapporto la produzione delle aziende prescelte con quella degli artisti che possono fare la differenza e creare innovazione nelle aziende stesse. Come abbiamo scritto in catalogo, l’arte che interferisce con la vita e in questo caso con la vita produttiva di notizie, costruzioni, dolciumi eccetera, è un sogno della modernità a seguito della caduta dell’antichità in cui l’arte e la vita erano strettamente connesse. Quindi questo esperimento tentato a Castelbasso ha radici e desideri lontani, è un sogno antico-modernista di riconciliare l’arte con la vita stessa, quella vita sempre più bisognosa dell’arte. In questo senso mi piace ricordare le tante conversazioni avute con Ettore Spalletti per il quale la bellezza e l’arte salveranno il mondo.
Nella realizzazione di mostre tematiche io guardo sempre alla qualità dell’opera e alla corrispondenza che questa ha, in modo non didascalico, con il tema.
La metamorfosi design-arte può portare ad altri approdi sia in senso estetico che funzionale?
- Certamente. Esiste una terra di mezzo, attiva da anni. La mostra Il grande gioco, da me curata alla GAMeC di Bergamo nel 2010, voleva dimostrare proprio questo. In modo simile l’esposizione Quali cose siamo, a cura di Alessandro Mendini al Triennale Design Museum di Milano, indicava ancora meglio la strada di complicità tra arte e design, ma anche tra arte ed altri saperi espressivi.
Per sopperire alla scarsità di finanziamenti istituzionali, è realistico contare prevalentemente sugli sponsor dal momento che la crisi economica tocca tutti i settori produttivi?
- A Castelbasso è stato di grande aiuto finanziario la Fondazzione Menegaz e le altre Istituzioni pubbliche e private. A Bergamo, la GAMeC ha attirato nuovi sponsor, oltre ai tradizionali Tenaris Dalmine, Banca Popolare e Bonaldi. Lo scorso anno, in tempo di crisi, ABenergie ha deciso di venire con noi. Inoltre, la stessa Banca Popolare si è offerta di regalarci un nuovo museo grande quasi il doppio dell’attuale. E abbiamo vinto tutti i concorsi a cui abbiamo partecipato (cinque), con progetti da finanziare. Insomma, si fa di necessità virtù.
Attualmente c’è la possibilità di sostenere i giovani talenti?
- Lo faccio da sempre; è una costante del mio lavoro, anche perché senza appoggiare i giovani non c’è sviluppo futuro.
Secondo te, per coinvolgere il grande pubblico, anche alle esperienze artistiche trasgressive, sono più efficaci le forme di spettacolarizzazione del processo creativo o le opere capaci di dare forti emozioni?
- Penso entrambe. Ma se il pubblico viene “guidato” si interessa soprattutto alle esperienze trasgressive.
La classe politica come vede il Museo?
- Se parli di quella bergamasca, bene. Ci sono state tre amministrazioni di colore diverso e non hanno mai cambiato il CDA e il direttore, cioè me. Capiscono che dare continuità a un progetto è sempre vincente.
I musei possono essere gestiti correttamente dai privati?
- Perché no! La GAMeC ha una gestione pubblico-privata che funziona benissimo.
L’arte negli spazi urbani è praticabile?
- La si pratica da sempre. La praticabilità riguarda la qualità. Quando c’è qualità c’è praticabilità. L.O.V.E., il noto dito di Cattelan, sembra sia sempre stato in Piazza Affari a Milano.
Come è cambiato il ruolo del direttore artistico dell’istituzione pubblica?
- Non saprei. Io lavoro sempre allo stesso modo a tutti i livelli. Forse vuoi sapere se un direttore deve essere più manager e meno curatore. Ai musei occorre un forte carattere curatoriale, ma anche una buona dose di managerialità.
Come insegnante all’Accademia di Brera metti a frutto principalmente le esperienze fatte con altri incarichi?
- Intanto potrebbe essere vero il contrario, visto che insegno dal 1991. Ho organizzato diverse mostre – come “La Classe non è Acqua” alla GAMeC – che nascono dalla mia esperienza di docente. Tuttavia anche qui le cose non sono mai separate e si nutrono l’una dell’altra. La scuola, per il rapporto con le nuove generazioni, è vitale.